L’AIDS e il preservativo (parte I)

di mons. Michel Schooyans*

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ROMA, domenica, 23 gennaio 2011 (ZENIT.org).- Certamente molte persone sono state contagiate con il virus dell’AIDS senza avere la minima responsabilità morale personale, attraverso le trasfusioni di sangue, gli errori medici o i contatti accidentali. Anche il personale infermieristico rischia il contagio, prendendosi cura dei pazienti sieropositivi.

Non tratteremo tali casi in questa sede. Esamineremo invece le dichiarazioni esternate negli ultimi anni da diverse personalità di alto profilo del mondo accademico ed ecclesiastico, soprattutto moralisti e pastori. Li chiameremo dignitari, evitando di citarne i nomi per non personalizzare il dibattito e per concentrare l’attenzione sull’argomentazione morale [1].

Disordine e confusione

Poiché queste dichiarazioni riguardano l’uso del preservativo al fine di non contrarre l’AIDS, esse producono spesso profonda confusione nell’opinione pubblica e nella Chiesa. Esse sono spesso accompagnate da sorprendenti commenti sulla persona del Papa e sulla sua funzione, e sull’autorità della Chiesa. In tale contesto vengono anche reiterate le consuete lamentele sulla morale sessuale, sul celibato, l’omosessualità, l’ordinazione delle donne, la Comunione ai divorziati e agli abortisti, ecc. Un’occasione da sfruttare per dare risonanza globale a queste tematiche.

Questi dignitari si esprimono, in modo piuttosto compiaciuto, attraverso i mezzi di comunicazione sociale. Si dichiarano favorevoli all’uso del condom per evitare il rischio di contrarre l’AIDS. Secondo loro, la Chiesa dovrebbe mutare la propria posizione in materia.

Queste dichiarazioni provocano grande confusione nella mente della gente. Confondono i fedeli, dividono i preti, indispettiscono l’episcopato, screditano il collegio cardinalizio, incrinano il Magistero della Chiesa e puntano frontalmente al Santo Padre. Altri dignitari, ora in pensione o deceduti, avevano già guidato questo tipo di movimento. Oggi, queste osservazioni provocano spesso costernazione, perché la gente si aspetta maggiore prudenza e rigore morale, teologico e comportamentale da parte di questi dignitari che – influenzati da idee di moda in certi ambienti – fanno di tutto per “giustificare” l’uso del preservativo mettendo insieme i soliti trucchetti del “danno minore” o del “doppio effetto” con tono da venditori.

Uno di questi dignitari è arrivato al punto di considerare l’uso del condom come un obbligo morale in base al quinto comandamento. In questo senso si sostiene che se le persone infette dal virus si rifiutano di praticare l’astinenza, dovranno proteggere il loro partner e che l’unico modo per farlo, in questo caso, sia attraverso il preservativo.

Questo tipo di osservazioni sono sufficienti per lasciare la gente perplessa e rivelano una conoscenza incompleta e tendenziosa della morale più naturale e in particolare della morale cristiana. Il modo di presentare le cose è quanto meno sorprendente.

Un problema di morale naturale

Alcune considerazioni rassicuranti ma false
Le argomentazioni di questi dignitari, relative all’uso del condom, sono sorprendentemente superficiali. Queste persone dovrebbero piuttosto attingere agli autorevoli studi scientifici e clinici, evitando di rilanciare e dare credito a chiacchiere da tempo confutate in qualunque rivista di consumatori.

Come si può non aver preso atto che l’effetto di contenimento che il condom dovrebbe esercitare è in realtà ampiamente illusorio? È così in quanto il preservativo è meccanicamente fragile, incoraggia e aumenta il numero dei partner e la varietà delle esperienze sessuali. Per questi motivi esso aumenta i rischi anziché ridurli.

L’unica efficace forma di prevenzione risulta essere quella della rinuncia ai comportamenti rischiosi e quella della fedeltà.

Da questo punto di vista, la qualificazione morale dell’uso del preservativo è un problema di onestà scientifica e di morale naturale. La Chiesa ha non solo il diritto, ma anche il dovere di pronunciarsi su questo argomento.

Inefficacia a cui consegue la morte
Le esternazioni di questi dignitari mancano di citare recenti studi di innegabile valore scientifico, come quello del dottor Jacques Suaudeau[2]. Seppure ignorassero questi studi recenti, potrebbero almeno tenere a mente i moniti precedenti, espressi dalle più elevate autorità scientifiche. Per esempio, nel 1996, si leggeva in un rapporto del professor Henri Lestradet, dell’Accademia nazionale della medicina (Parigi) [3]:

“È opportuno […] sottolineare che il condom è stato inizialmente considerato come un mezzo di contraccezione. Tuttavia […] il tasso di ‘fallimento’ è generalmente collocato tra il 5% e il 12%, per coppia, per anno di utilizzo.”

“A priori […] con il virus dell’HIV che è 500 volte più piccolo dello sperma, è difficile pensare ad un tasso inferiore di fallimento. In ogni caso c’è un’enorme differenza tra queste due situazioni. Se il condom non è totalmente efficace come mezzo contraccettivo, la conseguenza di tale fallimento è lo sviluppo della vita, mentre in caso di contrazione dell’HIV è la morte in ogni caso”. [4]

Poi, considerando il caso dei sieropositivi, lo stesso rapporto osserva che: “L’unico comportamento responsabile di un uomo sieropositivo è l’effettiva astensione dai rapporti sessuali, sia quelli protetti che quelli non. […] Se una coppia prevede di instaurare una relazione stabile, dovrebbe seguire queste raccomandazioni: che ciascuno si sottoponga ad analisi cliniche, ripetendole dopo tre mesi, praticando in questo periodo l’astinenza da ogni rapporto sessuale (con o senza condom), per poi impegnarsi nella fedeltà reciproca. [5]

I dignitari, che sono gli autori delle considerazioni oggetto del nostro esame, dovrebbero tenere conto della drammatica conclusione che si trae dallo studio che stiamo citando:

“L’asserzione – proclamata centinaia di volte da operatori sanitari, dal Conseil supérieur per l’AIDS, e da associazioni per la lotta all’AIDS – della piena sicurezza assicurata in ogni circostanza dall’uso del preservativo, è senza alcun dubbio alla base di molte infezioni di cui ancora oggi ci si rifiuta di ricercare le cause”. [6]

Alcune campagne internazionali vengono attuate in società “esposte”, inondandole di preservativi. Le autorità religiose vengono invitate a dare il loro patrocinio. Ebbene, nonostante queste campagne, e probabilmente a causa di queste campagne, si osserva regolarmente una progressione della pandemia.

Nel luglio del 2004, una delle più eminenti autorità mondiali sull’AIDS, il dottore belga Jean-Louis Lamboray, ha lasciato l’UNAIDS (Il programma delle Nazioni Unite contro l’AIDS). Come motivo del suo abbandono ha indicato “il fallimento delle politiche nel porre un freno alla diffusione di questa malattia”. Queste politiche hanno fallito perché “l’UNAIDS ha dimenticato che le vere misure preventive vengono decise nelle case della gente e non negli uffici degli esperti”. [7]

Prima di emanare dichiarazioni perentorie, i dignitari dovrebbero ricordare ciò che un altro dottore ha detto; uno a cui i mezzi di comunicazione hanno dato ampia risonanza e che certamente non può essere sospettato di simpatia verso le posizioni della Chiesa. Ecco ciò che il defunto professor Leon Schwartzenberg ha scritto nel 1989:

“Sono certamente soprattutto i giovani a diffondere l’AIDS; sono completamente ignari della tragedia dell’AIDS, che è per loro una malattia delle persone anziane. Questa convinzione è rafforzata dall’atteggiamento della classe politica, molto più anziana di loro, che è responsabile di tale propaganda: la pubblicità ufficiale del preservativo sembra essere creata da chi non lo usa mai, per chi non vuole usarlo”. [8]

Gli as
coltatori, i lettori e chi guarda la televisione, quindi, non possono prendere per buone le considerazioni imprudenti di questi dignitari, senza rischiare – come loro – di vedersi accusati presto o tardi di essere “alla radice di molte infezioni”.

[La seconda parte dell’articolo verrà pubblicata domenica 30 gennaio]

1) Questo testo è un estratto di Le terrorisme à visage humain, di Michel Schooyans et Anne-Marie Libert, seconda edizione, Parigi, F.-X. de Guibert Publisher, 2008, pp. 173-179.
2) Dr Jacques SUAUDEAU, articolo “Sexo seguro” in Lexicon, Madrid, Ed. Palabra, 2004; pp.1041-1061. L’edizione italiana è stata pubblicata a Bologna, Ed. EDB, 2003.
3) Henri LESTRADET., AIDS, Propagation and Prevention. Rapporti della Commission V11 della National Academy of Medicine, con commenti, Parigi, Editions de Paris, 1996.
4) ibid, p.42.
5) ibid, p.46.
6) ibid, pp.46 e ss.
7) ACI comunicato del 6 luglio 2004.
8) Léon Schwartzenberg, Interview in La Libre Belgique (Brussels), 13 marzo 1989, p.2.

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*Mons. Michel Schooyans, filosofo e teologo, è membro della Pontificia Accademia delle scienze sociali e della Pontificia Accademia per la vita, consultore del Pontificio Consiglio per la famiglia e membro dell’Accademia messicana di bioetica. Dopo aver insegnato per dieci anni all’Università cattolica di San Paolo, in Brasile, è andato in pensione come professore di filosofia politica ed etica dei problemi demografici presso l’Università cattolica di Louvain, in Belgio. È autore di circa trenta libri.

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ZENIT Staff

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