San Josemaría Escrivá, la guerra civile e il perdono

Intervista al regista del film “There Be Dagons”

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di Jesús Colina

ROMA, giovedì, 27 gennaio 2011 (ZENIT.org).- Uscirà la primavera prossima un film che racconta di guerra, amore e perdono e che ha tra i personaggi principali san Josemaría Escrivá, fondatore dell’Opus Dei.

ZENIT ha intervistato Roland Joffé, regista del film: “There Be Dragons”, conosciuto anche per aver diretto pellicole come “The Mission” e “The Killing Fields”. Il film è ambientato durante la guerra civile spagnola e affronta tematiche quali la santità e il tradimento, l’amore e l’odio, il perdono e la violenza e la ricerca di senso nella vita di tutti i giorni.

ZENIT ha intervistato Joffé all’inizio di quest’anno che segna i 75 anni dallo scoppio della guerra.

A cosa si riferisce il titolo “There Be Dragons”?

Joffé: Alle mappe medievali che marcavano i territori sconosciuti con l’espressione: “Hic sunt Dragones”, perché quando ho iniziato lo studio e la scrittura della sceneggiatura non sapevo bene dove mi avrebbero portato o quale sarebbe stata la fine. Il titolo rispecchia bene quella condizione: mi allontanavo pian piano da un terreno sconosciuto per percorrere strade prima inesplorate dove mi imbattevo in temi quali il significato della santità, la religione, la politica del Novecento di un paese diverso dal mio.

Sono stato colpito dalla dichiarazione di Josemaría che Dio si trova nella “vita quotidiana” e che la vita quotidiana, nel suo caso, era la guerra civile spagnola. Mi sono chiesto: come è possibile trovare il divino in tempo di guerra? Ma poi la stessa domanda può essere posta in occasione di tutte le sfide fondamentali della vita: come rispondere all’odio e al rifiuto o al desiderio di vendetta e di giustizia – dilemmi che sono tutti accentuati in tempo di guerra.

Tali dilemmi sono, in un certo senso, i “draghi” del film – punti di svolta nella nostra vita in cui ci troviamo di fronte a scelte fondamentali, scelte che influenzeranno il nostro futuro. “There Be Dragons” racconta delle diverse scelte che le persone prendono in momenti di svolta. Decisioni difficili e tuttavia necessarie per sfuggire alle spirali di odio, risentimento e violenza.

Il film è inserito nel contesto della guerra civile spagnola che è in un certo senso il paradigma della violenza che porta ad una violenza cieca e senza senso. Di fronte a un tale scenario c’è spazio per la speranza?

Joffé: Sì, ma è estremamente difficile. Moltissime azioni orribili sembrano imperdonabili, irredimibili. Ma il perdono è possibile! Le spirali di violenza possono essere fermate, come il presidente Mandela ha dimostrato in Sud Africa. Il perdono è stato possibile per molte persone eroiche in Ruanda e offerto ed ottenuto da molti palestinesi e israeliani coraggiosi. Josemaría ha, inoltre, insegnato che la gente comune può perfettamente essere in grado di essere santa e credo che questo tipo di perdono eroico sia ciò cui lui alludeva. La possibilità inesauribile di perdono è ciò che offre spazio alla speranza. Ma il prezzo è alto: è necessario arrivare al senso profondo dell’umano, un profondo sentimento di compassione. La maggior parte dell’azione del film si svolge durante la guerra civile spagnola, ma molte scene riguardano il 1982. Ci sono molte generazioni coinvolte in questa storia: il passato getta un’ombra sul presente e l’elemento di connessione è Robert, un giornalista che ha chiesto di scrivere una storia su Josemaría Escrivá, al momento della sua beatificazione. Egli scopre che suo padre, Manolo, era un amico d’infanzia di Josemaría ed è stato in seminario con lui – anche se le loro vite hanno preso strade radicalmente diverse. Robert e Manolo si sono allontanati, ma il film li unisce nel momento in cui la terribile verità sul passato viene portata alla luce.

Quindi si tratta anche della storia di un padre e di un figlio e della verità che deve essere affrontata per ricucire il legame tra di loro. Questo è essenzialmente un film sull’amore, sulla forza della sua presenza e sull’aridità della sua assenza. Le guerre civili sono le più terribili perché contrappongono il fratello al fratello, famiglia contro famiglia. Al termine della guerra civile spagnola risultavano cadute mezzo milione di persone. La guerra civile è una potente metafora della famiglia. Come nelle guerre civili, i familiari assumono delle posizioni e si dividono; vecchi rancori diventano fonte di odio. Noi non perdoniamo nostra zia, non parliamo con nostro padre perché ha lasciato nostra madre, non parliamo con nostra madre perché se n’è andata con un altro uomo o non parliamo a nostro figlio perché ha scelto una professione diversa da quella che ci aspettavamo.

Queste sono le guerre civili della nostra vita quotidiana. “There Be Dragons” affronta i diversi tipi di guerra civile. In sostanza, tutti abbiamo avuto modo di scegliere se alimentare i nostri risentimenti o trovare il modo di superarli. La vita può essere vista come una serie di ingiustizie, di rifiuti e di dolori o come ricca di opportunità, di possibilità di sconfiggere i draghi attraverso il desiderio travolgente di sostituire l’odio con l’amore e con il perdono. Molte persone hanno dentro di sé questa scelta eroica. Si rendono conto che possono compiere una scelta per essere liberi. Hanno la forza di carattere per capire che l’odio è una prigione. Chi odia non può essere libero. Quanti esempi abbiamo avuto negli anni successivi alla prima guerra mondiale? D’altra parte, quando la gente sceglie di amare, l’osservatore imparziale lo avverte, sente il senso di libertà, di compassione, di dono. Infine, tutti ci troviamo di fronte a questa scelta. Anche Robert, agnostico e materialista, deve scegliere tra amore e odio. Questo è ciò che questo film rappresenta per me. Il perdono sblocca ciò che è stato congelato.

L’amore non arriva sempre facilmente. Non può portare con sé un senso di superiorità ma, al contrario, necessita di un senso di umiltà e di umanità condivisa. E tuttavia ha una bellezza potente. Dice: “Sì, fai un passo fuori da te stesso. Pensi che non si possa perdonare?”. Beh, non lo puoi sapere fino a quando non l’hai fatto. E come si fa a perdonare? Si perdona per empatia, immedesimandosi nell’altro. Abbandonando la demonizzazione, non dicendo: “Sono meglio di quella persona, non potrei mai farlo”, ma guardando quella persona e dicendo: “Questo potrei essere io”. Quindi sì, c’è spazio per la speranza, anche nelle circostanze più dolorose, tragiche e terribili, dove la speranza sembra impossibile.

Il film si rivolge ai credenti o ai non credenti?

Joffé: “There Be Dragons” considera la fede e la santità molto seriamente, ma va ben al di là dell’interesse di un pubblico di credenti. La domanda presuppone una separazione che in realtà è falsa. Viviamo tutti in un mondo travagliato, affrontando il dolore e la gioia della vita quotidiana, e anche se diamo diverse interpretazioni di ciò che viviamo, noi tutti, alla fine, abitiamo lo stesso mondo lacerato e tormentato. Questo è un film per credenti e non credenti. Sono stato profondamente toccato da Josemaría secondo cui siamo tutti potenzialmente santi e in grado di sconfiggere i propri draghi. Spero che la gente nel guardare il film intraveda le proprie battaglie e capisca che nessun santo è mai diventato un santo senza lotta. Il film è anche sulle molte forme di amore. L’amore di Ildiko per Oriol è un particolare tipo di amore. Il suo desiderio di rendere il mondo migliore è un altro tipo di amore. L’amore di Manolo per Ildiko è un altro tipo di amore, anche se connotato di gelosia e risentimento. L’amore che Manolo brama e alla fine riceve è un altro tipo di amore ancora, molto particolare. Tutte queste forme di amore alla fine portano ad uno stesso punto: “Questo amore è più grande del mio amor proprio?”. Questa è una domanda decisiva ed è la domanda che la politica di gran parte del XX sec. si è posta.

Tuttavia, si pone un’altra quest
ione di maggiore complessità. Se questo amore appassionato si basa su un ideale, o su una idealizzazione, se considera un solo modello di comportamento umano, come fa ad evitare di scivolare nel fanatismo e nella demonizzazione? Dall’Illuminismo in poi questo è stato un quesito importante. In nome dell’amore per un bene più grande sono stati commessi atti di grande crudeltà. Sono convinto che solo attraverso il riconoscimento della fallibilità degli esseri umani e di tutte le azioni umane si può trovare la via per la comprensione e l’empatia profonda, quel senso di unità con gli altri che offre la libertà dalla demonizzazione e dalla violenza irredente. Questo non è un film cattolico, ma tratta un tema centrale per la teologia cristiana e per tutte le chiese cristiane, così come per molte altre religioni. In tutte le religioni c’è la convinzione che nelle relazioni umane intervengono scelte divine che influenzano profondamente il nostro mondo. Tale interconnessione è la base dell’ amore, ciò che facciamo a favore o contro gli altri influenza noi e loro, perché siamo tutti collegati.

Quanto del personaggio di Josemaría Escrivá, che ora è un santo della Chiesa cattolica, è basato sui fatti e quanto sulla finzione?

Joffé: Di tutti i personaggi del film Josemaría è l’unico davvero esistente, l’unico sul quale possediamo una grande quantità di documenti e prove. Io credo che la rappresentazione di Josemaría, la sua amorevolezza, il suo senso dell’umorismo – che indubbiamente ha avuto – sia molto vicina alla realtà. Volevo trovare un punto di vista obiettivo nel ritrarre il suo personaggio. Suppongo che abitualmente i santi siano visti come uomini dal cuore di piombo, ma questa è solo una convenzione di comodo. In realtà, la storia di Josemaría è quella di un uomo che compie il passo straordinario di semplificare la propria vita intorno ad un amore puro e potente per Dio. Questo amore per Dio diventa un principio organizzativo che gli dà una forma e una sorta di semplicità e di forza.

L’amore non è qualcosa che viene imboccato, come conditio sine qua non. Bisogna combattere per esso. E’ quello che noi, come esseri umani, dobbiamo presentare in tavola. Dobbiamo trovare questo amore profondo dentro di noi, capire la bellezza oscura che risiede dentro di noi e la fragilità degli altri. In un senso profondo che mi sembra essere quello che la storia di Cristo dimostra. Se siamo credenti, dobbiamo ancora trovare questo amore profondo in noi stessi e offrirlo a Dio e alla sua ricca creazione. Se non siamo credenti, dobbiamo ancora trovarlo e offrirlo agli altri esseri umani indipendentemente dall’appartenenza politica, dalla razza o dalla religione.

Aveva già un’idea su come rappresentare la guerra civile spagnola o alcuni dei personaggi come san Josemaría Escrivá?

Joffé: Non sapevo molto di Josemaría quando mi è stato chiesto di realizzare il film. Ciò che realmente accadde è che ad un certo punto uno dei produttori del film venne in Olanda per convincermi a fare il film, portando con sé dei libri e dei materiali, incluso un DVD su Josemaría. Avemmo una cena molto piacevole e tornando a casa pensai: “Non voglio fare questo film, ho un altro progetto in mente, ambientato in India e a cui ho lavorato molto”. Considerai quindi l’offerta molto interessante così come anche la cena, ma decisi di rifiutarla. Era una sera d’estate così andai in giardino, sorseggiando del vino bianco, inserii il DVD nel mio lettore e mi sedetti al computer per scrivere la risposta: “Caro X, la ringrazio tanto per la strada che ha fatto, ma credo che debba rivolgersi altrove”.

Sullo sfondo, però, scorrevano le immagini del DVD e una scena catturò la mia attenzione: Josemaría che parla ad un gran numero di persone, forse in Cile o in Argentina, non sono realmente sicuro di dove fosse, e una ragazza alza la mano e dice: “Ho una domanda da porre.” E Josemaría risponde: “Sì, prego.” E lei: “Mi piacerebbe convertirmi al cristianesimo”. E lui: “Sì?”. E lei ancora: “Ma i miei genitori sono ebrei e non sono molto felici dell’idea”. Josemaría, senza batter ciglio risponde: “Oh mia cara, no, no, Dio desidera che i genitori siano onorati, Dio non chiede di disonorare i propri genitori, ma di renderli felici. Assolutamente no. No, no, no, non turbare i tuoi genitori, non fare in modo che stiano male, non c’è assolutamente bisogno di questo”. Guardai quelle immagini e pensai tra me e me: “Che meraviglia, che inaspettata meraviglia, in particolare da un’organizzazione che tutti pensano sia tenuta a dire il contrario”. Guardai il mio computer e pensai: “Aspetta un minuto”.

Spensi il DVD e interruppi la lettera. Cominciai a scrivere una scena in cui Josemaría incontrava un uomo moribondo, che conosceva già e che gli diceva di essere ebreo e di volersi convertire. Scrissi tutta la scena, pensando: “Vorrei davvero vederla in un film ma non la vedrò mai se non faccio questo film. Dove potrebbe apparire se non in questo? Al posto della prima lettera scrissi allora: ‘Caro X, sono davvero interessato a questo progetto, sempre che mi sia concesso di seguire le mie idee e che non mi venga chiesto di seguirne delle altre; e che si accetti il fatto che non sono molto brillante ma che farò del mio meglio, seguendo la mia verità. Se va bene così, sarei felice di realizzare il film”. Questo è più o meno quello che è successo. Non avevo preconcetti nei confronti di Josemaría, quello che mi ha colpito è stato il video che ho visto. Mi è stato presentato come la storia di un uomo che ho letto e ho capito che era degno di rispetto. In realtà, più che semplicemente rispetto, ho sentito che nella sua battaglia avrebbe parlato agli esseri umani in un modo meraviglioso. E’ questo quello che volevo raccontare, e ciò di cui il film tratta.

La guerra civile spagnola, naturalmente, è stata altrettanto complessa da affrontare. Sarebbe stato facile prendere posizione, ma così facendo avrei tradito l’idea centrale attorno alla quale volevo raccontare questa storia. La storia è notoriamente di parte, scritta dai vincitori e riscritta dai vinti. Molti credono semplicemente alle voci o ai miti che sono loro più consoni e sono sicuro che ci imbatteremo in diverse opinioni su ciò che l’Opus Dei è o era, su chi era Josemaría e sul senso della guerra civile spagnola. Ho voluto mostrare ciò che stava accadendo in Spagna durante la guerra civile senza partigianeria. In effetti la Spagna stava attraversando, in un periodo temporale molto ristretto, qualcosa che la Gran Bretagna, per esempio, aveva assorbito attraverso un centinaio di anni. La rivoluzione industriale, le ideologie di classe, la fine dell’impero e l’instabilità economica. Fu quindi molto facile per la società spagnola frantumarsi e molto facile – nel pensiero del tempo – assumere atteggiamenti radicali e opposti nei confronti di temi quali la giustizia sociale, il ruolo della Chiesa, e così via. Alla fine, come è nella natura delle tensioni sociali, i punti di vista più estremi prevalgono. Con un centro indebolito, i due poli opposti si rafforzano. Entrambe le parti in lotta avevano ideali e il senso della loro virtù. Così come è accaduto altrove in Europa, le persone di appartenenza politica avversa hanno cominciato a demonizzare l’altro. Ma ciò che in Europa è diventato divisione territoriale, in Spagna è rimasto fratricida e ha lasciato cicatrici a livello psicologico che sono profonde e difficili da guarire. Cosa stava accadendo in Spagna era davvero complicato da capire e questo portò a lacerazioni dolorose e strazianti, a contrapposizioni tra fratelli sulla base di posizioni ideologiche che giustificavano le uccisioni. Ma se siamo disposti a uccidere i nostri fratelli per amore di ciò in cui crediamo, allora come facciamo a parlare del valore delle nostre scelte?

Lavorare a questo film ha influenzato in qualche modo la sua vita personale?

Joffé: Mi permetta di rispondere alla domanda nel modo seguente: in realtà non sono mol
to religioso ma mi è stato chiesto di scrivere su un uomo che lo era. Ho dovuto fare un passo indietro e dire: “Quando scrivo di Josemaría devo raccontarlo integralmente, onestamente e sinceramente. Devo leggere la sua esperienza religiosa senza pregiudizi, onestamente”. Ho letto molto sulla sua esperienza religiosa. Mi ha commosso scoprire il gran numero di scienziati (fisici, in particolare) profondamente coinvolti nella esperienza di Dio e ho scoperto come il presunto divario tra scienza e religione, idea tanto caldeggiata nel nostro tempo, sia in realtà falso. Ho capito che la grande scoperta della fisica moderna, secondo la quale il nostro senso della realtà è basato su modelli che abbiamo nei nostri cervelli e che quindi ci sono molti modelli interpretativi della realtà, molti dei quali non sono sufficienti a spiegare tutto, non escludono l’idea di Dio o di una dimensione spirituale. Il modo in cui la scienza ci ha portato a ridefinire e reinterpretare ciò che è vero ci offre anche la possibilità di reinterpretare e ridefinire lo spirituale. Io probabilmente non saprò sul breve periodo in che modo questa esperienza abbia influenzato la mia vita. Penso che qualcosa che tocca nel profondo abbia bisogno di un po’ di tempo per rivelarsi. Nel girare “There Be Dragons” ho constatato una cosa singolare: questa non è stata una esperienza personale, individuale, come pensavo dovesse essere, ma è stata estremamente coinvolgente. Come dire: “Beh, meglio lasciare da parte le mie risposte semplici e rimanere con la domanda”, questo è stato per me meravigliosamente avvincente e mi ha fatto sentire molto, molto vicino ad un modo di vivere che non conoscevo prima. E non sono sicuro dove questo mi porterà.

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ZENIT Staff

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