Che cos’è la bellezza? Una lunga tradizione filosofica ha riflettuto sulla bellezza, cercando di spiegare che cosa essa sia, come la conoscono gli uomini, come ne godono, approfondendo l’esperienza comune, che è il punto di partenza di ogni buona riflessione.
Dalla riflessione emerge che la fruizione della bellezza, sia essa naturale che artistica, si caratterizza per un “piacere” che coinvolge non solo i sensi, ma tutta la persona: emozioni e passioni; ragione e intelletto; si tratta di un piacere non finalizzato all’utile, dunque, un piacere disinteressato, un piacere per piacere: cioè un provare piacere di fronte a qualche cosa che si conosce, senza volerla comprare, possedere, modificare, firmare.
La bellezza intrattiene un particolare rapporto con la vista. San Tommaso con la sua celebre affermazione «Pulchrum est quod visum placet» (Summa Theologiae, I, q. 5, a. 4, ad 1um) indica che del bello conta l’apprensione e in modo speciale il godimento: il bello è “gradevole alla conoscenza” (Ibid., II-II, q. 27, a. 1, ad 3um), perché il bello richiede di essere “conosciuto”.
La bellezza, inoltre, rivela delle caratteristiche costanti, quali l’armonia e la regolarità, che lo stesso san Tommaso rinviene nella “integritas sive proportio”, ovvero compiutezza, nella “debita proportio sive consonantia”, ovvero armonia proporzionale, e nella “claritas”, ovvero splendore, corporeo e spirituale: «La bellezza del corpo consiste nell’avere le membra ben proporzionate (debita proportio), con la luminosità del colore dovuto (claritas). La bellezza spirituale consiste nel fatto che il comportamento e gli atti di una persona sono ben proporzionati (proportio) secondo la luce della ragione (claritas)» (Ibid., I, q. 39, a. 8, resp.). Questa definizione della bellezza, che pure taluni tacciano di intellettualismo, costituisce l’analisi razionale di esperienze comuni, generali; a conferma di ciò, ci sono oggi svariate ricerche di ordine psicologico e antropologico che confermano come, fin da bambini e indipendentemente dalla cultura, si tenda a riconoscere come bello e piacevole ciò che è armonioso e proporzionato.
Tuttavia, negli ultimi decenni, si è andata affermando una concezione della bellezza del tutto avulsa dalla conoscenza, sensoriale e razionale, del tutto staccata dal piacere estetico e dalla comune esperienza. Si tratta precisamente di un “concetto” di bellezza costruito da alcuni teorici senza alcun nesso con la realtà e con la visione. Sulla base di questo presupposto sono nate, nella contemporaneità, svariate tipologie di arte, accomunate da questa esoterica concezione della bellezza (bellezza come assenza, come disarmonia, come straniamento …). Di fronte a tali “oggetti” non si riesce in alcun modo a vederne la bellezza, però alcuni addetti ai lavori garantiscono che in esse la bellezza c’è.
Accadono allora sconcertanti, ed esilaranti, situazioni, che, mi sembra, possono essere ben descritte dalla favola I vestiti nuovi dell’imperatore scritta da Hans Christian Andersen, ben noto autore danese vissuto tra il 1805 e il 1875. La favola narra di un imperatore molto vanitoso che viene ingannato da due frodatori, i quali inventano di possedere una stoffa così bella che solo gli stupidi non possono vederla. E così i due imbroglioni mostrano all’imperatore una stoffa inesistente, ma egli finge di vederla e finge di ammirarne la bellezza, temendo di essere considerato stupido. Chiede ai due imbroglioni di cucirgli un vestito con quella stoffa, e tutti i dignitari di corte e poi i cittadini fingono di ammirare quel vestito, pensando di non vedere la bellezza in quanto incapaci di fruirla. Solo un bambino ha il coraggio di esclamare che l’imperatore è nudo e solo allora tutta la folla ha il coraggio di credere ai propri occhi e di riconoscere di non vedere niente.
Ebbene, sovente, passeggiando nelle sale di molti musei di arte contemporanea, accade di vedere imperatori vanitosi, cortigiani e cittadini, che fingono di ammirare una bellezza che pare essere riservata solo a menti superiori, finché qualcuno, con l’innocenza dei semplici, non ha il coraggio di dire che non c’è assolutamente niente.
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* Rodolfo Papa è storico dell’arte, docente di storia delle teorie estetiche presso la Facoltà di Filosofia della Pontificia Università Urbaniana, Roma; presidente della Accademia Urbana delle Arti. Pittore, membro ordinario della Pontificia Insigne Accademia di Belle Arti e Lettere dei Virtuosi al Pantheon. Autore di cicli pittorici di arte sacra in diverse basiliche e cattedrali. Si interessa di questioni iconologiche relative all’arte rinascimentale e barocca, su cui ha scritto monografie e saggi; specialista di Leonardo e Caravaggio, collabora con numerose riviste; tiene dal 2000 una rubrica settimanale di storia dell’arte cristiana alla Radio Vaticana.