ROMA, mercoledì, 8 giugno 2011 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito una lettera di don Fortunato Di Noto, fondatore e presidente dell’Associazione Meter (www.associazionemeter.org), che da oltre 20 anni opera a tutela dell’infanzia, contro pedofilia, pedopornografia e sfruttamento sessuale.
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Cari fratelli e amici nel sacerdozio, cari battezzati e laici di buona volontà credenti e non credenti, ho deciso di scrivere questa lettera – in un momento in cui la crisi di questa “infame emergenza”, quali sono la pedofilia e la violenza ai minori, non è ancora superata – perché sento il dovere di dirvi alcune cose.
Le orribili vicende che a causa di alcuni sacerdoti, religiosi e aggiungerei anche operatori pastorali stanno colpendo varie diocesi nel mondo e italiane, toccano tutti noi. Bene ha detto il cardinale Bagnasco sostenendo che “tutto il volto della Chiesa è ferito”. Tutto: nessuno di noi escluso. È un dramma che ci interpella e spinge a chiedere: che cosa possiamo fare perché l’infamia non si ripeta mai più?
Fermo restando il lavoro dei magistrati, che accerteranno una verità terrena nei confronti degli indagati, noi tutti abbiamo il dovere di vicinanza alle piccole vittime ed alle loro famiglie. Un dovere che non si esaurisce solo come mere espressioni di “solidarietà” verso di loro, ma deve diventare fortissima presa di coscienza. Questo male non è stato perpetrato solo a loro, ma anche a Dio, all’umanità, alla Chiesa che noi serviamo e a noi stessi. Per questo non possiamo limitarci alle parole, dobbiamo far sentire alle vittime ed alle loro famiglie tutto l’amore della Chiesa. Tutto il nostro amore e quello di Dio. Mi piacerebbe che si raccontasse ciò che facciamo di bello e vero nei confronti dell’infanzia come un sussulto educativo di aiuto concreto, di prossimità.
Abbiamo anche un dovere, però, di dire come stanno le cose e di non nascondere mai chi offende e viola un piccolo. Specialmente mentre certa stampa scandalistica – immondizia, più che altro – decide di accusare la Chiesa di perversione. Ridurre problemi gravi come la formazione di un clero adeguato, la giusta selezione nei seminari; ridurre le scelte coraggiose che papa Benedetto XVI sta attuando – e che tutti noi dobbiamo sostenere con il cuore e con l’anima – grazie anche alle nuove norme, ad un semplice calderone fatto di gossip e generiche accuse inutili anche come chiacchiere da bar, questo è una seconda violenza che viene perpetrata contro le vittime e contro la Chiesa, comunità di credenti che soffre perché piccole vittime sono state ferite e violate.
Per la Chiesa, in fondo, poco male: parlano i fatti. E i fatti dicono che stiamo lottando duramente perché ci sia un clero sempre più santo e mai più episodi di questo genere. Ma per le vittime una “stampa” che offre spaccati non veri e generalizza, accusando la Chiesa in fondo di essere un’infame congrega di pervertiti – o, peggio ancora, di pedofili, parola in questi amari giorni utilizzata spesso a casaccio – questo è un secondo colpo. Un colpo grave: perché chi scrive questa immondizia non si rende conto – o forse se ne rende, ma allora il peccato sarebbe più grave – che la Chiesa ha il dovere di ricostruire il rapporto di fiducia che è stato interrotto con l’abuso sulle piccole vittime. La Chiesa ha il dovere di essere madre, oltre che maestra; e non è una campagna stampa che accusa la Chiesa di essere una congrega di pervertiti, o editorialisti presunti tali decisi a dipingerla così, che permette alla Chiesa di agire come madre. Togliere un figlio ad una madre è un abominio.
Cari fratelli, come sapete vivo in un paese del Sud Italia – Avola (SR) – nella diocesi di Noto. Quando ho iniziato 21 anni fa ad occuparmi di queste vergogne, di questi peccati, di questi REATI, in tanti si sono chiesti perché lo facessi. Se lo chiedono ancora. La risposta è una sola: perché sono un prete, dunque padre – seppure spirituale – di tutti i nostri fratelli. E un padre non si disinteressa dei fatti. Un padre non commette quello che fanno sacerdoti degenerati indegni di Dio, della Chiesa e dei bambini. Un padre c’è e s’impegna. Un padre è giusto, o quantomeno prova ad esserlo. Invito tutti a meditare sulla medicina a base di amore e vicinanza che dobbiamo dare alle piccole vittime e le loro famiglie. Perché la Chiesa, madre prima che maestra, ama – e non respinge – i suoi figli.
In Cristo
Don Fortunato Di Noto
Avola (SR), 8 giugno 2011