Biotecnologie e sviluppo dei paesi poveri

Intervista al professor Drew L. Kershen

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di Piero Morandini

ROMA, venerdì, 1° aprile 2011 (ZENIT.org).- Le piante transgeniche suscitano un grande interesse nella Chiesa per le loro potenzialità ad aumentare le rese, migliorare gli alimenti e ridurre l’impatto dell’agricoltura sull’ambiente. Se i benefici reali e quelli potenziali sono grandi, grande è anche il timore nel mondo cattolico, ed in particolare negli ambienti missionari, che le piante transgeniche rappresentino una nuova forma di schiavitù per i paesi poveri nei confronti dei grandi gruppi multinazionali.

Per questi motivi ZENIT ha voluto intervistare il prof. Drew Kershen, un esperto di problemi legali delle biotecnologie, dell’agricoltura e dei diritti di proprietà intellettuale.

Drew L. Kershen è professore di Legge (cattedra “Earl Sneed”) al Collegio di Giurisprudenza dell’Università dell’Oklahoma, Stati Uniti. Ha insegnato giurisprudenza fin dal 1971 tenendo, tra l’altro, corsi di Diritto agrario e di Diritto delle acque. Ha ottenuto la laurea all’Università di Notre Dame, il dottorato all’Università del Texas, Austin, e un master in giurisprudenza dall’Università di Harvard.

Il prof. Kershen ha insegnato “Politica e Giurisprudenza delle Biotecnologie Agrarie” fin dal 1999. Si è concentrato sull’insegnamento e la ricerca degli aspetti legali delle Biotecnologie Agrarie, tra cui i diritti della proprietà intellettuale, la regolamentazione, gli affari internazionali e la responsabilità legale. Il prof. Kershen ha participato alla Settimana di Studio organizzata presso la Pontificia Accademia delle Scienze su “Le piante transgeniche per la sicurezza alimentare nel contesto dello sviluppo” tenutasi in vaticano nel Maggio del 2009.

E’ convinzione diffusa che solo i grandi gruppi multinazionali producano piante transgeniche. Di conseguenza i contadini sarebbero costretti a pagare generose e sempre crescenti royalty a queste ditte. E’ questo uno scenario realistico?

Kershen: Le imprese multinazionali hanno di fatto un ruolo significativo nella creazione e ancora di più nella commercializzazione delle varietà transgeniche. Ma è un mito che le grandi ditte multinazionali siano le sole creatrici e sviluppatrici di tali varietà. Anche gli scienziati del settore pubblico in università e istituzioni di ricerca agraria nazionali contribuiscono in modo significativo allo sviluppo delle varietà moderne, comprese quelle transgeniche. Brasile, Cina, India e le Filippine (giusto per citare quattro nazioni rilevanti) hanno molti scienziati con sostanziali risorse finanziarie e fisiche dedicate al miglioramento genetico di molte specie vegetali. Questi programmi del settore pubblico hanno fatto un lavoro eccellente a beneficio degli agricoltori nei propri paesi e altrove.

Per quanto riguarda la ricerca pubblica, queste colture migliorate (che siano ottenute per transgenesi o con metodi convenzionali) porteranno benefici ai coltivatori attraverso i programmi di formazione agricola di ogni nazione. Le colture prodotte dal settore pubblico sono sviluppate per il bene comune e lo sviluppo agricolo.

Per quanto riguarda le multinazionali, i contadini acquistano le varietà transgeniche perché ne vedono già ora i benefici agronomici, sociali, economici ed ambientali nei loro campi. Nel 2010, 15.4 milioni di agricoltori, di cui 14.4 milioni sono contadini poveri, hanno piantato varietà transgeniche. Questi agricoltori lo hanno fatto perché queste colture hanno migliorato il loro modo di coltivare e le loro vite. Lo hanno fatto volontariamente perché volevano sementi migliorate. Gli agricoltori calcolano facilmente la convenienza delle sementi migliorate, tenendo conto del prezzo d’acquisto, royalty incluse. Se gli agricoltori pensano di non ottenere benefici da un particolare seme, allora non compreranno quel seme.

I fatti ci dimostrano che gli agricoltori vogliono veramente queste sementi migliorate. Essi hanno piantato 148 Milioni di ettari di piante transgeniche nel 2010; fin dal primo lancio sul mercato nel 1996, gli agricoltori hanno piantato più di un miliardo di ettari con piante transgeniche. Questa è stata la più veloce adozione di una tecnologia a agricola da parte dei contadini nella storia dell’agricoltura. Gli agricoltori conoscono i loro campi e sanno fare i loro interessi. Gli agricoltori vogliono piantare colture transgeniche.

Qual’è il ruolo dei diritti di proprietà intellettuale, e in particolare dei brevetti, nel caso delle piante?

Kershen: I diritti di proprietà intellettuale nelle piante prendono diverse forme legali: i certificati di varietà vegetali (un concetto sviluppato in Europa negli anni 50 e 60), marchi ed indicazioni geografiche (più comuni ad esempio nel settore dei vini e dei formaggi, con denominazioni di origine ben antiche), segreti commerciali (informazioni tenute confidenziali circa le linee parentali usate per fare gli ibridi in voga fin dagli anni 20), brevetti vegetali sulla riproduzione asessuata (di frutti e piante ornamentali in particolare, inventata negli Stati Uniti negli anni 30) e brevetti di utilità ordinari (adottati per la prima volta per degli organisminegli USA nel 1980, ma ora riconosciuti nelle legislazioni brevettuali di molti paesi nel mondo). Ne concludiamo che i diritti di proprietà intellettuale sulle piante esistono da decenni e sono ben presenti nei sistemi legali. Allo stesso momento è importante ricordare che non esistono diritti di proprietà intellettuale internazionali. I diritti di proprietà intellettuale dipendono da legislazioni specifiche di ciascuna nazione. Per questo, il fatto che una ditta abbia dei diritti di proprietà intellettuale su una particolare varietà vegetale in un certo paese, questo non significa che la ditta abbia dei diritti sugli stessi semi in un altro paese.

Le nazioni si dotano dei sistemi di proprietà intellettuale per incoraggiare invenzioni ed innovazioni. Concedendo dei diritti di proprietà intellettuale al creatore di processi o prodotti che siano nuovi, utili (e quindi frutto dell’ingegno umano), i paesi permettono al creatore di recuperare i costi di ricerca e sviluppo e i costi di commercializzazione (che spesso includono i costi per l’approvazione secondo normativa) che sono richiesti per portare il processo o il prodotto sul mercato. I diritti di proprietà intellettuale quindi forniscono un incentivo per la creazione di nuova conoscenza e la sua disseminazione in una nazione e nel mondo.

Quali sono gli effetti diritti di proprietà intellettuale sui contadini poveri? I diritti di proprietà intellettuale hanno ricadute positive anche sui contadini poveri?

Kershen: Siccome i diritti di proprietà intellettuale stimolano la ricerca, lo sviluppo e il rilascio commerciale delle sementi migliorate, i contadini poveri e la società nel suo complesso riceve un beneficio dalla maggior conoscenza e dall’avanzamento tecnologico. Non va inoltre dimenticato che i contadini poveri spesso vivono in paesi dove non ci sono diritti di proprietà intellettuale sulle piante. Per questo i diritti di proprietà intellettuale non sono barriere significative per quegli agricoltori poveri che usano questa conoscenza e tecnologia nuova. Inoltre coloro che detengono i diritti di proprietà intellettuale spesso negoziano dei contratti per uso “umanitario”, così che i contadini poveri possono accedere a sementi migliorate senza restrizioni o ostacoli da parte di chi ha sviluppato la semente. Per esempio, coloro che lavorano allo sviluppo e al rilascio di nuovedi riso migliorato nel profilo nutrizionale (Golden rice, arricchito in provitamina A) hanno ottenuto i diritti brevettuali dal detentore del brevetto in maniera semplice, relativamente veloce e senza costi.

I diritti di proprietà intellettuale non sono stati per i contadini poveri un ostacolo significativo per l’accesso a sementi migliorate. La barriera più rilevante per l’accesso a tali sementi sono st
ate le normative che impongono richieste discriminatorie, inutili e onerose per l’approvazione delle sementi transgeniche. Per esempio, il Sud Africa ha approvato l’uso di alcune piante transgeniche e i coltivatori di questo paese hanno piantato 2,2 milioni di ettari di piante transgeniche nel 2010. In contrasto, la Tanzania ha una normativa che ha impedito ai suoi agricoltori l’accesso a sementi transgeniche. Nonostante il chiaro esempio di colture transgeniche nel Sud Africa, i legislatori della Tanzania negano le piante transgeniche ai loro agricoltori. L’impatto negativo dei diritti di proprietà intellettuale sui coltivatori è minimo; l’impatto negativo delle normative discriminatorie sui coltivatori poveri è enorme ed indifendibile.

Se i contadini poveri nei paesi in via di sviluppo adottassero le sementi migliorate, tra cui anche quelle transgeniche, non perderebbero le loro sementi tradizionali e la loro indipendenza? Tali paesi non perderebbero la loro sovranità alimentare?

Kershen: I contadini poveri hanno adottato le sementi migliorate non appena queste sono diventate disponibili e lo fanno già da decenni. Nonostante l’adozione di tali sementi, i contadini poveri non hanno perso le loro varietà tradizionali. Piuttosto i contadini hanno adattato le loro pratiche agricole accogliendo sia le varietà migliorate che quelle tradizionali. I contadini imparano velocemente a sviluppare la coesistenza nei loro campi.

Invece di perdere la sovranità alimentare, i contadini migliorano la loro sicurezza alimentare e quella delle loro comunità adottando sementi che offrono una maggiore resa e caratteri migliorati. Gli agricoltori possono ridurre l’uso di pesticidi (e questo è un bene per la loro salute e per il loro benessere economico a motivo della riduzione dei costi). I contadini possono diminuire la loro fatica (e questo è un bene specialmente per le loro famiglie perché una riduzione nelle necessità di lavoro permette ai bambini di frequentare la scuola invece di arare e strappare le erbacce nei campi nei campi dei loro genitori).

I paesi traggono beneficio dalle sementi migliorate perché lo sviluppo agricolo è la chiave per aumentare gli standard di vita e il benessere in quasi tutte le nazioni in via di sviluppo. Tali paesi hanno bisogno di un’agricoltura produttiva perché questo permette ai contadini di evadere da un’agricoltura di sussistenza e alle comunità urbane di avere una maggiore disponibilità di derrate agricole da acquistare.

Partendo da una prospettiva cristiana e di dottrina sociale cattolica, come considera le sementi transgeniche?

Kershen: Concordo pienamente con la dichiarazione della Settimana di studio organizzata dalla Pontificia Accademia delle Scienze che ha concluso che, ” In conformità con le recenti scoperte scientifiche, vi è un imperativo morale ad estendere ai poveri e alle popolazioni vulnerabili che li desiderano i benefici di questa tecnologia su più vasta scala e secondo condizioni che permetteranno loro di elevare il tenore di vita, migliorare la salute e proteggere l’ambiente.”

La scienza del miglioramento genetico molecolare (transgenesi) e l’esperienza di 15 anni di coltivazione di piante transgeniche dimostrano che non ci sono rischi che siano peculiari o differenti delle varietà transgeniche rispetto a quelle convenzionali o biologiche. Non ci sono stati effetti negativi sulla salute o l’ambiente da parte delle colture transgeniche sul miliardo di ettari coltivati negli ultimi 15 anni. Al contrario, la scienza e l’esperienza dimostrano che le colture transgeniche hanno dato e daranno benefici significativi dal punto di vista agronomico, sociale, economico e ambientale per la sicurezza alimentare della crescente popolazione mondiale. La scienza e l’esperienza mostrano che i contadini poveri ricevono i maggiori benefici dalla coltivazione delle piante transgeniche.

La dottrina sociale cattolica esorta la scienza e le società a compiere scelte a beneficio dei poveri. Le colture transgeniche si sono dimostrate una scelta per i poveri perché attraverso di esse i contadini poveri possono migliorare e hanno migliorato le loro vite, la vita delle loro famiglie e la vita dei loro concittadini nelle comunità allargate.

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ZENIT Staff

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