Come curare le paralisi cerebrali

Intervista al professor Carlo Perfetti

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di Marialuisa Viglione

ROMA, martedì, 7 giugno 2011 (ZENIT.org).-Fino a qualche tempo fa si pensava che per recuperare i pazienti affetti da paralisi cerebrale bastasse operare sulle conseguenze motorie della lesione, ridurre la “rigidità” dei muscoli, esercitarli per rinforzarli, curare tendini e ossa con interventi di tipo fisico (operazioni ortopediche e tutori) o chimico (botulino), far leva sui riflessi. Dimenticando il cervello, perché danneggiato.

A riportare l’attenzione a monte, al cervello, sede della lesione, è stato il professor Carlo Perfetti con il suo gruppo di lavoro. 71 anni, toscano, 250 pubblicazioni, numerose monografie tradotte in diverse lingue, direttore dal 1980 della rivista “Riabilitazione Neurocognitiva”,giàprimario della sezione della unità sanitaria alto vicentino, è direttore del Centro studi di riabilitazione neurocognitiva di Santorso (Vi).

ZENIT lo ha intervistato.

Come ha inventato il metodo che adesso porta il suo nome?

Perfetti: Non ho inventato nulla. Mi sono limitato a interpretare le ricerche di alcuni neuroscienziati e a mettere in relazione il loro pensiero con gli esercizi in palestra. E così è nato l’esercizio terapeutico conoscitivo.

Dalla teoria della neuroscienza alla pratica in palestra con il terapista. In che modo il nostro sistema nervoso entra in rapporto con il mondo?

Perfetti: Con il linguaggio, l’attenzione, e un particolare modo di conoscere molto personale.

Tutte le patologie motorie possono utilizzare questa terapia conoscitiva?

Perfetti: Basta saper ragionare da riabilitatore. L’esercizio terapeutico conoscitivo si è dimostrato utile per una serie di patologie.

Che differenza c’è nel recupero tra un adulto e un bambino?

Perfetti: Se il bambino ha una velocità di sviluppo maggiore, una maggiore plasticità del cervello, è anche vero che l’adulto ha una maggiore esperienza pre lesione, fattore non trascurabile.

E’ giusto parlare di spasticità nel caso delle paralisi cerebrali?

Perfetti: Usato frequentemente dal neuropsichiatra infantile e dal neurologo, il termine fu coniato dai fisiologi che lavoravano di solito in animali decerebrati, in cui erano stati separati gli emisferi cerebrali dal midollo spinale, per capire ciò che accadeva al di sotto della lesione. Studiavano cioè alcuni circuiti neurologici di animali che non erano in grado di “intendere e di volere”. Quindi, non solo non è corretto, ma è anche umiliante per le persone, che si muovono facendo ricorso alla loro intelligenza e alla loro intenzionalità.

E come decifrate quindi la patologia delle persone che hanno avuto lesioni cerebrali?

Perfetti: Abbiamo individuato in tutti quei sintomi, definiti erroneamente spasticità, quegli elementi di ostacolo all’apprendimento di nuovi comportamenti e su questo abbiamo cominciato a lavorare per una riabilitazione che fosse efficace. Abbiamo cancellato in questo modo il termine spasticità. Non esistono esercizi, farmaci e neppure interventi chirurgici efficaci contro la “spasticità”.

Lei con il suo gruppo preferisce la palestra al laboratorio, mi pare

Perfetti: No, sono fondamentali tutti e due, solo che i loro risultati hanno diverso significato. In laboratorio si utilizzano cavie, animali. Noi invece lavoriamo con esseri umani.

In questo approccio riabilitativo il paziente è considerato come soggetto, non come oggetto da manipolare?

Perfetti: Certo, se non fosse così, non potrebbe migliorare. Il paziente deve in ogni caso essere e sentirsi il protagonista.

Qual è il compito del terapista?

Perfetti: Mettersi nei panni del bambino o del paziente in generale. Deve entrare nella mente dell’altro. Per questo usiamo il linguaggio, per farci spiegare come sente il corpo e cosa prova. Una tac o una risonanza magnetica non mi diranno mai cosa sente o cosa prova il bambino, ma io in riabilitazione ne devo tener conto.

E un genitore cosa deve fare?

Perfetti: Aiutare il bambino a conoscere. Farsi accarezzare. Far sapere cos’è il corpo. Non è una macchina. Mente e corpo sono un’unità, un tutt’uno. Far sentire il pavimento, la sabbia. E anche allenarsi a sentire il proprio corpo per capire il corpo del bambino e comprendere la sua mente. E’ un impegno.

Cosa è utile per proseguire la ricerca in un campo così delicato?

Perfetti: E’ utile potenziare la ricerca in palestra, mettere in stretto rapporto e far interagire il riabilitatore con lo scienziato. E oggi questo non esiste. Anche perché sarebbe necessario destinare fondi per questi scopi.

Come è arrivato a proporre questo approccio decisamente diverso?

Perfetti: Tutto inizia quarant’anni fa. Ero neurologo nella clinica della Malattie Nervose e Mentali dell’università di Pisa. Mi occupavo di bambini cerebropatici seguendo Adriano Milani Comparetti (fratello di don Milani) che aveva fondato il centro Aias di Pisa.

Erano gli anni delle scoperte neuromotorie: Bobath, Kabat, Voita. E’ bastato poco per accorgermi della scarsa soddisfazione di metodiche ripetitive e mi ero rassegnato a fare il neurologo. Ma ecco che incontrai Gianfranco Salvini, geriatra fiorentino che si occupava di riabilitazione. Entrambi rifiutavamo la riabilitazione dei riflessi e rinforzi muscolari. Ci si trovò subito d’accordo sulla neuropsicologia sovietica, Vigotskij, Lurija, Leont’ev, Anokhin, che metteva in luce l’essenzialità dei processi cognitivi.

E’ venuto, poi, il reparto a Calabrone (località tra Tirrenia e Livorno) e la scuola per terapisti della regione Toscana: qui ho formato terapisti di qualità, per portare avanti i nostri progetti di sperimentazione. Dopo sono passato all’ospedale di Schio e alla scuola della regione Veneto con cui ho continuato il lavoro di formazione. Per ultimo il centro studi di riabilitazione neurocognitiva di Santorso: qui abbiamo avuto i maggiori riconoscimenti internazionali.

E’ vero che il suo lavoro è molto seguito all’estero: Giappone, Austria, Svizzera, Spagna, Germania?

Perfetti: Sì, molto più che in Italia. Pensi che i testi della nostra scuola sono stai tradotti in molte lingue, e che in molti paesi esistono associazioni per lo studio della riabilitazione neurocognitiva che fanno capo a noi. In Giappone esiste una nostra associazione che conta circa 2000 iscritti. Quasi altrettanti sono quelli dell’associazione coreana. E ultimamente le nostre idee stanno conquistando l’America del sud.

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ZENIT Staff

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