di Aurelio Porfiri*
ROMA, martedì, 18 gennaio 2011 (ZENIT.org).- Elegante. Un giorno splendente di sole, mentre camminavo per le vie di Hong Kong, fui colpito da qualcosa che al momento mi apparve come inusuale. Non so perché, proprio quel giorno, venni distratto da quella particolare visione che forse era capitata sotto i miei occhi già altre volte. Cosa c’era di speciale in quel giorno in Hong Kong? Chiunque abbia visitato Hong Kong sa come questa città ha tutte le caratteristiche di una metropoli, grazie anche ai suoi sette milioni e mezzo di abitanti concentrati in non molto spazio. Hong Kong è un brulicare di palazzoni e grattacieli che svettano da Kowloon ai Nuovi Territori. A me piace molto Hong Kong, anche il giorno prima di cominciare questo articolo ero lì per una conferenza e quindi le immagini di questa città sono ancora fresche in me.
Ma cosa mi colpì in quell’assolato giorno di alcuni anni fa? Era un edificio, tanto per cambiare, ma questo edificio aveva qualcosa di diverso dagli altri. Sembrava non solo una meraviglia architettonica perfettamente funzionale, ma aveva qualcosa nella sua struttura che suggeriva immagini di dilettevole proporzionalità. Nella maniera in cui la facciata era organizzata non c’era solo la fredda e prevedibile geometria ma c’era una qualche ricercatezza a cui non sapevo dare un nome ma che la mia mente sentiva dover essere come familiare, nel senso platonico dell’ideale, nel ritrovare cioè qualcosa che già esiste nel mondo iperuranico delle idee. Avendo avuto qualche tempo per riflettere su questa strana sensazione che il palazzo faceva provare ai miei sensi, cercai una parola che definisse questa esperienza estetica (nel senso etimologico del termine, “io sento”). Pensai un po’ e una parola mi venne alla mente: questo edificio appariva “elegante”.
Già, elegante. Io credo che questa parola sia sottointesa in tante definizioni che si cercano di dare alla musica per la liturgia. Quando essa è ben fatta se ne apprezza il disegno, la struttura, la costruzione; insomma, l’eleganza. Io credo sia questa l’interpretazione giusta della definizione di musica per la liturgia data da san Pio X nel suo fondamentale Motu Proprio; accanto ad universalità e santità, egli pone la “bontà di forme”. Nella nostra epoca moderna sembra difficile definire univocamente la “bontà di forme” visto che siamo immersi in così tanti stili diversi e ancora più numerosi stili frutto di contaminazioni. Ma io credo che un aiuto nel dirimere questa questione viene proprio dall’uso del termine “eleganza”. Quale che sia lo stile usato, esso deve essere elegante, che significa armonicamente proporzionato e funzionale (ma non in senso solo pratico, ma soprattutto in senso estetico) allo scopo per cui si pone ad esistere. Nella sua Enciclica Musicae Sacrae Disciplina del 1955, Pio XII affermava: “Fra i molti e grandi doni dei quali Dio, in cui è armonia di perfetta concordia e somma coerenza, ha arricchito l’uomo, creato a sua “immagine e somiglianza” (cf Gn 1, 26), deve annoverarsi la musica, la quale, insieme con le altre arti liberali contribuisce al gaudio spirituale e al diletto dell’animo”.
Se la musica per la liturgia deve riflettere in qualche modo la bellezza di Dio per offrirla al godimento del fedele, non posso che fare mia la bella frase di cui sopra: “armonia di perfetta concordia e somma coerenza”; non credo ci sia definizione migliore di eleganza. La musica per la liturgia deve essere una armonia che deriva dalla perfetta concordia. Concordia che contiene il termine “corde”, cuore. Significa non semplicemente che tutti seguono un certo indirizzo di comportamento, ma che questo modo di essere della musica è perfettamente connaturato a se stessa, generando così una armonia perfetta perché derivante da una “volontà” perfetta intrinseca alla musica stessa, una volontà che va al suo stesso cuore. Tramite il lavoro dell’imperfetto compositore, la musica in un certo senso ritrova se stessa nella sua concezione più pura ed alta.
Io credo che uno degli esempi più essenziali di questo sia il mottetto Sicut Cervus di Giovanni Pierluigi da Palestrina. Quando mi capitava di parlarne con alcuni dei miei venerati Maestri, le definizioni giravano sempre intorno alla perfezione formale di questo brano. Sembra che ogni nota sia esattamente dove deve essere, sembra che in un certo senso la musica rivendichi la sua origine soprannaturale vincendo momentaneamente le imperfezioni e debolezze umane dell’artigiano che l’ha prodotta. Questa è suprema eleganza, questo equilibrio perfetto che si può ammirare ma che non si può che bramare di riprodurre. Ecco cosa ne risulta, la somma coerenza di cui parlava il Papa Pio XII. La musica deve tendere a questa estrema funzionalità, non intendendo questo termine nel suo senso più basso e volgare di uso pratico (come tanta musica per la liturgia di oggi e di ieri), ma nel senso di esaltazione delle sue caratteristiche (ecclesiale, estetica, edificante e via dicendo) che facciano in modo di renderla un esempio di suprema armonia. Certamente, non tutti i modelli possono essere altissimi come quello citato in precedenza e anch’io penso che non si debba solo trovare questi modelli nel passato. Ma cercare l’eleganza nella forma credo sia un obiettivo fondamentale di ogni composizione che ha una finalità liturgica.
E’ chiaro che l’eleganza esiste anche in tanta altra musica non liturgica: in ogni caso io penso che non ci sia buona musica liturgica se essa non è elegante. Vorrei prendere l’esempio di una forma musicale, la Fuga. I musicisti sanno che questa forma è in sostanza un meccanismo in cui le entrate delle voci e la ripartizione delle varie parti sono, in un certo senso, fortemente regolamentate. Ma un conto è il mero rispetto di una certa regola, un conto è una fuga di Bach. Questa è elegante, non solo funzionale e coerente a se stessa, ma anche creatrice di una bellezza che va oltre la regola che pure non disdegna di rispettare. Eleganza significa non urlato, significa congruente all’uso ma non in senso meccanicistico, significa emozionante nel suo senso più pieno e totale e non nel suo senso parziale ed immediato. L’eleganza si riscopre con la cura della forma, cercando di tenersi lontani dal formalismo. Ma il formalismo è solo una delle possibili eresie, l’altra è quella che Martin Mosebach definisce “l’eresia dell’informe”, titolo di un suo famoso libro abbastanza critico della riforma liturgica. Ma in effetti questa ultima eresia è ciò che ci è dato vivere.
Io non credo che il problema sia la nuova Messa, io credo che il problema sia il culto dello spontaneismo fine a se stesso. Se l’improvvisazione non è inserita in una sapienza acquisita è vuoto spontaneismo. Gli antichi greci improvvisavano le loro melodie ma si servivano di norme ben precise, nomoi, che ne delimitavano le possibilità e ne frenavano gli eccessi. Si è pensato che il culto dello spontaneismo giovanile, delle “cose fatte con il cuore”, del moderno senza radici avrebbe portato buoni frutti. In realtà i frutti non sono mai arrivati e ci si è allontanati così tanto che persino le composizioni nate per la nuova liturgia ma composte con sapienza ed eleganza fanno fatica a farsi strada nella sciatteria predominante. Torniamo all’eleganza, alla misura, alla sapienza delle proporzioni: riscopriremo le leggi segrete che fanno delle cose discordanti una perfetta e risonante armonia.
[Il prossimo articolo della serie le “Dieci parole per la musica liturgica” uscirà il 25 gennaio prossimo]
————
*Aurelio Porfiri vive a Macao ed è sposato, con un figlio. E’ professore associato di musica liturgica e direzione di coro e coordinatore per l’intero programma musicale presso la University of Saint Joseph a Macao (Cina). Sempre a Macao collabora con il Polytechnic Institute, la
Santa Rosa de Lima e il Fatima School; insegna inoltre allo Shanghai Conservatory of Music (Cina). Da anni scrive per varie riviste tra cui: L’Emanuele, la Nuova Alleanza, Liturgia, La Vita in Cristo e nella Chiesa. E’ socio del Centro Azione Liturgica (CAL) e dell’Associazione Professori di Liturgia (APL). Sta completando un Dottorato in Storia. Come compositore ha al suo attivo Oratori, Messe, Mottetti e canti liturgici in latino, italiano ed inglese. Ha pubblicato al momento quattro libri, l’ultimo edito dalle edizioni san Paolo intitolato “Abisso di Luce”.