Enzo Bianchi: l’azione liturgica deve essere un’opera d’arte

Nella prolusione al IX convegno liturgico internazionale di Bose

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di Chiara Santomiero

BOSE, lunedì, 6 giugno 2011 (ZENIT.org).- Quando l’arte è liturgica? Quando, cioè, serve la liturgia? E’ l’interrogativo che ha animato il IX Convegno liturgico internazionale dedicato appunto al tema “Ars liturgica. L’arte a servizio della liturgia” che si è svolto nel monastero piemontese di Bose, dal 2 al 4 giugno scorsi, per iniziativa dello stesso monastero e dell’Ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici della Conferenza episcopale italiana.

Come è caratteristica di questi appuntamenti, all’incontro hanno partecipato teologi, liturgisti, architetti, artisti e responsabili dell’edilizia di culto di 14 paesi europei con un’attenzione al tema che sottolinea le diverse tradizioni e le attuali ricerche ed esperienze presenti nelle chiese cristiane, nella chiesa cattolica ma anche nelle chiese ortodosse e nelle chiese della Riforma.

“Dobbiamo prendere atto – ha sottolineato il priore di Bose, Enzo Bianchi, nella prolusione al convegno – che proprio la liturgia oggi nella chiesa da luogo di comunione è diventata luogo di conflitto e che c’è anche un’incomprensione dovuta a linguaggi in atto non condivisi nel loro significato”.

Sacro, santo, liturgico

Occorre, quindi, una chiarificazione terminologica proprio a partire dal termine “sacro”. “Nella costituzione Sacrosanctum concilium – ha ricordato Bianchi –, ai nn. 122-130, si giunge a definire «ministerium» il rapporto tra arte e liturgia, indicando che l’arte è essenziale alla liturgia, ma che essa è «ministra», è al servizio della liturgia, dunque ne è parte costitutiva, ma sempre alla condizione che essa sia capace di operare la dinamica dal «mistero» rivelato al mistero celebrato”.

“Essendo definita «sacra» la liturgia – ha proseguito Bianchi -, si è sempre detta «sacra» anche l’arte che entra nella liturgia, ma oggi occorrerebbe specificare meglio, distinguendo tra l’arte religiosa che ha per soggetto «il mondo della religione» e l’arte liturgica cristiana, perché anche l’arte religiosa – e non solo quella profana! – non sempre appare idonea a essere collocata nel sito liturgico”.

Inoltre “leggendo con attenzione i numerosi passi della Sacrosanctum Concilium in cui ricorre il termine «sacro/a», ci si rende conto che questo aggettivo potrebbe essere sempre sostituito dal termine «liturgico/a» e che quindi il suo uso pare legato più a una tradizione di linguaggio che a un significato specifico”. Vale a dire che “quando cose, oggetti, spazi sono riservati e destinati alla liturgia, allora li si è detti «sacri» – spazio sacro, vaso sacro -, ma li si potrebbe definire semplicemente «liturgici»”.

Ma il sacro nelle religioni “è legato alla trascendenza, al divino, al «totalmente altro». Dio è sacro, la sua Parola è sacra, la Bibbia è sacra”. “Invero – ha aggiunto Bianchi – per fedeltà alla veritas hebraica occorrerebbe in questo senso parlare di «santità» (qadosh – qodesh): «Dio è tre volte santo (Qadosh, qadosh, qadosh: Is 6,3), i libri che contengono la parola di Dio sono santi, dunque santa Bibbia, libri santi…”.

“Potremmo però – ha concluso il priore di Bose – riassumere il «sacro» nel comportamento dell’uomo, il «senso del sacro», come un sentimento di riverenza, di timor Domini. Questo è l’unico vero «senso del sacro», disposizione interiore assolutamente necessaria nella vita di fede cristiana e perciò fondamentale nella celebrazione liturgica”.

“Il cristiano – ha avvertito Bianchi – deve essere consapevole del mutamento portato dall’incarnazione rispetto a tutto il culto da compiere davanti al Dio unico e vivente rivelato da Gesù Cristo” che ha abolito la separazione tra sacro e profano.

Perché in Gesù “il «sacro» di tempi, luoghi, persone, azioni ha lasciato il posto alla santificazione di tutta l’esistenza”. Se “Gesù non ha rigettato il culto, né ha voluto una comunità a-rituale, una comunità che non conosce la liturgia e i suoi luoghi e i suoi tempi in quanto l’uomo non può vivere e umanizzarsi senza azioni simboliche, senza riti e non è possibile una fede in Dio, una relazione con lui senza segni esteriori, senza liturgia” tuttavia “Gesù ha voluto che i riti, le liturgie fossero ispirazione e conferma della forma dell’esistenza del credente”.

Ne deriva che “battesimo, eucaristia, imposizione delle mani, preghiera appartengono all’agire di Gesù e sono costitutivi della chiesa, dunque assolutamente essenziali alla vita cristiana” ma questi riti “non bastano a se stessi, perché per essere salvifici devono originare un’esistenza cristiana «altra», santa, conforme a quella di Gesù e alla volontà di Dio”.

Allora “azioni, tempi e spazi connessi alla liturgia sono «liturgici» e non sono «sacri» nel senso della fenomenologia sacrale delle diverse religioni: devono essere conformi alle esigenze della liturgia che è adorazione, timore, memoriale di Dio e della sua salvezza”.

Arte religiosa e arte cristiana liturgica

Occorre, secondo il priore di Bose “focalizzare meglio il rapporto tra arte e liturgia”; senza dimenticare che “nello spazio cristiano è innanzitutto l’azione liturgica che deve essere un’opera d’arte”. “La prima bellezza epifanica – ha affermato Bianchi – deve essere trovata nell’azione liturgica, nella celebrazione, nella quale sono convocate le opere d’arte che non costituiscono lo scenario per la liturgia ma partecipano alla liturgia e – oserei dire – anch’esse concelebrano”.

A questo proposito va sottolineato che “c’è un’arte religiosa, a volte straordinaria, che però non è adeguata, non ha la capacità di entrare nella liturgia”. Oggi, secondo Bianchi “regna molta confusione sull’argomento, e per questo ci si avventura troppo facilmente sulle vie della sperimentazione e dell’improvvisazione”. Invece va ricordato che “una cosa è l’arte religiosa, anche cristiana, e un’altra è l’arte cristiana liturgica: quest’ultima è giudicata a partire dalla sua capacità mistagogica, cioè diventa arte liturgica quell’arte che è capace di fare segno, di evocare, di narrare il mistero che si celebra”.

Inoltre la stessa arte liturgica “deve essere anche giudicata a partire dalla sua possibilità di essere letta, percepita, accolta da parte dell’assemblea che, insieme all’arte, celebra il mistero”. Infatti “se le opere d’arte non sono lette, se non sono accolte come concelebranti, se addirittura disturbano l’assemblea celebrante, allora occorre avere il coraggio e la forza di espellerle dallo spazio celebrativo”.

Una finestra sull’invisibile

“L’arte che vuole entrare nella liturgia – ha affermato Bianchi -, con la sua bellezza, della materia e dell’arte umana, è chiamata a narrare la bellezza della presenza e dell’azione del Signore vivente”.

“Simboli e arte – ha proseguito il priore di Bose – testimoniano la convinzione che l’invisibile esiste, che la liturgia è una finestra aperta sull’invisibile, che il credente vuole esercitarsi a vedere l’invisibile per restare saldo in un mondo in cui il visibile sembra essere l’unica possibilità di lettura”. Il problema è, allora, “quale linguaggio e immaginario simbolico può attivare il desiderio spirituale dell’uomo attuale e aprire la sua mente e il suo immaginario verso l’eschaton e l’eterno”.

La simbolica e l’arte nella liturgia devono avere come fine “quello di suscitare la capacità di gratuità e di contemplazione, non di consumo o di possesso; di saper introdurre al senso del mistero, che non è affatto l’inconoscibile, ma ciò per il quale l’interesse e la ricerca non si esauriscono mai, anche quando lo si conosce parzialmente”.
“Il mistero infatti – ha sottolineato Bianchi -, e in particolare il mistero di Dio, diviene sempre più interessante, se-ducente, capace di condurre a sé, nella misura in cui a esso ci si avvicina progressivamente e se ne conosce qualcosa”.

Tutto questo “richiede da parte del credente un cammino di discernimento, un cammino ascetico mai concluso, un cammino faticoso di ricerca del senso inscritto in ogni bellezza, la quale sempre rimanda a Dio,autore della bellezza”. Questo, ha concluso Bianchi, significa “nessuna negazione, nessuna diffidenza verso la materia, verso le creature di questo mondo, verso l’opera delle mani dell’uomo. Occorre invece un’ascesi rigorosa affinché proprio nell’esperienza delle realtà sensibili siamo in grado di discernere le realtà invisibili ed eterne”.

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ZENIT Staff

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