La grande mistica di San Francesco, all’inizio del secolo XIII, reca un grandissimo contributo anche alla questione artistica, valorizzando in maniera forte ed originale l’esperienza della visione come vera esperienza spirituale. Questa innovazione fa parte del generale rinnovamento vissuto e recato dal santo di Assisi. Infatti, nel contesto della sobrietà austera della vita monacale, san Bernardo di Chiaravalle, a metà del secolo precedente, saggiamente esponeva la propria preoccupazione che la bellezza delle immagini scolpite nelle chiese potesse distrarre i monaci dalla meditazione sulle scritture.
San Francesco, invece, scrive e predica in volgare rivolgendosi a tutti, colti ed incolti. Egli propone una meditazione che parte dalla contemplazione del Creato per giungere alla meditazione dei dolori della Croce. Proprio entro tale meditazione, avviene la grande innovazione, artistica e spirituale, della sacra rappresentazione della Natività: il Presepe di Greccio. Proprio la proposta liturgico-spirituale del Presepe pone al centro della esperienza spirituale il senso della vista, come mezzo efficace di contemplazione. Inoltre il realismo rappresentativo diventa mezzo di partecipazione affettiva del fedele ai fatti narrati dai Vangeli. La vista viene esaltata come un senso spirituale e la rappresentazione artistica come strumento di spiritualità.
La questione delle immagini viene affrontata esplicitamente dal Capitolo generale dell’ordine francescano, presieduto da Bovanentura da Bagnoregio a Narbona nel 1260; nelle Costituzioni viene affermato che le pitture e le sculture che decorano le chiese non devono possedere elementi “superflui” o “insoliti”. L’immagine non deve, dunque, sollecitare la fantasia, o servire il sentimentalismo, ma deve essere sobrio strumento di devozione, di meditazione e di formazione. A conferma di questo, assistiamo alla fioritura, all’interno delle chiese di tutto l’ordine, di opere artistiche dal linguaggio narrativo, ricco di particolari realistici: l’immagine, così come il Presepe di Greccio, deve rendere presente l’evento evangelico e, soprattutto, deve aiutare il fedele ad essere presente egli stesso ai sacri eventi.
Un riscontro evidente di questo clima artistico, si riscontra già nel dossale d’altare rappresentante San Francesco e sei episodi della sua vita di Bonaventura Berlinghieri, realizzato nel 1235 per la chiesa di San Francesco a Pescia; vediamo, infatti, che il particolare narrativo è il centro della rappresentazione pittorica, che raffigura la natura e gli animali. Questo tipo di immagini traduce in termini artistici il “realismo” narrativo della Vita prima, scritta da Tommaso da Celano, che pervade anche le successive biografie. Il senso realistico della narrazione diventa una caratteristica della spiritualità occidentale, ed è testimoniato non solo in ambito francescano e non solo nelle arti figurative: per esempio nelle Laudi del francescano fra Jacopone da Todi o ancora nelle Meditationes Vitae Christi, testo estremamente diffuso, in cui la vista di Cristo narrata dai Vangeli, è tradotta in immagini ricche di particolari; anche la Legenda Aurea, scritta alla fine del Duecento dal vescovo domenicano Jacopo da Varazze, esprime la stessa necessità narrativa e diventa, peraltro, esso stesso strumento di realismo artistico: infatti la Legenda Aurea è indubitabilmente una delle maggiori fonti iconografiche per gli artisti, fino a tutto il XVII secolo.
L’esigenza spirituale di rappresentare la realtà corporea e di narrare gli eventi storici, in modo da servire la predicazione e la meditazione, implicano lentamente un ripensamento dell’arte a favore di una maggiore capacità mimetica. In questo contesto artistico e spirituale, il fondo a foglia d’oro, tipico delle icone bizantine, finalizzato alla rappresentazione di una dimensione spirituale atemporale, viene giudicato meno adeguato alla rappresentazione dei fatti narrati nei testi sacri. Emerge anche la volontà di rappresentare in maniera visibile l’effettiva “contemporaneità” del fedele alle narrazioni evangeliche; per questo Cristo e i santi sono rappresentati come presenti in mezzo ai fedeli e, di rimando, i fedeli vivono, attraverso una dimensione spirituale “affettiva”, un maggiore coinvolgimento contemplativo.
Questa tonalità spirituale è presente anche in testi devozionali, ed è esplicitamente messa a tema in lavori teorici come per esempio il Mitrale di Sicardo, vescovo di Cremona, che, riflettendo sulla tridimensione delle sculture, conclude che queste, proprio perché ad alto rilievo, vengono percepite come presenti e familiari ai fedeli, invitandoli alle azioni virtuose, grazie alla loro naturalezza. Anche il domenicano Tommaso d’Aquino motiva l’uso delle immagini, non solo come strumento di formazione dell’incolto, ma anche per la capacità di muovere l’affetto del fedele ad una maggiore devozione. Anche nel Rationale scritto da un canonista della curia romana, Guillelme Durand vescovo di Mende, viene esplicitato che l’immagine dipinta è superiore alla scrittura perché implica il coinvolgimento della vista.
La complessità di questi elementi, nati in ambito spirituale e pastorale, vengono assorbiti dagli artisti che collaborano alla realizzazione delle nuove chiese e delle nuove cattedrali. L’esigenza di rappresentare il mondo reale con adeguata capacità mimetica si traduce in una attenzione maggiore alle luci e alle ombre, per rappresentare meglio i volumi dei corpi; questo appare, per esempio, nelle opere di Giotto e dei suoi seguaci. Soprattutto la spiritualità del Duecento implica una particolare costruzione geometrica dello spazio rappresentato, capace di rendere presente la rappresentazione, ed è da questa esigenza che nasce la prospettiva. La prova di questo evento storico si trova proprio nella Basilica superiore di Assisi, nei due affreschi che si interpongono cronologicamente tra le decorazioni più antiche e gli interventi decorativi di Giotto, ovvero gli affreschi che rappresentano Le storie di Isacco.
L’autore, noto come il Maestro di Isacco realizza infatti una mirabile rappresentazione dello spazio, dimostrando di possedere una tecnica prospettica compiuta. Poiché questo modo di concepire lo spazio si ritrova tra i contemporanei anche (e forse unicamente) nella scultura di Arnolfo di Cambio, un’ipotesi affascinante (avanzata a suo tempo da A. M. Romanini), afferma che il Maestro di Isacco sia proprio lo stesso Arnolfo, ovvero il proto-inventore della prospettiva moderna. In ogni caso, ciò che risulta patentemente è che la grande innovazione della prospettiva accade nella pittura per motivi di ordine spirituale, per rendere presenti gli eventi sacri e per rendere i fedeli contemporanei ai fatti narrati.
(Sul medesimo argomento, si rimanda a R. Papa, La prospettiva dello spirito, in “ArteDossier”, 258 (2009), pp. 68-73)
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* Rodolfo Papa è storico dell’arte, docente di storia delle teorie estetiche presso la Facoltà di Filosofia della Pontificia Università Urbaniana, Roma; presidente della Accademia Urbana delle Arti. Pittore, membro ordinario della Pontificia Insigne Accademia di Belle Arti e Lettere dei Virtuosi al Pantheon. Autore di cicli pittorici di arte sacra in diverse basiliche e cattedrali. Si interessa di questioni iconologiche relative all’arte rinascimentale e barocca, su cui ha scritto monografie e saggi; specialista di Leonardo e Caravaggio, collabora con numerose riviste; tiene dal 2000 una rubrica settimanale di storia dell’arte cristiana alla Radio Vaticana.