di Roberta Sciamplicotti
FATIMA (Portogallo), venerdì, 21 gennaio 2011 (ZENIT.org).- L’azione missionaria del terzo millennio deve basarsi “sull’evangelizzazione e sulla testimonianza della carità”. Lo ha affermato l’Arcivescovo Antonio Maria Vegliò, Presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, intervenendo il 16 gennaio a Fatima all’XI Incontro di Formazione degli Operatori Socio-Pastorali.
Nella sua prolusione, sul tema “Mobilità umana ed evangelizzazione: sfide di un nuovo millennio”, il presule ha sottolineato come il continente europeo sia “segnato da un profondo movimento di scristianizzazione” e allo stesso tempo assista a un grande afflusso di migranti di molte religioni.
“Il cammino missionario che intendiamo percorrere in questo terzo millennio dovrà essere improntato sull’evangelizzazione e sulla testimonianza della carità – ha osservato –. Non dimentichiamo che la carità cristiana ha una grande forza evangelizzatrice nella misura in cui si fa segno dell’amore di Dio tra gli uomini. Essa consiste nella disponibilità al prossimo in nome di Gesù Cristo”.
“La Chiesa, dunque, è chiamata a vivere nell’amore, a rivelare al mondo l’amore di Dio e a contagiare il mondo con le opere dell’amore”, ha segnalato.
I migranti, infatti, si attendono dalla Chiesa universale “un orientamento e una risposta ai grandi interrogativi sulla fede cristiana, conforto e aiuto umano capaci di ridare senso e speranza alla loro esistenza”.
In questo contesto, gli operatori pastorali della mobilità umana “sono testimoni dell’amore di Dio nell’accoglienza dei migranti”.
Europa in crisi
Monsignor Vegliò ha poi affrontato la situazione dell’Europa, continente in cui “emergono ovunque preoccupanti segni di smarrimento e di confusione, anche sotto la spinta del fenomeno migratorio”.
“Primo tra questi è l’eccessiva ricerca di autonomia dell’uomo nei confronti di Dio. La persona umana, in effetti, sempre più tenta di concentrare la sua attività scientifica, tecnica, culturale e politica nelle proprie mani”, ha osservato.
“Anche l’universo viene lasciato all’uomo come unico dominatore, che lo manipola a suo piacimento, con il rischio di creare danni irreparabili all’intero ecosistema, ma anche al complesso mondo delle relazioni interpersonali e persino alla ricerca dei valori e del senso dell’esistenza”.
Un secondo elemento da considerare riguarda “i cambiamenti etici che stanno avvenendo nella società contemporanea, con particolare riferimento al disfacimento della famiglia, alla ridotta valorizzazione del matrimonio, al ricorso all’aborto, all’uso e al consumo della sessualità come utilità commerciale senza amore, alla mancata tutela della vita nascente, al deprezzamento dell’anziano e, in generale, delle persone con disabilità”.
Pluralismo
La politica migratoria europea è attualmente “in una fase critica, in quanto, alla necessità di coordinamento e di armonizzazione, si contrappone la difficoltà dei singoli Stati di cedere alcune prerogative in tale ambito”, ha sottolineato l’Arcivescovo.
“Nello stesso tempo, permane la chiusura delle frontiere, con la conseguente impossibilità per gli immigrati di entrare regolarmente, oltre le quote ammesse”, problema a cui si aggiungono le “piaghe del traffico e della tratta di esseri umani”, che coinvolgono soprattutto ragazze e bambini, “con deprecabile sviluppo del traffico di organi”, nonché “episodi di incresciosa intolleranza”.
“Preghiamo perché dovunque cresca il rispetto per ogni persona, insieme alla responsabile consapevolezza che solo nella reciproca accoglienza di tutti è possibile costruire un mondo segnato da autentica giustizia e pace vera”, ha auspicato il presule.
I lineamenti che solcano il volto dell’Europa oggi, ha proseguito, “sono quelli della multietnicità e del multiculturalismo, che portano con sé differenti forme di appartenenza religiosa”.
“Il dialogo non è facile, soprattutto con il mondo islamico, anche perché termini come giustizia, verità, dignità e diritti umani, laicità, democrazia e reciprocità hanno differenti contenuti rispetto a quelli che vi attribuisce la cultura europea”.
Ad ogni modo, “nel giorno in cui una civiltà si apre alle altre culture, essa stessa ne trae beneficio in fatto di crescita e di rafforzamento”. “Al contrario, debolezza e declino iniziano proprio quando essa non accetta il dialogo, il confronto e lo scambio reciproco, nel dinamismo del mutuo dare e ricevere”.
Il pluralismo, ha indicato monsignor Vegliò, è del resto “una delle categorie che danno espressione allo sviluppo umano, inteso non semplicemente in termini di crescita economica, ma anche come mezzo per un’esistenza più soddisfacente dal punto di vista intellettuale, emotivo, morale e spirituale”.
La Chiesa, “consapevole delle tragedie passate” che hanno “travolto anche il continente europeo”, “sa che l’integrazione piena di ogni minoranza è essenziale per il mantenimento della concordia civile e della democrazia”, ha concluso l’Arcivescovo.
“Sul fondamento della fede cristiana, essa intende contribuire alla costruzione di un’Europa dal volto più umano, in cui siano tutelati i diritti umani e i valori basilari della pace, della giustizia, della libertà, della tolleranza, della partecipazione e della solidarietà”.