ROMA, venerdì, 17 giugno 2011 (ZENIT.org).- A fronte dei drammatici esodi che si stanno consumando nel Mediterraneo, come diretta conseguenza della “primavera araba” che ha interessato il Nord Africa e il Medio Oriente, i laici scalabriniani hanno deciso di levare le loro voci contro le politiche migratorie europee.
In una nota dell’equipe di coordinamento del Movimento dei laici scalabriniani di Africa ed Europasi osserva che quello a cui stiamo assistendo è “uno sconvolgimento epocale, che è sfuggito alle nostre analisi occidentali e, soprattutto alle nostre politiche, in particolare quelle legate alle migrazioni”.
“Per contrastare e bloccare l’immigrazione clandestina ed irregolare in Europa – continua la nota –, si era puntato su regimi monarchico-teocratici o dittatoriali, ai quali avevamo concesso protezione e mezzi, affinché essi assicurassero una stabilità, soprattutto nel sud del Mediterraneo. Non avevamo minimamente considerato le situazioni gravi di sfruttamenti, ingiustizie e mancanza di partecipazione popolare”.
Tuttavia, si afferma, “queste dighe fittizie sono saltate ed ora ci ritroviamo di fronte a fenomeni di fuga, difficilmente controllabili, con decine di migliaia di fuggiaschi e di disperati, che cadono nelle reti criminali dei ‘sensali di carne umana’, al di là dei programmi delle istituzioni che si rivelano inadeguati ed impotenti”.
Ecco perché gli scalabriniani hanno espresso “perplessità” e “disappunto” per le “politiche migratorie europee, in particolare per quanto concerne l’attuale esodo dalla Libia”.
“Non accettiamo la logica di interessi geopolitici – sostengono – e, soprattutto economici che ha portato all’attuale ‘guerra’ ed alla sua escalation: il regime dittatoriale di Gheddafi, appoggiato fino a qualche mese fa, è stato scaricato anche dall’Italia non tanto per i proclamati ideali “democratici”, quanto piuttosto per interessi economici”.
“Facciamo notare che i disperati che affrontano la morte nel loro viaggio verso Lampedusa e verso l’Europa sono, nella quasi totalità, migranti che, ingaggiati come lavoratori in Libia, provengono dall’Etiopia, Eritrea, Somalia ed all’Africa sub sahariana, ma anche da alcuni paesi asiatici e nell’attuale situazione di guerra non solo sono rimasti senza lavoro, ma rischiano di diventare oggetto di persecuzione e di nuove discriminazioni, in quanto vengono considerati un “prodotto” e, quindi alleati del precedente regime”.
“Nonostante ci troviamo di fronte a numeri consistenti di fuggiaschi e di richiedenti asilo – si legge ancora nella nota –, riteniamo che l’enfasi martellante sulla ‘invasione’ sia strumentale ed in buona parte demagogica, in quanto funzionale ai discorsi di politica interna, in particolare della Francia e dell’Italia: i nostri Paesi possono affrontare l’accoglienza e l’inserimento di una quota consistente di persone, che stanno vivendo una emergenza umanitaria, nonostante il periodo di crisi”.
Per gli scalabriniani “la ‘fuga verso l’eccezione’ riguardo alle norme europee, invocata in queste settimane in nome dell’emergenza, più che una soluzione alle problematiche ed alle dinamiche migratorie attuali è segno dell’impotenza e, a volte, dell’insipienza delle politiche nazionali riguardanti le migrazioni”.
“Siamo convinti – sottolineno – che il fallimento della ‘politica europea di sviluppo’, concentrata principalmente negli aiuti per il contrasto migratorio, deve portare l’Europa ed i Paesi europei (ed in particolare l’Italia) ad impostare una politica di sviluppo nei confronti dei Paesi del Sud del Mediterraneo, tendente alla partecipazione popolare, alla costruzione di un “ceto medio” e ad investimenti in politiche di sviluppo per i giovani”.
Di qui l’appello a contribuire “al risveglio e alla promozione di una ‘primavera culturale’ della nostra mentalità europea, dominata dalla paura dell’invasione”.
“Se dobbiamo rispondere alle paure e alle insicurezze sentite e vissute dalla popolazione – concludono –, non possiamo fondare una politica di governance delle migrazioni sulle paure, ma, nella nostra tradizione culturale europea, sui diritti della persona umana”.