“Ogni persona sia animata dall’autentico spirito di pace”

Omelia dell’Ordinario militare alle esequie di Matteo Miotto

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ROMA, venerdì, 7 gennaio 2011 (ZENIT.org).- Celebrando le esequie di Matteo Miotto, il Caporal Maggiore ucciso in Afghanistan il 31 dicembre, l’Arcivescovo Vincenzo Pelvi, Ordinario militare per l’Italia, ha auspicato che “ogni persona sia animata dall’autentico spirito di pace”.

Nell’omelia della Messa funebre, celebrata nella Basilica romana di Santa Maria degli Angeli il 3 gennaio, l’Arcivescovo ha auspicato che “la carità portata da Cristo, venuto bambino sulla terra, infiammi sempre più, fino a diventare capace di togliere dalla nostra civiltà la miseria e la guerra”.  

“Per questo difficile compito non bastano le parole, occorre l’impegno concreto e costante dei responsabili delle Nazioni, ma è necessario soprattutto che ogni persona sia animata dall’autentico spirito di pace, da implorare sempre nuovamente nella preghiera e da vivere nelle relazioni quotidiane, in ogni ambiente”, ha osservato.

“Non possiamo aspettarci che una società mondiale pacifica emerga da sola dal tumulto di una spietata lotta di potere: dobbiamo lavorare, fare sacrifici e cooperare per gettare le fondamenta, su cui le generazioni future potranno costruire una comunità internazionale stabile e pacifica”.

“In un mondo sempre più interdipendente e nel quale ha sempre meno senso parlare di crisi locali, questo significa non solo fermare i conflitti il prima possibile, ma costruire e mantenere la pace, una pace giusta e duratura”.

“Questa convinzione apre i cuori a quella responsabilità di proteggere, quale principale prerogativa della comunità internazionale; una sfida che deve sempre più passare dalle parole ai fatti per difendere le popolazioni da qualunque offesa alla dignità umana”, ha aggiunto.

Monsignor Pelvi ha quindi ricordato come Gesù sia stato definito da Giovanni Battista “l’agnello di Dio”.

“L’agnello, nella Bibbia, come del resto in altre culture, è il simbolo dell’essere innocente, che non può fare del male ad alcuno, ma solo riceverlo”, ha ricordato.

“Dio è in cammino per tutte le strade e la meta è l’uomo. Viene come mite agnello, che illumina il cammino di chi soffre. Viene lungo il fiume dei giorni, negli occhi dei fratelli, negli uccisi come agnelli; viene lungo quella linea di confine tra bene e male, tra morte e vita, dove si gioca il senso del mondo. “

“Per far comprendere all’uomo quanto è prezioso ai suoi occhi, Dio Padre non risparmia il proprio Figlio, ma lo consegna nelle mani degli uomini, mentre l’uomo ancora non si fida di Dio”.

C’ una “novità assoluta”: “in tutte le religioni il sacrificio consiste nell’immolare qualche cosa per Dio, nel cristianesimo è Dio che si immola per noi; invece di chiedere sacrifici, Dio sacrifica se stesso; si fa vittima della violenza, perché la violenza non prenda più vittime”.

Matteo Miotto, ha spiegato l’Arcivescovo, come “discepolo dell’Agnello” “è stato chiamato a partecipare all’umana solidarietà nel dolore, diventando un agnello che purifica e redime, secondo l’amorosa legge di Cristo, un sacrificio offerto per il dono della pace”.

“La sua bara, avvolta dal tricolore, è come una piccola ma preziosa reliquia della redenzione che si rinnova nel tempo”. Matteo, infatti, “aveva imparato che non possiamo dare vita ad altri, senza dare la nostra vita”.

“Molti chiedono perché ci ostiniamo ad esporci in terre così pericolose – ha riconosciuto monsignor Pelvi –, ma allora non si potrebbe rimproverare anche a Gesù di avere cercato la morte affrontando deliberatamente coloro che avevano il potere di condannarlo? Perché non fuggire?”.

“Gesù non ha cercato la morte. Non ha però neppure voluto sfuggirla, perché giudicava che la fedeltà ai suoi impegni fosse più importante della paura di morire. Ha preferito andare fino all’estremo limite della logica della sua vita e della sua missione piuttosto che tradire ciò che era, ciò che diceva e ciò che aveva fatto”.

Il sacrificio è stato anche il tratto caratteristico della missione di Matteo Miotto, che “ha sempre creduto nella giustizia, nella verità e nella forza interiore della compassione, nella fiducia e nell’amore, fino a dare la vita”.

“Anche noi non possiamo rassegnarci alla forza negativa dell’egoismo e della violenza – ha concluso l’Ordinario militare –; non dobbiamo abituarci ai conflitti che provocano vittime e mettono a rischio il futuro dei popoli”.

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ZENIT Staff

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