ROMA, giovedì, 27 gennaio 2011 (ZENIT.org).- Ai nostri  tempi  il diritto  alla  libertà  religiosa pone una  serie  complessa di problematiche politiche a cui il cattolico non è sempre preparato. Si  tratta di un  campo  delicato  e  dai  molteplici  risvolti.  richiede  quindi una serie di precisazioni di grande importanza affinché si possa tenere un comportamento politico corretto. Le prime due cose da osservare sono la grave mancanza di rispetto per questo diritto nelle società odierne e, d’altro canto, la sua fondamentale importanza per la    convivenza civile. Cominciamo dal primo aspetto. Oggi la stragrande maggioranza della popolazione mondiale vive in contesti politici in cui non c’è rispetto della libertà religiosa.

Moltissime persone quindi non sono nemmeno a conoscenza dell’esistenza di questo diritto e vengono formate al suo contrario. Ciò avviene nei regimi politici dichiaratamente atei e che combattono la religione da un punto di vista ideologico come la Cina o Cuba; avviene in regimi fondamentalisti, come l’Iran o l’Arabia Saudita, ove le altre  religioni  sono vietate e  represse; avviene anche nei  regimi  democratici  occidentali  quando  vi  si  porta avanti un materialismo pratico che combatte, prima di tutto  culturalmente,  il  fatto  religioso;  avviene,  infine, nei regimi democratici occidentali che hanno assunto un integralismo laicista e quindi combattono soprattutto in via legislativa o politica la religione, con vere e proprie forme di persecuzione.

Negli  stessi paesi occidentali di tradizione cristiana si cerca di vietare l’esibizione dei simboli religiosi nei luoghi pubblici, di negare la possibilità dell’insegnamento della religione nelle scuole pubbliche ed  anzi  si  stabilisce  una  educazione  ed  una  istruzione senza qualsiasi riferimento a Dio, si abolisce la ricorrenza religiosa del Natale o si dichiara la domenica giorno lavorativo. Spesso questo è fatto con la pretesa di favorire la  libertà di  religione,  il che dimostra che bisogna  fare chiarezza su molti punti. Per quanto riguarda i cristiani, bisogna riconoscere che è in atto ormai da molto tempo, in varie parti del mondo, una vera e propria persecuzione violenta come documentano i vari rapporti di Organismi  internazionali che denunciano, nella  indifferenza generalizzata, questi tragici fatti.

A questo quadro  fa da  contrappunto  la grande  importanza  del  riconoscimento  della  libertà  di  religione per  la  convivenza  sociale.  Assieme  al  diritto  alla  vita, quello alla libertà religiosa è il diritto dell’uomo più importante,  è  il  diritto  a  credere  che  carnefice  e  vittima non siano sullo stesso piano, diritto che solo un principio “totalmente Altro”  può  garantire.  Il  diritto  alla  libertà  religiosa  permette  che  tutti  i  diritti  non  si  fondino su deliberati umani, ma sull’assolutezza di Dio, e quindi li  sottrae alla disponibilità umana.

Viceversa,  se  i diritti sono solo convenzionali e non assoluti, possono essere cambiati a nostra discrezione, ma in questo caso non riuscirebbero  a  fondare  in modo  stabile  la  convivenza sociale e  il  rispetto della persona.  In molti Stati questa dimensione di assolutezza è anche assunta dalla politica, sia che si faccia riferimento a Dio nella Carta costituzionale  sia che  il Presidente giuri  sulla Bibbia,  sia che nei tribunali si invochi la protezione di Dio sulla Corte, sia che il nome di Dio appaia sulle banconote. Il diritto alla libertà religiosa fa entrare Dio nella vita pubblica come un elemento indispensabile, altrimenti la società sarebbe cosa  solo umana e quindi  fragile e  limitata. Una prova indiretta di questa dimensione pubblica della  religione, accade  quando il diritto  alla  libertà  di  religione  viene vietato dal potere politico. In questo caso non si può non generare una nuova religione, una religione di Stato che sostituisce  la  religione precedente. Non  si può  sfuggire alla presenza di Dio nella sfera pubblica.

Il  diritto  alla  libertà  religiosa,  però,  come  ogni  altro diritto, non è  assoluto. Esso nasce da un dovere,  il dovere di cercare  la verità  tutta  intera. L’uomo cerca  la verità  e  sente  una  spinta  insopprimibile  a  cercare  non solo  verità  particolari ma  la  verità  tutta  intera,  capace di  dare  un  senso  compiuto  alla  sua  vita. Questo  è  un dovere, prima che un diritto, in quanto l’uomo non sarebbe tale senza questa ricerca. Egli è razionale e quindi è interessato al senso di quello che fa e che gli capita. Ha quindi  il dovere  di  rispondere  alla propria natura  e di cercare il vero integrale. È per assolvere a questo dovere che ha bisogno del riconoscimento del diritto alla libertà religiosa. Senza questo  riconoscimento egli  si  sentirebbe  soffocato  e  costretto nei  limiti  angusti del finito,  si ammalerebbe nell’anima e soffrirebbe.

Anche la società nel suo complesso, però,dovrebbe sentire questo dovere e non  solo  i  singoli  individui. Essa non dovrebbe  solo permettere  la  libertà  religiosa, ma dovrebbe  favorirla e incoraggiarla. Gli uomini tutti sono alla ricerca del senso ultimo del loro stare insieme.

Non sono insieme solo per soddisfare dei bisogni materiali, ma anche per aiutarsi ad essere persone. Il dovere di cercare la verità è quindi un dovere  comune. Esso dovrebbe  animare  la  famiglia,  la scuola, come abbiamo visto sopra, e l’intera società che dovrebbe creare spazi e fornire occasioni perché le persone possano assolvere a questo dovere e non, come spesso avviene,  soffocarlo.

Proprio perché nasce dal dovere di cercare la verità, il diritto alla libertà religiosa ha dei limiti, dati proprio da quella verità che esso ha il dovere di cercare.  Il diritto alla  libertà  religiosa  si  ferma, deve esser  fermato,  quando  andasse  contro  i  principi  che  la ragione riconosce come propri della dignità dell’uomo. Una  religione che predicasse e attuasse  la violenza, per esempio, non potrebbe rivendicare un diritto a  farlo  in nome della libertà religiosa.

La ragione è capace di conoscere la realtà umana, almeno fino ad un certo punto, e di riconoscere alcuni principi della  legge morale naturale, come per esempio che non si deve uccidere o rubare, che il corpo umano va rispettato e che  il vincolo matrimoniale va protetto, che  la giustizia deve essere  imparziale e così via. Senza il rispetto di questi principi la comunità umana non può andare avanti. Ora, può essere che una religione predichi invece principi opposti a questi: che ammetta  forme di violenza dell’uomo sull’uomo, che non rispetti  l’uguale dignità dell’uomo o della donna, oppure  che permetta l’infanticidio sacrificale ecc.

In questi casi la ragion politica  non  può  concedere  a  religioni  simili  il  diritto di  esprimersi  liberamente,  in  quanto  contrarie  al  bene comune, che  la politica deve sempre salvaguardare. Bisogna allora che  la  ragione politica  faccia due passaggi: il primo consiste nel ritenere fondamentale il diritto alla libertà di religione, il secondo consiste nel non mettere tutte le religioni  sullo  stesso piano.  I due passaggi non sono in contrasto tra loro: vietando le manifestazioni di una  religione disumana che non  rispetta  la dignità e  la giustizia non attento ad un diritto, in quanto quel diritto era subordinato ad un dovere, quello di cercare la verità.

Una cosa è quindi il rispetto della libertà di religione ed altra cosa è tollerare tutte le religioni. È il rispetto stesso della libertà di religione che richiede che non si mettano tutte le religioni sullo stesso piano.

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*Mons. Giampaolo Crepaldi è Arcivescovo di Trieste, President e della Commissione “Caritas in veritate” del Consiglio delle Conferenze Episcopali d'Europa (CCEE) e Presidente dell’Osservatorio Internazionale “Cardinale Van Thuan” sulla Dottrina Sociale della Chiesa.