Nella notte del mondo, l’uomo sente nostalgia di Dio

Primo dei “Dialoghi in cattedrale” con mons. Bruno Forte e Pietro Barcellona

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di Chiara Santomiero

ROMA, martedì, 15 marzo 2011 (ZENIT.org).- “L’uomo cerca Dio, sente nostalgia della sua presenza”: questa constatazione, suffragata dagli studi sociologici degli ultimi anni, ha dato vita al primo appuntamento di “Dialoghi in cattedrale”, rassegna di tre incontri proposti dalla diocesi di Roma nella basilica di S. Giovanni in Laterano con esponenti della cultura. 

Sulla nostalgia di Dio nella cultura contemporanea si sono confrontati lo scorso 10 marzo mons. Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto e Pietro Barcellona, dell’Università degli studi di Catania.

“L’uomo contemporaneo – ha affermato il cardinale vicario di Roma Agostino Vallini introducendo l’incontro – pur nella drammaticità delle situazioni esistenziali, attende di conoscere e incontrare non un dio generico ma il Dio dei viventi”. La sua nostalgia “nasce dalla delusione degli dei ma anche dalle proposte culturali insoddisfacenti del nostro tempo”. Nel suo cuore, infatti “c’è ancora l’attesa viva di essere amato e di essere interlocutore per costruire una storia che si svolge nel tempo e prosegue oltre il tempo”.

La notte del mondo

“Il tramonto delle ideologie – ha affermato mons. Forte – ha lasciato il posto al ‘tempo della notte del mondo’, un tempo così povero da non poter riconoscere la mancanza di Dio come mancanza”. La “morte di Dio” celebrata da Nietzsche si è scoperto non aver generato “un uomo più felice ma più solo e più violento come dimostrano le guerre e i massacri compiuti dai totalitarismi di destra e di sinistra del Novecento”.

La povertà che segue “alla crisi dei grandi racconti ideologici”, allora “non è tanto la percezione dell’assenza di Dio quanto che gli uomini non soffrano più di questa mancanza”. E’ venuto meno “il senso dell’appartenenza”. “Ed ecco che – sottolinea Forte – le coscienze più vigili avvertono il bisogno di un ritorno del sacro, riconoscendo i più diversi segnali di attesa, ad esempio nel canto dei poeti”. Compito del poeta è “suscitare la nostalgia di Dio, cantarne l’assenza”.

“Certo – avverte Forte – dalla notte non si esce facilmente”. Infatti “nel suo rifiuto critico dei mondi ideologici, la post-modernità spesso non è che una forma rovesciata di essi” così che “la sete di totalità della ragione emancipante può convertirsi in una nuova totalità, quella del negativo che abbraccia tutte le cose”.

“Viene tuttavia a delinearsi nell’inquietudine post-moderna – ha proseguito – una sorta di ricerca dell’Altro, dell’ospite desiderato e al tempo stesso inquietante”. Si percepisce che “sfuggire alle presunzioni totalizzanti della ragione moderna esige di confessare un’alterità che spezzi il dominio del soggetto e si offra come origine e fine”. “L’esito del moderno e del post-moderno – ha affermato Forte – è fame e sete di senso, dichiarata o inconfessata” cioè “la necessità di dare un senso a una vita così fragile”.

Un Dio affidabile

Qual è allora il Dio “di cui sento di poter parlare agli uomini e alle donne del nostro tempo?”. “Un Dio affidabile – ha sottolineato l’arcivescovo di Chieti-Vasto – che non ci fa violenza perché vuole per sé solo uomini liberi”. Il cristianesimo, infatti “è la religione della libertà differendo radicalmente in questo, tra l’altro, con l’Islam dove tutto è destinato”.

“Nella domanda che ognuno porta nel profondo di sé sull’ineludibilità della morte – ha affermato Forte – va profilandosi l’immagine di un padre-madre nell’amore, qualcuno cui affidarsi senza riserve, quasi un approdo dove far riposare la nostra stanchezza e il nostro dolore, sicuri di non essere rigettati nell’abisso del nulla”. Perché, allora, “se questo bisogno è così forte, sorge in tanti un rifiuto perfino viscerale della figura del padre?”. Essenzialmente per “la paura di dover dipendere da Lui”.

La scelta decisiva è accettare “un padre-madre che ci ami rendendoci liberi”. “Scegliere da che parte stare”: questo è, per Forte, “il rischio della fede”. “Non siamo stati noi ad amare Dio per primi ma Lui”.

“La nostalgia di Dio nel mondo contemporaneo – ha concluso l’arcivescovo – non è diretta verso un giudice ma verso il Crocifisso”. L’uomo della Sindone attrae “perché in quella debolezza si rivela l’infinito amore di Dio”. Qual è allora il passo da compiere? “Consegnarsi a questo amore che non è debolezza ma ‘buona novella’”. “I cristiani che ne hanno fatto esperienza, come il ministro pachistano Shahbaz Bhatti sanno che è l’unica ragione per cui valga la pena di vivere e morire”.

Sconfiggere la morte

Non diverse le conclusioni di Pietro Barcellona, docente di Filosofia del diritto nella facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Catania, ex membro del Consiglio superiore della magistratura e già deputato del Partito comunista italiano.

“La nostalgia – ha affermato Barcellona – nasce dal senso di una perdita”. Il nostro è un tempo caratterizzato dalla “perdita della dimensione interiore e della memoria e persino del contatto con il mondo reale”. L’offerta, infatti è “la ‘Second life’, una vita virtuale”.

“L’illuminismo tecnologico – ha affermato Barcellona – è l’ultimo tentativo dell’arroganza dell’uomo di far fronte all’incontenibile angoscia di morte che lo pervade sin dai primi momenti della sua venuta la mondo”.

Nella realtà virtuale, infatti “non entrano più in campo in alcun modo né l’esperienza dolorosa dell’esistere come esseri mortali né l’esperienza dell’immaginazione come capacità di pensare un altro modo possibile di stare al mondo”. Le più avanzate tecnologie funzionano come “un grande dispositivo anestetico” in quanto “gli uomini non amano pensare perché ciò li porta a contatto con le proprie contraddizioni”.

“Nell’epoca dell’attuale miseria – si è interrogato Barcellona – in cui il nichilismo sembra averla vinta su ogni tentativo di riaprire l’animo alla speranza, di quale Dio si può avere nostalgia?”. Il Dio di cui si sente “l’attrazione irresistibile”, secondo Barcellona, è “il Figlio di Dio che si è fatto uomo e che assumendo la carne e il sangue degli esseri mortali ne ha condiviso fino alle estreme conseguenze il dolore e la miseria, scegliendo di farsi crocifiggere come l’ultimo dei delinquenti”.

“Solo un Dio che accetta di farsi sconfiggere dalla morte – ha concluso Barcellona – è in grado di comunicare ancora con gli esseri umani”.

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ZENIT Staff

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