Il Welfare sussidiario

ROMA, giovedì, 16 giugno 2011 (ZENIT.org).- Pubblichiamo un articolo di Manlio d’Agostino, Presidente Nazionale UCID Giovani, apparso sulla Rivista di studi e ricerche sulla dottrina sociale della Chiesa, “La Società”, (n 6-2011, www.fondazionetoniolo.it/lasocieta).

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Nel trattare il tema del Welfare sussidiario, intendo affrontare tre aspetti importanti per la vita di un cristiano che svolge l’attività di imprenditore, dirigente o professionista: la responsabilità, la formazione, la passione. La responsabilità: la nostra capacità di rispondere, in maniera adeguata e sulla base di determinati presupposti, alle istanze di tutte le persone con cui ci relazioniamo.

La Formazione: credo che la citazione tratta dalla Caritas in Veritate ed utilizzata negli inviti alla school dell’UCID (“La libertà umana è propriamente se stessa solo quando risponde al fascino della tecnica con decisioni che siano frutto di responsabilità morale. Di qui, l’urgenza di una formazione alla responsabilità etica nell’uso della tecnica”) renda già l’idea del peso di quanto ci accingiamo a fare in questi giorni. La bontà d’animo può essere un dono per alcuni, ma deve certamente essere coltivata ed accresciuta. La dedizione ai più “deboli” si sviluppa da una chiara, paziente e specifica opera formativa.

Il Cardinale Dionigi Tettamanzi affermava “le stesse virtù umane non bastano da sole per fare di una persona un buon amministratore. Non ci si può improvvisare, o presentarsi con un aspetto rinnovato. Serve altro, perché le responsabilità personali di chi lavora per il “Bene Comune” sono grandi ed impegnative. Certamente tra questi vi è lo stile di vita: non limitandoci a ricercare la coerenza, ma piuttosto andando in cerca dell’impegno quotidiano. Per coinvolgere e convincere è necessario essere “credibili”: questo consentirà di poter essere incisivi, basandosi su una trasparenza dei valori che lo animano e lo guidano: la moralità di chi si mette al servizio delle persone, non ammette separazioni tra “pubblico” e “privato”.

Questo comporta “passione”

La Passione: il terzo termine. Attenzione perché ha due significati opposti. Un “trasporto totale per una idea o un’opinione, un impegno che viene da dentro” ma anche quello di sofferenza, patimento che è nato traducendo il greco dei Vangeli, nei quali con pathos si indicava appunto il martirio di Gesù. Insomma un sacrificio, delle rinunce che tendono ad una grande soddisfazione!

Il Welfare sussidiario parte della strategia del bene comune

Dunque, tre elementi che compongono il quadro della Strategia del Bene Comune, fissando come obiettivo per questi due giorni la predisposizione di una o più proposte per disegnare un nuovo sistema di Welfare. Va sottolineato però che questa non è una scuola di business, anche se tutti noi a diverso titolo operiamo nel mercato economico: dobbiamo essere coscienti che la nostra “indicazione” (contributo alle idee per uscire dalla crisi) deve avere al centro la “persona umana”.

Il Welfare: cenni sull’evoluzione

In primo luogo, dovremmo condividere il significato ed il perimetro di “Welfare”: è il sistema che punta a dare benessere alle persone, con il quale si cerca di eliminare le diseguaglianze sociali ed economiche. Sebbene possiamo tutti concordare sul significato dobbiamo – allo stesso modo – prendere atto e comprendere come il concetto di Welfare sia molto cambiato: un processo di evoluzione che ha visto una progressiva integrazione delle varie tipologie di interventi.

Dalla Poor Law (Inghilterra, 1601) finalizzata alla riduzione della povertà come strumento di contenimento della criminalità, sia gli interventi di Otto Von Bismarck (Germania, 1883) per la creazione di una prima forma di assicurazione e di previdenza sociale, sia la creazione della prima forma di sanità pubblica (Gran Bretagna, 1942), sia la “prima” riforma del mercato del Lavoro a cura del sindacalista e Ministro marchigiano Giacomo Brodolini (1968-1969), hanno contribuito alla creazione delle fondamenta essenziali di un sistema fino a qualche anno fa, forse, efficiente.

Probabilmente, una inefficienza non solo legata al passare dei tempi ma anche – e sono d’accordo con il Prof. Michele Tiraboschi ad un uso nonproprio (forse sarebbe meglio definirlo abuso) degli strumenti a disposizione. Il mio pensiero va a chi ha sacrificato la propria vita e con sincero spirito di servizio ha portato avanti il proprio incarico, ed oggi, noi indegnamente, li ripaghiamo solo con un ricordo un giorno l’anno: il Prof. Marco Biagi ed il Prof. Massimo D’Antona!

Il ruolo del pubblico

Nella tradizione, il principale attore è lo Stato: uno Stato che è ormai appesantito da una condizione di peggioramento dei conti pubblici, e che tende sempre di più a tagliare, intervenendo in larga parte sulla “spesa corrente”: sono circa 113 miliardi per la sanità e 287 per le prestazioni sociali su un totale di 800 miliardi di uscite, su cui gravano 83 miliardi di interessi per il debito accumulato. Nonostante gli sforzi, manca un progetto organico, non solo a livello nazionale! Un progetto che veda fianco a fianco il pubblico ed il privato (e mi ritorna in mente il modello della concertazione che l’allora Presidente del CNEL, Giuseppe De Rita) con l’intento di evitare inutili sprechi di risorse e di energie, ripensando a quali siano i “nuovi bisogni”, magari proprio ridisegnando quella Piramide di Maslow che, a mio parere, riesce ancora bene a rappresentare le priorità ed il modello evolutivo. Una strada che viene richiamata nel titolo di questa edizione della School, è nell’Enciclica Caritas in Veritate “non si tratta di un terzo settore, ma di una nuova ampia realtà composita, che coinvolge il privato e il pubblico e che non esclude il profitto, ma lo considera strumento per realizzare le finalità umane e sociali”.

Il ruolo del privato

Allora è necessario, come sta avvenendo, che il privato diventi parte attiva: ma facciamo molta attenzione perché un Welfare condizionato dalla “filantropia privatistica” rischia di non avere un indirizzo responsabile: non può essere guidata dalla volontà risarcitoria o “penitenziale” di grandi ricchi, spinti da una sorta di rimorso per un percepito eccessivo arricchimento!

Rischiamo di correre dietro ad un modello fortemente influenzato dal ritorno mediatico degli interventi, circoscrivendo le azioni esclusivamente a quanto – in quel momento – maggiormente in rilievo. La crisi ha messo in luce molti nuovi campi di confronto nella società avanzata: i lavoratori con contratto a termine contro quelli anziani e protetti; dipendenti pubblici (forse) eccessivamente tutelati ed un andamento economico incerto che influisce direttamente sui salari e la stabilità degli altri; dalle piccole imprese in difficoltà di accesso al credito ed alcuni “grandi” che speculano finanziariamente sulla loro pelle! Anche queste sono disuguaglianze sociali: e non si può pensare di cavalcare l’onda sull’emotività del momento.

La collaborazione pubblico-privato

Dobbiamo superare una “vecchia” visione burocratico-pianificatrice che affida alla regolamentazione le linee di intervento, anche spesso prescindendo dai reali bisogni delle persone. È necessario tendere ad una dimensione socio-economica che pone al centro l’uomo e la sua articolazione relazionale.

È stato definito il “secondo Welfare” oppure il “Welfare sussidiario”: non è un problema formale di ricercare un termine adatto! Il dato di fatto è che l’attuale modello economico (non solo italiano) ha una vision che non ha come fulcro la “persona umana” (come richiamata dalla Costituzione Italiana): lo Stato riesce ad offrire un livello di Welfare che si limita a soddisfare le esigenze minime, quelle che vengono definite “LEA – Livello Essenziale Assistenziale”, secondo una concezione non più attuale.

In tal senso, sono molti i tentativi imprenditoriali di realizzazione di forme di assistenza che puntano al miglioramento della condizione sociale del singolo e della comunità in cui vi
ve. Molti imprenditori e dirigenti illuminati hanno investito sulla creazione e sul miglioramento delle condizioni di benessere delle persone con le quali lavorano: si sono accorti come l’innalzamento del livello di benessere (non solo economico) individuale consente anche un proporzionale miglioramento della produttività lavorativa, senza gravare su altri fattori.

Questa viene vissuta come una forma di investimento aziendale (il modello americano ha espresso l’esempio della Corporate Family Responsibility): vi sono casi, anche nel nostro Paese, di neonate aggregazioni di imprese che convergono verso questo obiettivo. Ne cito per brevità un paio, anche perché i promotori sono in sala […] l’Opera Immacolata Concezione e Romagna Solidarietà. È necessario cambiare rotta ricercando nella strategia dell’alleanza pubblico-privato un nuovo modello di equilibrio, ottimizzando le risorse ed evitando le speculazioni.

La nostra azione si basa su saldi valori ed è guidata dalla Fede, per cui oltre a gettare il cuore oltre l’ostacolo e scommettere anche sull’incertezza del risultato, sappiamo che vi è una speranza, che è soprannaturale!

Credo siamo tutti d’accordo che una qualunque impresa per poter vivere deve garantirsi le entrate ed e la produzione di valore aggiunto: allo stesso modo, il Welfare si deve poter sostenere allo stesso modo. Lo stesso Benedetto XVI nella Caritas in Veritate non esclude (e lo fa esplicitamente) la creazione di valore aggiunto: il problema è però il suo impiego[…] torniamo alla logica dell’uso e dell’abuso! L’intervento del privato non può ridursi esclusivamente ad una mera contribuzione economica delle marginalità residuali: deve esserci una partecipazione attiva alla costruzione di un modello, in cui la creazione di valore aggiunto deriva dalla capacità di ottenere una soddisfazione per la sua attività di impresa, che non sia esclusivamente economica o finanziaria, ma abbia anche il carattere sociale.

D’altronde – e lo sentiremo anche dai risultati che emergono dalle attività del Centro SIRI di Genova – maggiore è l’attenzione per la persona, migliore è la qualità (e quantità) della produttività aziendale. E le imprese, infatti, hanno svariati modi per contribuire: ci sono aziende che si dedicano alla ricerca di presidi e supporti tecnologici al miglioramento delle condizioni di vita di chi ha uno svantaggio; chi stipula convenzioni bancarie per consentire l’accesso al credito a chi se lo vedrebbe negato; e, negli anni del Boom economico, le imprese (soprattutto grandi ad onor del vero) costruivano anche gli alloggi per i propri dipendenti (nel caso specifico, città come Milano e Torino, hanno modificato il loro assetto urbanistico). Contribuire al Bene Comune fa parte del DNA degli imprenditori, di quelli con la “I” maiuscola: e permettetemi di sottolineare che ho parlato di imprenditori e non di imprese[…], quelli che considerano i propri collaboratori (e non dipendenti) al pari dei familiari […]

Un aspetto “basilare” del Welfare

La famiglia[…] appunto!

Già gli antichi romani ponevano come nucleo essenziale ed al centro della società, la famiglia: ed oggigiorno abbiamo ancora un retaggio positivo con locuzioni che a quella fanno riferimento (“con la diligenza del buon padre di famiglia”). La famiglia, basata su forti valori, è l’essenza della relazione “disinteressata” da un punto di vista economico ed “interessata” da quello sociale[…]. permettetemi di richiamare il termine “passione”[…] quanti sacrifici e rinunce hanno fatto i nostri genitori per noi e quanti ne faremo noi per i nostri figli[…]

In questi ultimi mesi è stato più volte sottolineato come sia stata proprio la “famiglia” inteso come sistema relazionale ed affettivo naturale – ad avere assorbito in modo significativo ed efficace l’impatto della frenata economica. Onestamente, il Pubblico sta facendo grandi sforzi per tamponare i buchi creatisi in relazione alla crisi ma[…] non basta. Nonostante tutto, manca un progetto organico e transnazionale per il futuro: e soprattutto con quali effetti per le prossime generazioni? Queste saranno in grado di pagare i debiti contratti oggi? Come? “Secondo i calcoli effettuati dal nucleo di valutazione della spesa previdenziale, solo per mantenere stabile il rapporto tra la spesa pensionistica e il prodotto interno lordo, l’economia dovrebbe crescere dell’1,8% all’anno. Risultato impegnativo, considerata la performance più recente. Se poi il PIL, come nel 2009, si contrae del 5% il risultato è l’esplosione del valore del rapporto fra spesa pensionistica e ricchezza prodotta di circa il 10% nel triennio 2008-2010. I dati disponibili indicano in 8 miliardi e 830 milioni di euro il disavanzo accumulato dal sistema pensionistico italiano, di cui 7,2 miliardi ascrivibili al sistema pensionistico pubblico” (Edoardo Narduzzi “Ciascuno per sé, vivere senza Welfare”).

Come fare? Ad esempio investendo sulla famiglia (e sul suo consolidamento): una istituzione che, secondo una recentissima ricerca condotta da Confcommercio, è la prima “istituzione” su cui i giovani ripongono fiducia per costruire il proprio futuro (49,6%)! La famiglia è, quindi, uno dei principali fulcri del sistema di Welfare. E nonostante ciò i dati parlano di una Italia fanalino di coda nella Ue a 15 nella spesa in rapporto al prodotto interno lordo. Infatti, per la famiglia e la maternità l’Italia spende infatti solo l’1,2% del Pil, quando in Europa si spende decisamente di più (2,1% nella Ue a 15 e 2,0% nella Ue a 27)!. Proprio alla famiglia, in quanto società naturale della persona, don Sturzo affida un ruolo essenziale nell’educazione alla virtù che diviene quasi spontaneamente un’educazione civica. La capacità nell’agire e interagire nella sfera pubblica si sviluppa nella famiglia attraverso l’educazione primaria.

Quindi, ritorna ancora una volta la necessità, per immaginare un buon sistema di Welfare, costruire quel tassello “sociale” che è il nucleo essenziale, la famiglia, che gioca un ruolo strategico (ovvero di medio lungo termine) rinnovando i valori nel breve (appunto attraverso azioni tattiche), ed al quale non si può prescindere nei momenti di necessità. Ritorna ancora una volta quel comportamento cristiano che ruota intorno ad un concetto dinamico (anche nel termine): l’agire donativo.

Un altro aspetto essenziale: la partecipazione attiva

E tra le tattiche di Welfare per il Bene Comune, dobbiamo certamente prevedere anche la partecipazione attiva al mondo del lavoro, passando per un sistema formativo moderno, più efficace ed al passo con i tempi. Afferma don Sturzo: «il costume di un Paese che ha la struttura di uno Stato di diritto, in regime libero e democratico, non può ancora essere inficiato da un sistema incivile […]. Bisogna provvedervi con l’educazione […] e con la convinzione di una libertà basata sulla verità e resa efficace dal soffio della coscienza di personalità etica e civile; che per noi credenti è anche e principalmente, coscienza di personalità cristiana». Eliminando le disuguaglianze, si eliminano anche le le barriere all’ingresso che sono cause di esclusione sociale. Nella recente indagine condotta dal prof. Ascani emerge come, tra le cinque principali attese dei giovani nei confronti della politica, vi siano anche “la diminuzione degli adempimenti burocratici” e la “Facilitazione nell’accesso al credito”.

Dal quantitativo al qualitativo

Da una osservazione degli studi emerge, come in altri ambiti, che non vi sia stata una evoluzione metodologica nell’osservazione ed analisi scientifica del Welfare. Infatti, gli studi sulla diseguaglianza nelle condizioni di vita a livello mondiale si concentrano perlopiù e principalmente sulle differenze nei PIL pro capite tra paesi. Sarebbe invece auspicabile che venissero effettuate valutazione più affidabili delle disuguaglianze nei livell
i di benessere fra paesi e fra individui dovrebbe tenere conto, oltre che del reddito, di altri fattori rilevanti come, ad esempio, lo stato di salute. Addirittura da uno studio pubblicato da Banca d’Italia (ottobre 2009), emerge la necessità di approfondire ulteriormente (quindi, rivedere) la metodologia utilizzata per misurare il Welfare estendendo a alcuni fattori che appaiono molto differenti tra i diversi Paesi: tra questi vi è certamente la struttura del mercato del lavoro, il livello di tassazione, l’incompletezza del mercato del benessere oltre alla forma di distribuzione, che appare ineguale nei diversi Paesi. In questo senso, non posso non condividere l’affermazione che noi italiani, troppo spesso, siamo molto bravi a compiere analisi ma non altrettanto nell’individuare la terapia.

Credo che uno degli obiettivi di medio lungo termine dell’UCID e della sua School sia proprio quello di avere il coraggio di cambiare questo trend!

Una nuova metodologia

A me sembra particolarmente interessante richiamare alcuni passi del documento di preparazione alla 46 ° Settimana Sociale che si è svolta a Reggio Calabria il 14 Ottobre scorso: “Di fronte all’agenda di problemi prioritari che proponiamo in vista dei lavori di Reggio Calabria, la domanda non dovrebbe essere «manca qualcosa?» o «c’è tutto?». Piuttosto, tenendo ben salda la responsabilità per il bene comune e il tempo e il luogo in cui siamo chiamati a esercitarla, si dovrebbe partire dalla domanda: «si tratta di problemi realisticamente affrontabili?» E ancora: «realisticamente, se ne possono individuare altri in qualche misura previi rispetto a quelli indicati nella lista?»”. Credo sia da mutuare il metodo dell’AGENDA: scalettare e programmare per rendere operativa ogni idea, pur nella consapevolezza delle difficoltà e delle debolezze che caratterizzano questo momento storico. D’altronde noi sia caparbi e pragmatici, e quindi siamo abituati “a fare” ogni giorno.

Non si può non richiamare quanto, nell’ormai lontano 1978, affermò il Presidente Prof.Aldo Moro “[…] se mi chiedete fra qualche tempo che cosa accadrà, io dico: può esservi qualche cosa di nuovo. Se fosse possibile dire: saltiamo questo tempo e andiamo direttamente a questo domani, credo che tutti accetteremmo di farlo, ma cari amici, non è possibile; oggi dobbiamo vivere, oggi è la nostra responsabilità.
 Si tratta di essere coraggiosi e fiduciosi al tempo stesso, si tratta di vivere il tempo che ci è stato dato con tutte le sue difficoltà”.
 È, dunque, prendere coscienza che non si può più progettare il futuro esclusivamente con le logiche del passato, senza prendere in considerazione l’evoluzione del contesto sociale, e soprattutto dello stile di vita dei giovani.

Non possiamo demonizzare toutcourt il comportamento e le scelte di chi sarà adulto domani: è necessario uno sforzo per capire cosa prendere dall’esperienza passata, e riproiettarlo nel futuro, magari aiutandoci con le tecnologie. Tendere all’uso intelligente e corretto delle novità per integrare e non per isolarci o isolarli. È fuor di dubbio che la nostra azione (non solo degli ucidini ma di tutti i cristiani) è quella di ritrovare nella Fede il vero motore di ogni azione conferendo allo slogan “la strategia del Bene Comune” un significato ancor più pregnante! In sostanza guardare avanti con Fede: mi ritorna in mente una affermazione di un Santo dei nostri giorni (San Jose Maria) “queste crisi hanno una soluzione (…) non bisogna essere pessimisti: tra le macerie dell’umanità dolente vi sono uomini che conservano il segreto della soluzione per formare un popolo nuovo e grande. Cuori pieni di Dio, uomini di coraggio, estremamente appassionati di Cristo, uomini pazzi, pieni di fede, pieni di speranza, pieni di amore” (riportata da Jesus Urteaga Loidi).

Appendice

UCID: 10 proposte sul Welfare sussidiario

Premessa

Il Movimento Nazionale dei Giovani UCID crede fermamente che il gratuito contributo per il miglioramento delle condizioni sociali e la riduzione delle diseguaglianze siano esse sociali ed economiche sia un dovere di ciascun cittadino, a maggior ragione quando si ricopre un ruolo di responsabilità imprenditoriale, dirigenziale o professionale. Nello spirito cristiano del dono disinteressato economicamente ed interessato socialmente la seconda edizione dell’UCID School (svoltasi lo scorso 24-26 settembre in Repubblica di San Marino) ha avuto come tema la Strategia del Bene Comune, focalizzando la propria attenzione su una società che tende “sempre più verso il Welfare sussidiario” tendendo verso una più forte collaborazione tra il pubblico ed il privato.

Oltre all’obiettivo prettamente formativo, il Comitato dirigente all’inizio dei lavori ha preso l’impegno di elaborare un documento finale che potesse raccogliere le istanze e le considerazioni emerse nel corso dei lavori, sia dai relatori che dai partecipanti: dieci punti che, con spirito costruttivo, scalettano le esigenze e le proposte quanto più tangibili e realizzabili, nel tentativo di rispondere ai bisogni (vecchi e nuovi) di una società in evoluzione. Un richiamo ed un impegno che si rivolge al senso di responsabilità ed alla diligenza tanto dell’amministratore pubblico quanto di quello privato, senza distinzione alcuna, ciascuno per il proprio ambito di competenza.

Le dieci proposte

1. Porre al centro la “persona umana”, valorizzando la conoscenza dei diretti interessati (ad esempio, giovani, anziani, detenuti, stranieri, etc.) come strumento per meglio interpretare le esigenze ed i bisogni, e fissare obiettivi e strategie.

2. Nella consapevolezza del valore della diversità e complementarità individuale della persona, la riduzione delle barriere al mercato economico e del lavoro (non solo di natura burocratica), come tattica per ridurre le “disuguaglianze in ingresso”, come garanzia per una maggiore e sana competitività, finalizzata al compimento dellavera “meritorietà”.

3. L’individuazione degli strumenti che possono rendere facilmente operativo il “Welfare di Secondo Livello Universalistico”, anche nello spirito cristiano di fraternità, e nel contesto di un piano strategico organico.

4. La partecipazione responsabile del privato ed il suo coinvolgimento alle Politiche di Welfare nella e per la individuazione dei bisogni reali, nuovi ed emergenti, nel tentativo per il pubblico di superare le quantificazioni matematiche dei livelli essenziali, nonché evitando che il privato protenda principalmente verso azioni con un forte ritorno mediatico, tralasciando i problemi strutturali.

5. La creazione di un sistema multilivello stabile ma leggero di confronto e di scambio per l’individuazione dinamica dei problemi, con il diretto coinvolgimento di persone “meritevoli” che si basano su valori saldi ad esempio, dei giovani evitando la creazione di quote riservate di qualsivoglia natura.

6. La partecipazione attiva e per scelta volontaria del privato alle Politiche di Welfare, non limitandosi alla mera attività di outsourcing oppure alla destinazione filantropica di finanziamenti risultanti in ultima istanza da una marginalità economica.

7. La razionalizzazione della tassazione e della fiscalità sulle “donazioni” e sulla contribuzione diretta al Sistema di Welfare, come forma di incoraggiamento ad un senso di responsabilità sociale, che si inserisce nella cultura dell’agire donativo quotidiano.

8. La creazione (da parte del pubblico) e l’utilizzo (da parte del privato) di “strumenti tecnici” coerenti, specifici ed adeguati, anche di carattere finanziario, che possano completare il quadro complessivo della Strategia (ad esempio, Social Impact Bonds).

9. Garantire maggiore stabilità ed equilibrio al processo normativo e legislativo, perché esiste ed è fortemente percepita una asimmetria tra i tempi di approvazione e quelli di adegu
amento, che disorienta ed aumenta le difficoltà operative (anche definita “schizofrenia legislativa della politica”).

10. La definizione e la creazione promossa sia dal pubblico che dal privato anche in forma congiunta, di modalità il finanziamento dei progetti imprenditoriali nel contesto del Welfare sussidiario: ad esempio, la semplificazione dell’accesso agli specifici fondi, la creazione di fondi di garanzia (sia pubblici che privati), l’avvio della cosiddetta Borsa Sociale.

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ZENIT Staff

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