Educare alla virtù con la testimonianza nella società liquida odierna

Dialogo nella cattedrale di San Giovanni tra i professori Frudà e Botturi

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ROMA, venerdì, 8 aprile 2011 (ZENIT.org).- Oggi che è in atto un forte cambiamento, frutto di uno uno strisciante individualismo che sta spingendo sempre più verso una società liquida e schizofrenica, si registra anche un crescente bisogno di ritornare a educare alla virtù in modo concreto, e cioè attraverso la testimonianza. 

E’ quanto è emerso in sintesi dal terzo e ultimo incontro del ciclo “Dialoghi in Cattedrale 2011”, tenutosi nella Basilica papale di San Giovanni in Laterano sul tema “Il ritorno della virtù. Un progetto educativo per la città”. All’evento sono intervenuti il Cardinale Agostino Vallini, Vicario generale del Santo Padre per la Diocesi di Roma, il prof. Luigi Frudà, docente di metodologia e tecniche della ricerca sociale all’Università “La Sapienza” di Roma, e il prof. Francesco Botturi, docente di filosofia morale all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

Nel tirare le somme al termine della serata il Cardinale Vallini ha detto: “Credo che nel contesto della vita odierna, ci sia un grande bisogno di testimoni. Lo diceva già Paolo VI nel 1975 nella famosa Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi, in cui affermava che il mondo non crede tanto ai maestri, se non quando sono testimoni”.

“E’ il testimone che propone un messaggio credibile”, ha spiegato il porporato e tutto lascia intuire che attualmente “si vada in cerca di questi segni” anche “se a volte sono un po’ nascosti”. “Il punto fondamentale è quindi quello di fare emergere la forza della testimonianza”. 

Il Cardinale Vallini ha poi ricordato un grande testimone della contemporaneità come Giovanni Paolo II ed ha auspicato “che la beatificazione possa riportare la testimonianza di questo Papa, in particolare nella Veglia al Circo Massimo”. 

Nel suo intervento il prof. Frudà è partito dalla concezione agostiniana che “la virtù è ordo amoris”, e che nel corso della storia si è trasformata in sinonimo di verità, onore, gloria e coraggio, interfacciata al bene e alla bontà. Mentre al giorno d’oggi essa è divenuta virtuale, cioè non reale. 

Questa disposizione abituale e ferma a compiere il bene – ha aggiunto – si lega profondamente alla famiglia in quanto cellula fondamentale di ogni società. E qui il professore Frudà ha segnalato le trasformazioni epocali in atto che insidiano l’istituto familiare, dato che “dall’età della Bibbia sino agli anni ’50 è sempre stata la stessa”, mentre “dal dopoguerra in poi le cose sono molto cambiate”.

Il docente ha poi riportato alcuni dati statisitci secondo cui trent’anni fa in Italia vi erano 54 milioni di abitanti, con 16 milioni di famiglie (con 3,4 membri ciascuna), mentre oggi con 60 milioni di abitanti, le famiglie sono 25 milioni (con 2,4 membri ciascuna). “Dalla figura grafica di una piramide sociale – ha spiegato – si è passati a quella di una pera molto erosa alla base”. Un fenomeno dovuto al calo del tasso di fecondità medio per donna fertile a 1,4 figli, mentre il minimo per il ricambio generazionale è 2,1.

“Abbiamo combinato qualche pasticcio”, ha sottolineato il docente ricordando che “Luigi Sturzo nel 1935 aveva previsto che il ruolo sociale della famiglia sarebbe diminuito a causa della diminuzione della prole”, generando così una società sempre più frammentata e individualistica.  “Perché oggi esiste una esplosione di individualità – ha detto –, un po’ come un grande supermarket nel quale ciascuno si può prendere le conoscenze e le relazioni che vuole”.

Per avere una visione allargata della virtù è necessario, quindi, un recupero della relazionialità capace di “controbilanciare questa sorta di delirio di onnipotenza”, attravero “un progetto educativo che deve includere l’idea della conquista, del sacrificio, e che vede nella pratica quotidiana della virtù un dovere”.

“La virtù non è morta – ha detto – ci sono molti indicatori: una realtà enorme di persone che si spendono per gli altri, quasi un milione di volontari e senza fine di lucro. Vale a dire un esercito che si spende nella pratica della virtù”. Un esempio, a questo proposito, sono le banche del tempo nelle parrocchie, dove tanta gente si spende in progetti di assistenza sociale. Come affermava il Manzoni, ha ricordato, bisognerebbe impegnarsi di “più a far bene che a star bene e così si finirebbe a star meglio”.

Il prof. Botturi ha invece imcentrato la sua riflessione sul tema della virtù – che normalmente “rimane rinchiusa in una prospettiva unilaterale, forse moralistica” – come intimamente collegata all’idea di uomo.

“L’idea della virtù alla quale la modernità rinuncia è quella di una modalità di vita” perché “questa porta a un’idea alta dell’uomo”, ha detto ricordando come la rottura verificatasi nella modernità ha coinciso con una idea chiave dell’umanesimo occidentale, quella cioè della virtù come segno della centralità del soggetto.

Perché essere virtuosi, allora? Aristolele rispondeva: perché è “un cosa bella”. Ma anche i codici di deontologia oggi presenti nelle aziende puntano sulle virtù, per contrastare quell’inquinamento umano sui luoghi di lavoro dovuto a gelosia, invidia e concorrenza sleale.

Il problema della virtù, quindi, dimostra la crisi antropologica che colpisce l’uomo odierno, che ha smarrito il senso e la direzione. Anche il corpo umano è oggetto da una parte di sperimentazione e dall’altra di desiderio, di autoesaltazione erotica, di corpo impersonale. 

In più si soffre di due antinomie della libertà: da un lato la voce di chi sostiene che la libertà non esiste e d’altra chi afferma che siamo tutti assoggettati al “determinismo neuronale”.

Per il prof. Botturi, gli squilibri sono sempre esistiti ma la spaccatura che viviamo oggi non è avvertita come tale. Cioè ci troviamo in una cultura schizofrenica dalla quale possiamo uscire solo attraverso un ripensamento della virtù nella vita pratica.

“Oggi la grande sfida – ha concluso – è quella educativa, e la capacità di produrre vite virtuose mette alla prova gli educatori”, perché “la virtù non si insegna, ma la si rende possibile con l’esempio”.

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ZENIT Staff

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