Migranti: con Wojtyla, cresciuti i polacchi a Roma

Comuni radici cattoliche, ma non è l’Italia la meta preferita

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di Mariaelena Finessi

CITTÀ DEL VATICANO, venerdì, 1 aprile 2011 (ZENIT.org).- Via dei Polacchi, Vicolo dei Polacchi, Viale Maresciallo Piłsudski, Viale Mickiewicz, Piazza Sienkiewicz e la Villa Poniatowski sono solo alcune delle vie e dei luoghi che testimoniano la presenza dei polacchi a Roma nei secoli scorsi.

A raccontarne le ragioni e l’evoluzione, in un dibattito tenutosi presso la Radio Vaticana lo scorso 31 marzo, esperti di comunicazione, rappresentanti di sindacati, associazioni culturali e religiose. Promotore, l’Osservatorio Romano sulle Migrazioni che, attraverso i dati forniti dalle organizzazioni a cui esso fa capo (Caritas diocesana, Camera di Commercio e Provincia di Roma), dà il via, proprio a partire dalla Polonia, alla serie di incontri dedicati alle collettività di immigrati nella capitale.

Il dato della World Bank sulle rimesse inviate in Polonia racconta di una comunità considerata ormai strutturale del tessuto sociale italiano: dei 9 miliardi di dollari calcolati nel 2010, pari al 2% del PIL, solo una piccola quota proviene dall’Italia, fattore che conferma il processo di insediamento. «Una collettività di immigrati “normale” insomma  – spiegano i redattori del “Dossier Statistico Immigrazione Caritas/Migrantes” -, che costituisce un invito a parlare “in positivo” degli immigrati».  

Tra i relatori, Ewa Blasik (Segreteria Cisl Roma e Lazio) e l’ambasciatrice presso la Santa Sede, Anna Kurdziel, che ricordano la storica amicizia tra i due Paesi, testimoniata con diverse iniziative nel corso del Risorgimento italiano e con l’apporto che il II Corpo d’Armata polacco diede, negli anni tragici della seconda Guerra mondiale, allo sfondamento della “Linea Gustav”, della “Linea Gotica” e alla liberazione, ad esempio, di Bologna. Un impegno umano che costò allora 4 mila morti e 9 mila feriti.

Poco più di 100 mila – il 70% dei quali è donna -, oggi  gli immigrati polacchi sono concentrati per un quinto nell’area romana. Pur rappresentando l’ottava collettività per consistenza numerica e pur essendo l’Italia molto amata dai polacchi, il Bel Paese non è però in cima alle preferenze dei concittadini di Giovanni Paolo II poiché, laureati e specializzati, si indirizzano altrove, specie in Gran Bretagna, alla ricerca di sbocchi professionali più appaganti.

Quello polacco è dunque uno dei casi più significativi del cosiddetto “brain waste”, spreco dei cervelli, costretti in mestieri di ripiego, come nei servizi domestici che sembrano rappresentare, almeno nella prima fase del processo migratorio, una tappa obbligata. Dopo il 2004, quando l’Europa paventava lo spauracchio dell’invasione del cosiddetto “idraulico polacco”, l’inserimento nel tessuto italiano, e più specifico romano, può dirsi pacifico: sono circa 11 mila, ad esempio, gli studenti e altrettanti i polacchi che hanno acquisito la cittadinanza italiana, specialmente a seguito dei matrimoni misti, quantificati dal censimento del 2001 in 6.531, nei quali ad essere polacca è nell’88,8% la moglie.

Di certo è che dopo una lunga storia di migrazioni di carattere prevalentemente “politico”, la Polonia è stata ed è ancora oggi un grande serbatoio di manodopera, non solo in Italia ma anche in tutto il resto dell’Europa occidentale e in Nord America. Gli ultimi dati di Eurostat, relativi al 2008, parlano di oltre un milione di polacchi residenti nell’Unione, una cifra di poco inferiore al milione e 200 mila emigrati italiani.

Ripercorrendo la storia, si ricorda che se nel dopoguerra, tra gli anni Cinquanta e Settanta, il fenomeno migratorio polacco aveva un carattere politico-ideologico, per cui molti cercavano di sfuggire al regime comunista, gli anni Ottanta sono stati dominati dalla figura di Giovanni Paolo II – primo Papa polacco della storia della Chiesa cattolica – e dalla proclamazione della legge marziale in Polonia (1981). Due eventi, questi ultimi, che hanno visto ridisegnarsi gli assetti migratori.

Il pontificato di Wojtyla ha favorito infatti gli scambi per motivi religiosi, e «grazie a lui e ai suoi viaggi in Polonia, abbiamo imparato a conoscere questa terra in modo assolutamente nuovo, tanto che oggi – come sostiene padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa Vaticana – siamo diventati tutti un po’ polacchi». La nuova normativa invece – con le sue drammatiche conseguenze sul sistema produttivo – ha fatto crescere i flussi per motivi economici. Nasceva allora la prima migrazione moderna.

A spiegare che la fede cattolica è importante nella formazione culturale della Polonia interviene padre Adam Dalach, coordinatore nazionale della pastorale polacca in Italia: «I miei concittadini sono particolarmente religiosi – precisa – e chiedono riguardo per la loro fede. Eppure, parlando di integrazione, raramente si fa riferimento alla dimensione religiosa, quando in realtà dare sostegno alla fede vuol dire contribuire alla stabilità familiare, del cuore e dello spirito del migrante in generale, e del polacco in particolare. In fondo, essere bravi cristiani equivale ad essere dei bravi cittadini».

Ricordando infine come l’Italia sia alle prese, più di altri, con la gestione del fenomeno migratorio, padre Adam sottolinea tuttavia che «ogni immigrato è, per così dire, ambasciatore o mediatore culturale. Ciò vuol dire che esso è chiamato a rispettare le leggi del Paese d’accoglienza, ma allo stesso tempo deve poter esercitare un sano diritto di critica. Non tutto – conclude – può essere accettato così come è».

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ZENIT Staff

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