Tommaso d'Aquino in dialogo con l'Islam

Per Giovanni Paolo II, ancora oggi “modello” per un serio confronto interreligioso

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di Mariaelena Finessi

ROMA, domenica, 23 gennaio 2011 (ZENIT.org).- Presentato in questi giorni a Roma, il volume “Tommaso d’Aquino e l’Islam” è il primo numero dei Quaderni aquinati, collana di studi e documenti diretta da Tommaso Di Ruzza e co-edita dalla Libreria Editrice Vaticana e dal Circolo san Tommaso d’Aquino. In esso sono racchiusi gli atti di un convegno tenutosi nel 2009 sulla figura del santo aquinate e il rapporto dialettico da questi instaurato con i pensatori islamici.

«In un mondo dove l’espressione della propria identità, e in particolare dell’identità religiosa, sembra destinare l’uomo al monologo – Di Ruzza chiarisce la portata dell’iniziativa -, si vuole riscoprire il senso del dialogo. Non per un esercizio di stile ma per un autentico cum-versare. Un reciproco donarsi coerente alla ricerca della verità e alla vocazione dell’uomo, cioè a quella “inclinazione naturale a conoscere la verità su Dio, e a vivere in società”».

Uno dei testi introduttivi del volume, affidato al cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, muove dall’assunto su cui è incentrato il sistema dialogico individuato da Tommaso, ovvero che «la mente umana è stata creata per ricevere la verità e per questo motivo non può accettare l’errore». A tal proposito, ricorda il porporato, due sono le condizioni fondamentali per instaurare un confronto senza pregiudizi: la ricerca della verità da parte di coloro che si mettono in gioco e «”una conoscenza sufficiente” della religione dell’altro».

Sulla prima condizione monsignor Luca Brandolini, vescovo emerito di Sora Aquino Pontecorvo riferisce l’apertura intellettuale di Tommaso, insolita per quei tempi: «Un’apertura che sfocia, spontaneamente, nell’accettazione di ogni persona». «La verità – ebbe infatti a dire l’Aquinate – non varia a seconda della diversità delle persone». Ed è questo approccio, innovativo per il suo tempo e forse disatteso ancora oggi, a fare del Dottore della Chiesa un testimone della fede cristiana, aperto a ciò che di buono c’è in ogni cultura. «Non guardare chi è colui che parla, ma tieni a mente ciò che di buono egli dice»: nella prospettiva di Tommaso, il dialogo non implica quindi la rinuncia, ma la ricerca condivisa della verità.

Nella pratica, però, i cristiani del nostro tempo si chiedono come cercare, insieme ai musulmani, questa verità. La risposta non può prescindere da quei valori che ci accomuna tutti, cristiani e no. Un senso più alto ci sovrasta. «Di fatti la Dichiarazione “Nostra aetate” – puntualizza Jean-Louis Bruguès, arcivescovo emerito di Angers e Segretario della Congregazione per l’educazione cattolica – incoraggia i cristiani a promuovere insieme con i musulmani “la giustizia sociale, i valori morali, la pace, la libertà” per tutti gli uomini».

Sulla seconda condizione, quella della conoscenza reciproca, a buon titolo si può sostenere che se san Francesco è andato incontro ai musulmani nella persona del sultano al-Kamil, per san Tommaso si è trattato di un dialogo “a distanza”, a livello di pensiero e non per questo meno valido. «Tommaso non ebbe alcun contatto diretto con l’Islam», né lesse mai il Corano, ricorda infatti Vincenzo Benetollo, presidente della Società internazionale san Tommaso d’Aquino, «le sue conoscenze derivano dai rapporti che riceveva dai suoi confratelli domenicani e fu sinceramente convinto che la sua descrizione di Maometto e dell’Islam corrispondesse ai fatti».

È quindi vero che «il linguaggio usato da Tommaso quando descrive la fede musulmana e l’operato di Maometto è durissimo e oggi sarebbe del tutto inaccettabile», così padre Joseph Ellul, domenicano, esperto di dialogo con l’Islam, argomenta il valore del confronto costruttivo delineato dal Doctor Communis Ecclesiae, contestualizzandolo in un preciso momento storico-culturale. «Ma, detto questo – conclude padre Ellul -, si deve ammettere anche che tale posizione non escludeva la sua curiosità intellettuale e il suo vedere i sapienti musulmani (ed ebrei) come compagni di viaggio nel lungo cammino verso la verità divina».

Pur non condividendo le opinioni di Tommaso, «il suo metodo di dialogo utilizzato per arrivare alla verità – sintetizza l’ambasciatore giordano Wijdân al-Hâshemi – rimane la migliore e l’unica via per il progresso dell’umanità». Un metodo che non fa della tolleranza il suo perno, anche perché questa ha in sé del negativo: «Implica, che ci piaccia o no, che ci si debba pazientemente sopportare. Accettazione invece significa andare incontro ad una persona che professa una fede differente, ma con la quale condividiamo gli stessi valori umanitari. Accettazione implica apertura verso l’altro».

Di fatti, conclude monsignor Lluis Clavell, presidente della Pontificia Accademia di san Tommaso d’Aquino, «ogni persona, anche nel caso in cui fosse manifestatamene in errore, merita di essere amata, poiché come insegna Tommaso, la persona “significa quanto di più nobile si trova in tutto l’universo”».

Ancora oggi dunque, o specialmente oggi, Tommaso resta un modello e una condizione per ogni dialogo serio e proficuo. Così scrive nell’enciclica “Fides et Ratio” Giovanni Paolo II: «Un posto tutto particolare in questo lungo cammino spetta a san Tommaso, non solo per il contenuto della sua dottrina, ma anche per il rapporto dialogico che egli seppe instaurare con il pensiero arabo ed ebreo del suo tempo (…). Egli ebbe il grande merito di porre in primo piano l’armonia che intercorre tra la ragione e la fede. La luce della ragione e quella della fede provengono entrambe da Dio, egli argomentava; perciò non possono contraddirsi tra loro».

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ZENIT Staff

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