Iraq: “Non ingannate i cristiani!”

Un Arcidiacono chiede di difendere i seguaci di Gesù

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KÖNIGSTEIN IM TAUNUS, giovedì, 20 gennaio 2011 (ZENIT.org).- L’Arcidiacono Emanuel Youkhana, coordinatore degli aiuti umanitari alle famiglie cristiane in Iraq, ha chiesto in una conversazione con  l’associazione cattolica internazionale Aiuto alla Chiesa che Soffre che il mondo occidentale e il Governo iracheno “chiamino le cose con il loro nome, cioè (dicano) che i cristiani sono vittime di attacchi sistematici per cacciarli dal Paese”.

Padre Youkhana ha criticato il fatto che il Governo iracheno lo neghi e che nella comunità internazionale sorgano sempre più voci che affermano che il terrore “non è rivolto contro i cristiani, ma contro tutti”.

Per il sacerdote, è chiaro che gli attacchi si rivolgono contro i cristiani, per cui chiede che non si continui a ingannarli, perché non esiste un progetto per contrastare “il piano premeditato di mettere in fuga i cristiani iracheni”.

L’Arcidiacono ha sottolineato che non basta condannare ciò che accade. A questo proposito, si è riferito all’attentato alla Cattedrale di Nostra Signora del Perpetuo Soccorso a Baghdad, nel quale il 31 ottobre scorso sono morte più di 50 persone. La chiesa era già stata bersaglio di un attentato nel 2004, ha avvertito. “Le condanne non sono servite a nulla”.

Padre Youkhana ha spiegato che la paura maggiore dei cristiani non sono gli attentati, ma il futuro, “ciò che deve avvenire”.

I fedeli, ha aggiunto, temono la crescente islamizzazione della società. Per questo, molte donne cristiane escono di casa solo con il velo, perché la pressione sociale è molto forte e le persone non accettano chi non è come loro.

L’Arcidiacono ha anche spiegato che poco tempo fa è stata chiusa la Facoltà di Musica dell’Università di Baghdad perché la musica non è compatibile con la sharia, la legge islamica. Alcuni leader musulmani, inoltre, chiedono che nelle università ci sia una separazione in base al sesso.

Il sacerdote ha criticato il fatto che la Costituzione irachena discrimini i cristiani imponendo che il Tribunale Costituzionale del Paese conti sempre su leader spirituali musulmani di spicco.

“La Costituzione deve concedere ai cristiani gli stessi diritti, e non trasformarli in cittadini di seconda o terza categoria”, ha sottolineato, aggiungendo che non basta nemmeno “limitarsi a difendere meglio le chiese, perché che cosa accade allora con le scuole, le abitazioni e la vita quotidiana?”.

Padre Youkhana ha citato il caso di un ingegnere cristiano che la polizia aveva avvertito di non lasciare la propria casa, chiedendo ai vicini di fargli la spesa.

“Come può vivere una famiglia in queste condizioni?”, si è chiesto. Dall’altro lato, ha definito “ingenua” l’offerta dei Paesi occidentali di accogliere i rifugiati iracheni, perché in questo modo contribuiscono in modo indiretto alla scomparsa della presenza cristiana in Iraq. A suo avviso, bisogna aiutare la gente perché resti nel proprio Paese d’origine.

Il sacerdote ha poi segnalato che la vita dei cristiani subisce limitazioni sempre maggiori, e che molti non pensano che a fuggire. Del milione di cristiani che c’era, ne restano solo 300.000, ha segnalato.

Ogni settimana, quattro voli partono da Baghdad alla volta della capitale libanese Beirut, e la maggior parte dei passeggeri è composta da cristiani. Spesso famiglie intere decidono di fuggire all’improvviso. Prendono la decisione in una notte e lasciano tutto ciò per cui i loro antenati hanno lottato per secoli: casa, impiego, tutto.

Alcuni fuggono anche da zone sicure in cui non c’è violenza, perché non vedono più un futuro per la propria famiglia.

Secondo l’Arcidiacono, il compito più importante delle Chiese cristiane è infondere fiducia e speranza.

“Già prima che il Paese cadesse, la gente è sprofondata psicologicamente. Tutto il Paese è traumatizzato”, ha spiegato, precisando che le terapie per curare i traumi sono particolarmente importanti per i bambini e i giovani.

L’Arcidiacono sostiene la necessità di rimediare al danno sociale frutto delle guerre e dei violenti conflitti interni e di ristabilire la consapevolezza della dignità umana.

La Chiesa, constata, svolge in questo contesto un ruolo chiave, perché trasmette un messaggio di speranza e dice “Non temete!”. Ad ogni modo, riconosce il presbitero, è anche importante il sostegno materiale. Neanche Gesù, infatti, si è limitato a predicare, dando invece aiuti in modo concreto e materiale.

Padre Youkhana ha segnalato che bisogna aiutare soprattutto le famiglie che fuggono da Baghdad verso le città più piccole del nord. Spesso sono persone con una laurea che non trovano lavoro e devono ricominciare da zero. “Il primo giorno dopo la fuga l’unica cosa che conta è avere un posto sicuro in cui dormire, ma poi si ha anche bisogno di lavoro, infrastrutture, scuole”, ha spiegato.

Il futuro dei cristiani iracheni, a suo parere, non dipende da loro. Il Governo iracheno non fa nulla, e i cristiani sono “indifesi, ma non sfiduciati”. Anche se la speranza non può fondarsi sulle parole, ha segnalato, è comunque importante che i mezzi di comunicazione informino sulla situazione dei cristiani.

La Chiesa universale e associazioni come Aiuto alla Chiesa che Soffre rappresentano una “forte solidarietà morale e materiale”, ma la Chiesa non dispone di risorse per preparare tutte le infrastrutture o per operare cambiamenti politici. Da questo punto di vista, segnala padre Youkhana, devono agire i governanti.

Ci sono esperti che assicurano che l’attuale persecuzione dei cristiani in Iraq è la peggiore dei nostri tempi. Poche settimane fa, una cellula irachena del gruppo terroristico Al Qaeda ha dichiarato che tutti i cristiani del Vicino Oriente sono “obiettivi legittimi” di attentati. E gli attacchi e i sequestri non accennano a cessare.

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ZENIT Staff

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