Quaresima: vedere la vita con gli occhi di Dio

IV Domenica di Quaresima, 3 aprile 2011

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di padre Angelo del Favero*

ROMA, venerdì, 1° aprile 2011 (ZENIT.org).- Il Signore disse a Samuele:“Fino a quando piangerai su Saul, mentre io l’ho ripudiato perché non regni su Israele? Riempi d’olio il tuo corno e parti. Ti mando da Iesse, il Betlemmita, perché mi sono scelto tra i suoi figli un re”.(…) Quando furono entrati, egli vide Eliab e disse: “Certo, davanti al Signore sta il suo consacrato!”. Il Signore replicò a Samuele: “Non guardare al suo aspetto, né alla sua alta statura. Io l’ho scartato perché non conta quel che vede l’uomo: infatti l’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore”. Iesse fece passare davanti a Samuele i suoi sette figli e Samuele ripeté a Iesse: “Il Signore non ha scelto nessuno di questi”. Samuele chiese a Iesse: “Sono qui tutti i giovani?”. Rispose Iesse: “Rimane ancora il più piccolo che ora sta a pascolare il gregge”. Samuele disse a Iesse: “Manda a prenderlo, perché non ci metteremo a tavola prima che egli sia venuto qui”. Lo mandò a chiamare e lo fece venire. Era fulvo, con begli occhi e bello di aspetto. Disse il Signore: “Alzati e ungilo: è lui!” Samuele prese il corno dell’olio e lo unse in mezzo ai suoi fratelli, e lo spirito del Signore irruppe su Davide da quel giorno in poi. Samuele si alzò e andò a Rama (1 Sam 16,1.4.6-7.10-13).

Passando vide un uomo cieco dalla nascita..e gli disse: “Va’ a lavarti nella piscina di Siloe. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva. (…) Gli disse Gesù: “Tu, credi nel Figlio dell’uomo?”. Egli rispose: “E chi è, Signore, perché io creda in lui?”. Gli disse Gesù: “Lo hai visto: è colui che parla con te”. Ed egli disse: “Credo, Signore!”. E si prostrò dinanzi a lui. Gesù allora disse: “E’ per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano, e quelli che vedono diventino ciechi” (Gv 9,1-41).

Nella prima Lettura di questa IV Domenica di Quaresima è singolare che, dopo l’affermazione divina: “Io l’ho scartato perché non conta quel che vede l’uomo: infatti l’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore”, la Scrittura si fermi a descrivere proprio l’apparenza di Davide: “..il più piccolo.. fulvo, con begli occhi e bello di aspetto” (1Sam 16,11.12).

Come interpretare questa apparente incongruenza? Ecco un’autorevole risposta: “La descrizione sottolinea che (Davide) non è adatto ad essere re. Saul fu eletto perché “superava dalle spalle in su” tutti gli uomini di Israele (cf 1Sam 9,2). Il re, allora, era soprattutto il capo guerriero. Davide, quindi, fulvo e di gentile aspetto, non può diventare un uomo d’armi e andare in guerra; non può essere messo a capo del popolo, non ha lo sguardo di fuoco, non è un dominatore. E’ un buon amico, un semplice, ma è amato dal Signore. La prima componente della vocazione è la pura benevolenza di Dio” (C. M. Martini, Davide, peccatore e credente, p. 21).

Dunque colui che non era adatto ad essere re (secondo i canoni umani soddisfatti dalle figure imponenti di Saul e di Eliab), Dio lo consacra e lo fa divenire non solo il più grande re d’Israele, ma profezia viva di Cristo, il Re dei re. Certo è stata la pura e gratuita benevolenza di Dio a scegliere Davide, tuttavia tale preferenza sembra essere stata favorita dalla bellezza del suo “aspetto”, una bellezza che si chiama umiltà: “Con Saul, si pensava ancora che la regalità equivalesse a vincere sempre, ad avere sempre ragione, a non umiliarsi mai, ad avere un destino già fissato nella gloria. Con Davide, si comprende che la regalità può andare insieme all’umiltà, e questa coscienza la ritroveremo nei profeti, particolarmente in Sofonia e Zaccaria: “Esulta grandemente figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile cavalca un asino, un puledro figlio d’asina” (Zc 9,9).” (C. M. Martini, idem, pp. 163-164).

Il canto del Magnificat esprime mirabilmente il giubilo dell’umile Maria, la “figlia di Sion”: in Lei e per Lei si compiono le profezie sulla venuta del re-Messia: certo, passeranno trentatre anni prima che il Signore entri in Gerusalemme sopra un asino tra palme festanti (Mc 11,2), ma la sua venuta nell’umiltà della carne è un evento già in atto sin dal concepimento verginale di Gesù nel suo grembo (Gv 1,14 ed Eb 10,7: “Allora ho detto: “Ecco, io vengo…per fare, o Dio, la tua volontà”).

Che Dio non scelga in base all’apparenza (“gli occhi”, per la Bibbia), ma in base alla verità interiore della persona (“il cuore”), lo riconosciamo facilmente in tutti quei piccoli, deboli ed emarginati di cui Egli si è servito e si serve da sempre per “spiegare la potenza del suo braccio, disperdere i superbi nei pensieri del loro cuore, rovesciare i potenti dai troni” (Lc 1,51-52a).

Perciò il credente è grandemente confortato dalla storia della salvezza, la quale dimostra puntualmente che le sorti del Regno, grazie a Dio, dipendono più dalla debolezza che dalla forza degli strumenti da Lui scelti, come sarà il caso del piccolo Davide di fronte a Golia.

La maggioranza degli uomini potrebbe tuttavia pensare che il criterio divino della scelta del più piccolo non li riguarda, dato il fatto che pochi sono i chiamati ad una vocazione particolare come quella di Davide o di altre figure storiche (pensiamo alla vita e all’opera di Madre Teresa), mentre la maggior parte della gente conduce un’esistenza ordinaria, non di rado succube delle ingiustizie di quei superbi e potenti che troppo spesso rimangono saldi al loro posto.

Eppure l’affermazione della “pura benevolenza di Dio” quale “prima componente” della vocazione, è valida e vera per ogni uomo, dal momento che il dono stesso della vita, segno e prova dell’amore del Creatore, non solo è il presupposto di ogni vocazione, ma ha inscritto nel suo DNA spirituale uno speciale progetto di eterna felicità. Infatti: “L’amore di Dio non fa differenza fra il neoconcepito ancora nel grembo di sua madre, e il bambino, o il giovane, o l’uomo maturo o l’anziano. Non fa differenza perché in ognuno di essi vede l’impronta della propria immagine e somiglianza…Per questo il Magistero della Chiesa ha costantemente proclamato il carattere sacro e inviolabile di ogni vita umana, dal suo concepimento sino alla sua fine naturale” (Istruzione Dignitas personae, n. 16).

Queste stupende parole oggi vengono confermate da Dio stesso: “..infatti l’uomo guarda l’apparenza, ma il Signore guarda il cuore”. Tra il concepito di un giorno e il morente di cent’anni non c’è differenza agli occhi di Dio: entrambi sono e saranno in eterno persone che Egli ha creato ad immagine del suo Figlio diletto (Gen 1,27).

Quando, non senza grande fatica, si assume il punto di vista di Dio anche riguardo ai fatti più drammatici (nella mia parrocchia, una giovane di 19 anni da tre settimane si ritrova di colpo nelle condizioni di Eluana), la luce della fede può brillare così intensamente da convincere ancor più che ogni essere umano “possiede una vocazione eterna ed è chiamato a condividere l’amore trinitario del Dio vivente..amore sconfinato e quasi incomprensibile per l’uomo, che rivela fino a che punto la persona umana sia degna di essere amata in se stessa, indipendentemente da qualsiasi altra considerazione –intelligenza, bellezza, salute, giovinezza, integrità e così via” (Istruzione Dignitas personae, n. 8).

Questo sguardo sulla verità divina della vita umana, è la luce stessa della fede, necessaria ad ogni uomo per capire se s
tesso. Tutti gli uomini, infatti, sono “ciechi dalla nascita”, poiché l’intelligenza della sola ragione non consente, senza la fede, di riconoscere la piena verità della vita umana, rivelata dal Figlio di Dio venuto ad abitare in mezzo a noi: Io sono venuto in questo mondo perché coloro che non vedono, vedano..” (Gv 9,39a).

Gesù conclude questa sua affermazione luminosa in maniera oscura aggiungendo: “..e quelli che vedono diventino ciechi” (9,39b). Significa che la condizione necessaria per riconoscere la verità integrale della vita, (non solo nei termini del suo valore assoluto, intangibile e mai negoziabile, ma anche a riguardo della condotta morale insegnata dal Magistero) è l’umiltà del cuore, rappresentata oggi nel piccolo Davide. Ogni bambino possiede per natura tale umiltà, ma, diventato adulto, la perde se non rinuncia all’atteggiamento orgoglioso dell’autosufficienza intellettuale. Accade, in tal caso, che l’io finisca per accecare se stesso, presumendo (sia pure in “buona fede”) di possedere un discernimento migliore di quello della Chiesa, Maestra della Verità. Se così non fosse, ad esempio, non si cederebbe alla tentazione della polemica pubblica contro le indicazioni del Magistero sulle questioni più rilevanti in tema di bioetica.

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* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E’ diventato carmelitano nel 1987. E’ stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.

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ZENIT Staff

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