Clemente Vismara e l’entusiasmo della fede

di Piero Gheddo*

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ROMA, martedì, 14 giugno 2011 (ZENIT.org).-Nella preghiera per la beatificazione di padre Clemente (a Milano in Piazza Duomo il mattino del 26 giugno prossimo) diciamo fra l’altro: “Fa, o Signore, che abbiamo anche noi quella fede semplice ed entusiasta, che è stata l’anima di padre Clemente e dei suoi 65 anni di missione”. Nella “Positio” per beatificare padre Vismara (1897-1988), si legge la testimonianza di suor Mary Paul di Maria Bambina, interrogata nel 1997 dal Tribunale diocesano a Kengtung quando aveva 32 anni (era nata nel 1965), che dice tra l’altro (pag. 194 della “Positio”): “Padre Vismara pregava moltissimo e quando gli chiesi perché ogni giorno pregasse tanto, mi rispose che doveva pregare tanto perché noi bambini eravamo tanti, perché i benefattori erano tanti, perché i cristiani della missione erano tanti e tutti avevano tanti problemi e allora lui pregava, anzi doveva pregare tanto… Noi eravamo sicuri che, se non era al lavoro o in casa a leggere o a scrivere, lo avremmo trovato in chiesa a pregare. Questo lo sapevano tutti…”.

Che bel ricordo di Clemente! Non solo perché pregava molto, ma perché ha saputo trasmettere col suo esempio quella “fede semplice ed entusiasta” che era l’anima della sua vita. Questa giovane suora che ricorda le parole precise del missionario, dimostra anche lei di aver ricevuto una fede semplice, non complicata: i bambini erano molti e lui pregava molto perché ciascuno aveva i suoi problemi; i benefattori erano tanti e lui pregava tanto, ecc. La risposta di Clemente la convinceva da bambina e la convince ancora quando ha 32 anni. E’cresciuta avendo ben chiaro nell’animo e nel cuore il rapporto fra le necessità dell’uomo e il bisogno di ricorrere a Dio.

   Che vuol dire “la fede semplice ed entusiasta di padre Clemente”? Una fede non complicata, ma quasi elementare, che capiscono anche i bambini; e l’entusiasmo della fede, che ci porta a viverla in uno spirito di ringraziamento e di donazione a Dio per averci fatto questo grandissimo dono. Oggi, nel nostro mondo super-evoluto e super-laicizzato, non è in pericolo la fede come tale: quando si sente dire che la Madonna è apparsa da qualche parte, le folle accorrono in massa; e quando i giornali fanno inchieste sul grado di religiosità degli italiani, risulta che più del 90% credono in Dio e in Cristo. Ma quanti “ci credono davvero”, in modo che la fede li sostenga anche nelle circostanze più difficili e dolorose? Clemente ci credeva davvero. Leggeva, studiava, si informava dei problemi dell’umanità, ma sapeva che al di sopra di tutto il male che noi vediamo, c’è la paternità e la misericordia di Dio. La sua era una vita serena perché l’intimità con Dio che cercava nella preghiera lo sosteneva e gli dava coraggio.

     Nel 1983 ho rivisto Clemente Vismara in Birmania: aveva 86 anni e morì pochi anni dopo a 91 anni. Sono stato con lui cinque giorni: era entusiasta della Birmania, del suo popolo akhà, dei suoi bambini, dei suoi cristiani, del povero cibo e della sola acqua come bevanda, della vita che faceva. Si riteneva l’uomo più fortunato del mondo e non cessava di ringraziare Dio per la vocazione missionaria. Un uomo che, a 86 anni ripeto, dava serenità, gioia ed entusiasmo a tutti. Non era certamente un illuso, anzi era molto intelligente e furbo nelle cose della vita, vedeva e soffriva le miserie e le malattie, la guerriglia e i briganti da strada, la fame e la sete, la dittatura oppressiva, la mancanza di molte cose necessarie: a 86 anni aveva il medico e l’ospedale più vicini a Kengtung, distante 120 chilometri, cioè due giorni di viaggio in jeep! Non gli mancavano le prove, le sofferenze fisiche, le incomprensioni, i fallimenti; viveva isolato fra popolazioni primitive con lingue difficili e mentalità molto diverse dalla sua. Eppure era pieno di gioia e di speranza, entusiasta di tutto quel che faceva.

    Semplicemente, come ha dichiarato padre Rizieri Badiali (suo confratello che è stato missionario con lui a Monglin) al Tribunale diocesano per la sua beatificazione (“Positio”, pagg. 219-220):  “Padre Vismara sopportava tutte le prove con gioia perché diceva che se eravamo perseguitati voleva dire che tutto andava bene. Era la sua fede, una fede entusiasta, gioiosa, piena di desiderio di salvare le anime; una fede biblica, giacché la vita cristiana era basata sui fatti, sull’essere conformi alla volontà del Signore, di quel Dio che interviene concretamente nella storia degli uomini e chiama gli uomini a costruire questa sua storia. Questa fu la fede di padre Clemente, che lo sostenne  per tutta la vita fino alla morte, con grande allegria e una grande voglia di vivere che sentiva per sé e per i ragazzi che accoglieva appena poteva.

     “Nei due anni che spesi con lui per imparare la lingua (1952-1954), andammo sempre d’accordo. Io ero giovane e quindi  molto rispettoso e trovai sempre in lui uno spirito paterno. Pregavamo anche insieme nel senso che ci trovavamo in chiesa a pregare come facevano i preti una volta. Così posso testimoniare che padre Clemente pregava e pregava molto. Diceva: ‘Se non ci fosse la preghiera, come farei ad essere sempre allegro? Ad accettare le fatiche dei giorni faticosi?’”.

    “Egli pregava con grande raccoglimento e con grande fedeltà, anche quando eravamo nei villaggi pagani. Ci sosteneva molto la Parola di Dio, che era il nostro riferimento costante e il nostro cibo, perché ci indicava la via di ogni giorno, perché il Vangelo è il manuale del missionario. So che padre Vismara amava particolarmente le figure di Abramo e di Mosè che conducono il popolo. Questa devozione gli dava la forza di essere paziente con la gente: affermava che se Dio era stato così paziente, così doveva esserlo anche lui con il suo popolo”.

     “Padre Vismara sopportò tutte le fatiche, sebbene soffrisse di forti dolori di schiena, che diminuirono solo negli ultimi anni. Soffrì anche moralmente quando le cose andavano poco bene, quando vedeva matrimoni fallire o giovani che deviavano dalla strada del bene. Quando vennero i giapponesi, durante la seconda guerra mondiale, egli subì molte umiliazioni, ma sopportò tutto perché voleva rimanere in difesa dei suoi ragazzi”.

    In una conferenza di questi giorni su padre Vismara, un signore ha chiesto: “Ammiro molto padre Clemente, ma nel nostro mondo così complicato e secolarizzato è molto difficile mantenere questa sua gioia e speranza. Mi spieghi come faceva Clemente ad avere uno spirito così giovanile”. Ho risposto che padre Vismara viveva la fede e la preghiera non come stanca abitudine, come un peso da portare che ci lascia freddi e soli con le nostre difficoltà e sofferenze. Vismara era innamorato di Gesù e di Maria, sempre contento non perché le cose gli andassero bene, ma perché viveva in ogni momento alla presenza di Dio, vedeva in ogni persona il Signore Gesù, prendeva tutto dalle mani di Dio. Non era certamente un uomo diverso da noi, né più intelligente, né più istruito, né più forte di noi. Semplicemente pregava di più e chiedeva a Dio la grazia di fare la sua volontà perché sapeva che nell’accettazione della volontà di Dio sta la nostra gioia e la nostra pace e, naturalmente, il coraggio e l’entusiasmo col quale affrontiamo la vita.

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*Padre Piero Gheddo (www.gheddopiero.it), già direttore di Mondo e Missione e di Italia Missionaria, è stato tra i fondatori della Emi (1955), di Mani Tese (1973) e Asia News (1986). Da Missionario ha viaggiato nelle missioni di ogni continente scrivendo oltre 80 libri. Ha diretto a Roma l’Ufficio storico del Pime e postulatore di cause di canonizzazione. Oggi risiede a Milano.

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ZENIT Staff

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