Un missionario cattolico nel cuore dei cinesi

Mons. Claudio Giuliodori parla dell’attualità di padre Matteo Ricci

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di Renzo Allegri

ROMA, mercoledì, 12 gennaio 2011 (ZENIT.org).- Con il 2010 si sono concluse le varie manifestazioni per ricordare i 400 anni della morte di padre Matteo Ricci, il più grande missionario cattolico della Cina. Evento che, nel corso dell’anno, si è articolato in molti importanti appuntamenti religiosi e culturali, in Italia e in Cina, ma che nei media europei non ha avuto quell’attenzione che avrebbe meritato.

Padre Ricci, nato a Macerata il 6 ottobre 1552 e morto in Cina, a Pechino, l’11 maggio 1610, non fu solo un grande missionario, un religioso gesuita di straordinaria santità, che ha dedicato tutta la sua esistenza a Dio e alla diffusione del Vangelo, ma fu anche uno scienziato, matematico, cartografo, esploratore, linguista. Un personaggio che ha lasciato un segno profondo nella storia della cultura internazionale ed ha edificato il primo importante ponte tra Cina ed Europa, portando in Oriente la scienza di cui era in possesso e facendo conoscere al mondo occidentale la cultura cinese, in particolare le opere di Confucio.

Nel corso del 2010, Padre Ricci è stato celebrato anche in Cina, dove, a distanza di quattro secoli, è ancora ricordato e ammirato. La Cina è di estrema attualità. E’ la nazione con il maggior numero di abitanti e sta diventando la prima potenza economica del mondo. Non brilla, però, per zelo a favore dei diritti umani e a favore della libertà religiosa. In Cina ci sono oltre 13 milioni di cristiani, molti dei quali, per essere fedeli al Papa, vivono come ai tempi delle catacombe. Le sollecitudini e le preoccupazioni di Papa Benedetto XVI per quei cristiani sono continue. Negli ultimi quattro anni, sembrava che tra Pechino e la Santa Sede i rapporti stessero per diventare concilianti, sulla via di una possibile intesa di relazioni diplomatiche, interrotte dal 1952. Ma, a dicembre, in Cina si sono verificati episodi di grave intolleranza verso la Chiesa Cattolica, che hanno provocato dal Vaticano una dura nota di condanna.

Il momento è, quindi, difficile e il pensiero corre a padre Matteo Ricci, l’uomo del dialogo, che i cinesi, a distanza di 400 anni, continuano a stimare e a onorare,come uno dei grandi personaggi della loro storia. Data questa favorevole situazione, per la Chiesa padre Ricci rappresenta, in Cina, uno straordinario punto di riferimento. Un “ponte” solido per un dialogo sincero. Da tempo è in corso il processo per la sua beatificazione, e molti ritengono che se si potesse arrivare presto alla conclusione, sarebbe un traguardo assai utile a risolvere molte delle difficoltà che intercorrono tra Pechino e la Santa Sede.

Per capire meglio quanto “importante” sia ancora oggi padre Ricci in Cina, e quindi utile per il dialogo con la Chiesa cattolica, abbiamo parlato con monsignor Claudio Giuliodori, vescovo di Macerata, che, nel corso dell’anno ricciano, è stato l’infaticabile artefice di innumerevoli iniziative per i 400 anni della scomparsa del celebre missionario ed ha avuto molti contatti con autorità e personalità cinesi.

“Padre Matteo Ricci”, dice mons. Giuliodori “è una figura che ha vissuto in un momento storico importante all’inizio della modernità, ed ha affrontato delle sfide che erano grandi per il suo tempo ma che sono anche di straordinaria attualità”.

Quali sono le caratteristiche specifiche che hanno reso famoso questo missionario?

Mons. Giuliodori: Prima di tutto, il suo stile di apostolo. Egli ha rinnovato profondamente il metodo missionario del suo tempo, anticipando di oltre tre secoli le direttive del Concilio Vaticano II. Ha incentrato la sua azione sull’idea che ogni essere umano, indipendentemente dalla sua religione e dalle sue ideologie, è portatore di grandi valori. Nei confronti del popolo cinese, ebbe un grandissimo rispetto, anzi una sincera ammirazione. Il suo progetto era di innestare la novità evangelica sul tessuto culturale, umano e storico di quel popolo. Volle diventare amico dei cinesi, volle avere una conoscenza profonda della loro cultura e della loro storia. Volle, in un certo senso, farsi cinese, per comprendere meglio i cinesi. All’inizio si vestiva come i bonzi, ma poi, dopo qualche anno, capì che bisognava dialogare con i letterati e cominciò a vestire e a vivere come loro dando una svolta decisiva alla missione dei gesuiti. Una peculiarità di comportamento di estrema avanguardia per quel tempo, che Benedetto XVI ha positivamente evidenziato affermando: “Padre Ricci è un caso singolare di felice sintesi fra l’annuncio del Vangelo e il dialogo con la cultura del popolo a cui lo si porta, un esempio di equilibrio tra chiarezza dottrinale e prudente azione pastorale”.

Padre Matteo Ricci fu il primo grande “sinologo” della storia. Studiò a fondo la lingua cinese per far conoscere ai cinesi le conquiste, le innovazioni, le conoscenze dell’Occidente, e poter trasmettere poi a loro il Vangelo. Ma fu anche il primo a far conoscere in Occidente la cultura e la filosofia cinese. Studiò a fondo i libri fondamentali del Confucianesimo al punto da esserne considerato un conoscitore più competente degli stessi letterati cinesi, e realizzò la prima traduzione in latino delle principali opere di Confucio. Mise in contatto due civiltà che praticamente non si conoscevano. Oggi, ci troviamo in una situazione non diversa di quella del suo tempo. Forse allora non c’era per l’Occidente la necessità di confrontarsi con l’Oriente, ma c’era solo un’opportunità. Oggi, invece, c’è la “necessità”. In particolare per quanto riguarda la Cina e l’India, nazioni che hanno il maggiore sviluppo economico nel nostro mondo, che sembrano portare in se stesse i germi del futuro dell’umanità. Quindi, padre Matteo Ricci può essere un buon maestro per imparare a “rapportarci” in modo serio, coerente, costruttivo con l’Oriente. Per questo non è un uomo del passato, ma potremmo dire del futuro.

Doveva avere una straordinaria formazione umana e intellettuale per compiere quanto ha realizzato in Cina.

Mons. Giuliodori: Non bisogna dimenticare che era un gesuita, apparteneva cioè a una Congregazione religiosa che fu sempre all’avanguardia non solo in campo teologico ma anche in quello filosofico e scientifico.

Padre Ricci è nato a Macerata, la città di cui lei è vescovo.

Mons. Giuliodori: Apparteneva a un’antica famiglia borghese di Macerata. Suo padre, Giovanni Battista, era un uomo colto e fu governatore di varie città. La madre, Giovanna, era una nobile. Nelle aspettative della famiglia, Matteo doveva diventare un uomo di legge. Ebbe una prima educazione in casa, da un precettore, a nove anni iniziò gli studi umanistici, e li iniziò nel collegio che i gesuiti avevano aperto da poco a Macerata. A sedici, venne mandato a Roma per studiare Giurisprudenza all’Università La Sapienza. A Roma, Matteo trovò la propria vocazione. Da un documento scritto, sappiamo che, il 15 agosto 1971, quindi a 19 anni, chiese al Superiore generale dei gesuiti di essere ammesso nella loro Congregazione e la sua richiesta venne immediatamente accettata.

Superato l’anno di prova, cioè l’anno di noviziato, riprese gli studi e fu allievo, nel Collegio Romano dei gesuiti, di due straordinari professori: Padre Cristoforo Clavio, grandissimo matematico e astronomo tedesco, autore tra l’altro della revisione del Calendario Giuliano voluta da Papa Gregorio XIII, e padre Roberto Bellarmino, che diventerà poi cardinale, santo, e dottore della Chiesa. Al Collegio Romano si distinse non solo come uno dei migliori studenti, ma anche per la sua pietà e per il suo zelo missionario. Tanto che, nel 1577, il Padre Generale dei Gesuiti scelse un gruppo di suoi religiosi da inviare missionari in India e
tra essi inserì il giovane Ricci che non era ancora stato ordinato sacerdote.

Il viaggio verso l’Oriente durò oltre sei mesi. In India, Matteo riprese gli studi teologici e nel 1580 venne ordinato sacerdote. Il progetto dei gesuiti che si trovavano in India, era quello di prepararsi per entrare in Cina. Avevano una base a Macao, che era colonia portoghese, dove alcuni stavano studiando la lingua cinese, ma erano in difficoltà, e il responsabile di quel progetto, padre Alessandro Valignano, pensò che il giovane Matteo Ricci, brillante in tutti gli studi affrontati, poteva essere la persona adatta anche per apprendere la difficile lingua cinese, e gli ordinò di trasferirsi a Macao. Padre Valignano aveva intuito bene: infatti due anni dopo, Matteo Ricci era pronto e riuscì, accompagnato da un confratello, padre Michele Ruggeri, a varcare il confine con la Cina, fermandosi a Zhaoqing, città della provincia del Guangdong, dove iniziò la sua grande avventura. Le difficoltà e gli ostacoli furono grandissimi. Ma non si perse mai d’animo. Riuscì a costruire una chiesa, così bella che il vicerè della città la voleva per sé. Dopo sei anni, nel 1589, si spostò a Shaozhou, dove fondò una nuova comunità.

Intanto aveva capito che l’aspetto assunto di bonzo non era conveniente perché i bonzi non godevano più della stima del popolo, doveva cambiare “look”. Decise di assumere il ruolo di uomo di cultura, quale del resto era, adattando anche il suo modo di vestire al nuovo stato. Questo avvenne nel 1595, anno in cui egli pubblicò il suo primo libro in cinese, un trattato sull’amicizia, con cento detti di autori occidentali, libro che destò grande stupore in Cina e che divenne il suo biglietto da visita. I letterati cinesi capirono che era un uomo assai più colto di loro e cominciarono ad ammirarlo. La fama si sparse. E finalmente, nel 1601, padre Matteo Ricci riuscì a stabilirsi a Pechino.

L’arrivo nella capitale fu reso possibile da un intervento dell’imperatore Wanli della dinastia Ming. La fama di Ricci e dei sui libri era arrivata anche a corte. L’imperatore era curioso di conoscere quell’uomo occidentale e firmò un documento con il quale stabiliva che Matteo Ricci, insieme a suoi confratelli, potesse vivere a Pechino mantenuto dall’erario. Ricci portò all’imperatore alcuni doni strabilianti: un clavicembalo, strumento non conosciuto in Cina, dipinti ad olio, tecnica non conosciuta in Cina, e delle carte geografiche, dei “mappamondi” che facevano conoscere tutti i continenti e la loro ubicazione, anche questi sconosciuti in Cina.

Iniziò così l’ultimo periodo della vita di Matteo Ricci: nove anni, intensi di attività, di prestigio, di iniziative. Grazie alla protezione dell’imperatore e alla propria fama di grande uomo di scienza, potè fondare una missione solida e prestigiosa. Molte persone si convertirono, tra esse anche alcuni fra i più alti funzionari dell’apparato burocratico civile e militare cinese. Uno, Xu Guangqi, venne battezzato con il nome di Paolo. Era, e continuò ad esserlo anche da convertito, tra i principali letterati cinesi. Fu primo ministro, ministro dei riti, direttore dell’Osservatorio astronomico. Fu grande amico di Ricci, suo prezioso collaboratore nella traduzione in cinese di opere scientifiche europee e nella redazione delle carte del Mappamondo, opera che rese Ricci famoso in tutta la Cina. E dopo la morte di Ricci, continuò a proteggere e difendere i gesuiti da quei gruppi di potere che li volevano cacciar via.

C’è un particolare molto importante da sottolineare, che giocò a favore di Padre Ricci. L’imperatore era, per i cinesi, “il figlio del Signore del cielo”, quindi era un po’ il “detentore delle conoscenze astronomiche”, colui, quindi, che doveva garantire, attraverso l’interpretazione dei fenomeni celesti, questa sua identità e il prestigio della propria conoscenza del cielo. Gli strumenti scientifici astronomici in possesso agli scienziati cinesi di quel tempo, non erano molto precisi, mentre Matteo Ricci possedeva cognizioni e strumenti d’avanguardia. E riceveva, sia pure attraverso enormi difficoltà e tempi lunghi, continui aggiornamenti da parte del suo professore, il famoso Cristoforo Clavio. Si rese conto che se metteva a disposizione dell’imperatore la propria scienza, gli rendeva un grandissimo favore e ne avrebbe ricevuto in cambio stima e protezione. Infatti, così avvenne. L’imperatore, grazie a Ricci, aumentò il proprio prestigio e Ricci potè svolgere tranquillamente la propria missione, che era quella di far conoscere Gesù e richiamare l’attenzione della gente sul suo Vangelo. Alla morte di padre Ricci, avvenuta l’11 maggio 1610, la Chiesa contava varie comunità bene strutturare in diverse città della Cina. L’imperatore, come segno della propria stima e riconoscenza, concesse il permesso che padre Matteo Ricci fosse sepolto nella capitale, in terreno dello Stato. Era la prima volta che uno straniero otteneva un simile onore”.

Da allora sono trascorsi 400 anni e tanti cambiamenti in Cina, soprattutto nell’ultimo secolo. Che cosa è rimasto di Matteo Ricci in quella nazione?

Mons. Giuliodori: Ho avuto due occasioni di andare in Cina: nel 2008, per un Convegno su Matteo Ricci, organizzato dall’Università di Macerata con l’Accademia delle Scienze sociali cinese, dipartimento delle Religioni mondiali; e poi, nel luglio 2010, accompagnando un gruppo di 200 maceratesi a visitare i luoghi dove era vissuto padre Ricci. In tutte le due le occasioni, ho potuto toccare con mano la grande stima che, non solo gli uomini di cultura, ma anche il popolo cinese hanno nei confronti di Matteo Ricci. In Cina, padre Ricci viene ancora studiato nei libri di storia delle scuole. Quindi, è conosciuto da tutti i cinesi. Egli rappresenta uno snodo fondamentale della loro storia. Il suo arrivo a Pekino, il 24 gennaio 1601, è riportato negli Annali della Dinastia degli Imperatori Ming e in particolare dell’imperatore dell’epoca, Wanli. Prima della Rivoluzione, in tutte le scuole cattoliche c’era l’immagine di Matteo Ricci.

E oggi, si vedono ancora segni che ricordano “pubblicamente” padre Ricci?

Mons. Giuliodori: Certamente. Nell’Osservatorio astronomico antico di Pechino, ci sono delle sale dedicate al racconto della storia dell’astronomia in Cina, dove sono esposti anche gli strumenti dell’epoca di Ricci, e viene messa bene in evidenza l’importanza e la centralità del missionario italiano. Si vede come erano gli studi astronomici prima di Ricci e dopo Ricci. Padre Ricci segna la svolta nelle conoscenze astronomiche cinesi al punto che sulla base di quelle nuove conoscenze, che saranno approfondite dai gesuiti venuti dopo di lui, i cinesi operarono la revisione del loro calendario. Ma ci sono segni anche recentissimi che dimostrano come i cinesi continuano a nutrire grande stima per padre Ricci. Al nuovo aeroporto di Pechino vi è una enorme macchina per lo studio dell’astronomia e sotto vi sono riportati i grandi personaggi cinesi che hanno favorito le conoscenze astronomiche: tra essi vi è Matteo Ricci. Nel monumento realizzato nel 2000 per celebrare i duemila anni di storia cinese, ci sono tutti i principali personaggi della Cina e solo due stranieri, che sono due italiani, Marco Polo e Matteo Ricci. Ma, in Cina, Ricci è molto più importante di Marco Polo. In varie città della Cina ci sono monumenti a Matteo Ricci. Davanti alla cattedrale di Pechino, per esempio, a Shangai pure, e anche di fronte all’antica facciata (è rimasto solo la facciata) della cattedrale di Macao. Noi stessi, durante il nostro viaggio, abbiamo avuto la possibilità di inaugurare un monumento a Matteo Ricci a Macao.

Ha visitato anche la tomba di Ricci?

Mons. Giuliodori: La tomba di Matteo Ricci si trova nella zona centrale di Pechino, in quello che è il luogo dove si formano i giovani e i quadri futuri dei dirigenti del Partito Comunista cinese. Quindi, nel cuore d
ella valenza culturale e politica della Cina. E’ circondata da un giardino molto bello, molto curato. E noi abbiamo avuto il privilegio di poter celebrare la Messa su quella tomba, ed era certamente la prima volta dall’inizio della rivoluzione di Mao. Al tempo della “ribellione dei Boxer”, 1901, la tomba di padre Ricci aveva subito dei danni, ma poi venne risistemata. Con la Rivoluzione cinese, molti riferimenti religiosi della storia di quel popolo vennero distrutti. Per la tomba di Matteo Ricci, attorniata dalle tombe di altri 63 gesuiti, ci fu invece sempre un grande rispetto.

Ritiene che la figura di Matteo Ricci sia utile nel favorire il dialogo tra le autorità cinesi e il Vaticano?

Mons. Giuliodori: Penso proprio di sì. E’ molto significativo quanto ci ha detto il vescovo a Pechino, salutando il nostro gruppo durante il pellegrinaggio che abbiamo fatto nel luglio scorso. Non a caso egli si è soffermato sul processo di beatificazione di Padre Matteo Ricci, sottolineando che sarebbe un evento molto importante per la Chiesa cattolica in Cina. Detto dal vescovo cinese, significa che questo riconoscimento è importante anche per le autorità politiche cinesi. A Shanghai, recentemente, è stato aperto anche il processo di beatificazione del discepolo di padre Ricci, Paolo Xu Guangqi. E’ probabile che la causa possa camminare parallela con quella di Ricci. E se arrivassero a conclusione tutte e due insieme, sarebbe un segnale straordinario per i rapporti tra Vaticano e Cina.

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ZENIT Staff

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