Algeria: un cristiano condannato a cinque anni di carcere per un CD

Il governatore di Bejaia ordina la chiusura di tutti i luoghi di culto protestanti della provincia

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di Paul De Maeyer

ROMA, domenica, 5 giugno 2011 (ZENIT.org).-“Ha dato un CD ad un vicino, e per questo deve scontare cinque anni di prigione”. Con queste poche parole amare il pastore Mustapha Krim, presidente della Chiesa Protestante d’Algeria (EPA), ha riassunto a Compass Direct News (30 maggio) la pesante condanna inflitta di recente dalla giustizia del Paese maghrebino ad un cristiano evangelico, di nome Siaghi Krimo.

Il tribunale correzionale del distretto o “cité” di Djamel, ad Oran – Wahran in arabo, la città portuale a 470 chilometri ad ovest della capitale Algeri -, ha condannato infatti mercoledì 25 maggio il convertito ad una pena di cinque anni di prigione ed inoltre al pagamento di una multa di 200.000 dinari (circa 2.760 dollari) per aver “offeso il Profeta”. Krimo, che è sposato e ha una bambina di 9 mesi, ha 10 giorni di tempo per presentare appello.

L’uomo era stato arrestato insieme ad un altro cristiano – Sofiane – dai servizi di sicurezza algerini il 14 aprile scorso. Rimesso in libertà solo dopo tre giorni, Krimo è finito davanti al tribunale lo scorso 4 maggio. Ad accusare il cristiano di proselitismo e di blasfemia nei confronti del profeta Maometto è stato un suo vicino musulmano, a cui l’uomo aveva dato un CD e con cui aveva avuto una discussione sulla fede cristiana.

Ciò che colpisce nella vicenda è che l’intero processo contro Krimo si è svolto in assenza dell’unico testimone della presunta blasfemia – il vicino musulmano appunto – e anche di qualsiasi prova materiale. Questo “dettaglio” non ha impedito però al giudice di turno di andare ben oltre alla pena richiesta dal rappresentante del pubblico ministero. Mentre la procura aveva chiesto infatti una pena detentiva di due anni ed una pecuniaria di soltanto 50.000 dinari, il giudice ha deciso diversamente ed ha inflitto all’imputato la massima punizione prevista dal Codice Penale algerino per la violazione dell’articolo 144 bis 2.

L’articolo in questione, che si potrebbe definire la versione algerina della famigerata legge pachistana sulla blasfemia, prevede condanne detentive fino a cinque anni di galera per chi offende il Profeta o “i messaggeri di Dio” e per chi “denigra i dogmi e i precetti dell’islam attraverso testo scritti, disegni, dichiarazioni o qualsiasi altro mezzo” (Compass).

La dura condanna ha lasciato di stucco la comunità cristiana algerina. “Se cominciamo ad applicare la legge in questo modo, significa che non c’è rispetto per il cristianesimo”, così ha dichiarato il capo dell’EPA, Mustapha Krim, che teme ormai il peggio. “Molto presto tutti i cristiani d’Algeria si ritroveranno in carcere”, ha detto a Compass. “Se il semplice fatto di dare un CD al tuo vicino viene costare cinque anni di prigione, questo è catastrofale”.

Anche il legale di Krimo, Mohamed Ben Belkacem, ha parlato di una sentenza inaspettatamente dura, la quale rispecchia il pregiudizio da parte del potere algerino verso i cristiani. “Non ci aspettavamo per nulla questa sentenza”, ha confessato a Compass. “Il giudice ha punito il «cristiano», non l’«imputato». Non c’era prova, e ciononostante la Corte non ha accettato circostanze attenuanti”, ha continuato il legale, il quale ha ricordato che Krimo aveva “buoni contatti” con il vicinato e si è del resto proclamato innocente. “Il mio cliente ha negato di aver insultato il Profeta e non c’è alcuna prova materiale a sostegno di quest’accusa”, ha sottolineato Ben Belkacem.

Alcuni non escludono del resto che la Corte abbia subìto delle pressioni per condannare il cristiano ad una pena esemplare. “Il giudice avrebbe normalmente scagionato Krimo da tutte le accuse, ma penso che abbia ricevuto l’ordine dai suoi superiori di colpire duramente”, ha dichiarato un rappresentante dell’EPA, citato dall’organizzazione International Christian Concern (28 maggio).

Per molti commentatori, la sentenza di Oran riflette infatti il nuovo giro di vite da parte del governo del presidente Abdelaziz Bouteflika (al potere dal 1999) contro le chiese evangeliche. Emblematica per il clima che si è instaurato nel Paese – definito “deleterio” dal quotidiano El Watan nel suo editoriale del 25 maggio – è la decisione del governatore o “wali” della provincia di Bejaia (o Bugia), Ahmed Hammou Touhami, di imporre la chiusura definitiva di tutti e sette luoghi di culto protestanti nella provincia nordorientale, di cui due nell’omonima città della Cabilia.

In una dichiarazione inviata il 22 maggio scorso all’EPA, il governatore ha spiegato la sua decisione, scrivendo che tutte le chiese della provincia erano illegali perché non registrate presso le autorità, come impone invece la legge n. 06-03 (oppure 06-02 bis), nota anche come l’Ordinanza 06-03. “Non siamo contro l’esercizio dei culti diversi da quello musulmano. Non abbiamo fatto altro che invitare le comunità religiose non musulmane a rispettare la legge”, si è difeso il governatore. “Domandiamo a loro di conformarsi alla legge. Alcuni esercitano i loro culti in garage” (El Watan, 25 maggio).

Ben diversa è la versione fornita dalla Chiesa protestante locale. Secondo Mustapha Krim, “tutte le pratiche necessarie sono state avviate a livello della Commissione nazionale dei culti e del ministero dell’Interno dopo la promulgazione di questa legge 06-03 per la regolarizzazione della nostra situazione”. Mosse che si sono rivelate finora invane, anche a causa di un “blocco” a livello ministeriale.

La norma, introdotta nel 2006, è molto controversa. Secondo gli esperti, ha creato “una zona grigia nella quale il governo e la polizia hanno lo spazio per agire contro la Chiesa. Questa legge permette al governo di condannare i credenti per la loro fede o per culto illegale anche se la Costituzione garantisce la libertà religiosa” (Compass, 5 ottobre 2010). Altrettanto netto è il giudizio di Mustapha Krim, il quale conferma l’utilizzo strumentale, anzi “inquisitorio nei confronti dei cristiani”, della normativa (El Watan, 25 maggio).

Per l’avvocato Ben Belkacem, “i cristiani vivono in una situazione molto difficile in Algeria”. “Vengono – sostiene – solo tollerati per motivi di politica estera e in realtà non hanno alcuna libertà di culto, visto che nessuna associazione viene riconosciuto nonostante i numerosi sforzi” (Compass, 25 maggio).

Anche El Watan non ha dubbi. “L’intolleranza ufficiale continua ad infuriare” in Algeria, un Paese in cui “essere in possesso di Vangeli o Bibbie è diventato un crimine passibile della prigione”. Il quotidiano accusa d’altronde le autorità di Algeri di fare il gioco degli integralisti e fondamentalisti, in particolare del Fronte Islamico di Salvezza o FIS. “I padroni attuali del Paese stanno applicando il programma del FIS senza il FIS”, così conclude il quotidiano il suo editoriale del 25 maggio, intitolato “Purificazione religiosa”.

Come ricordato da Compass, l’Algeria conta oggi più di 99.000 cristiani, che rappresentano meno dello 0,3% della popolazione composta da 35,4 milioni di abitanti.

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ZENIT Staff

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