di Carmen Elena Villa
CITTÀ DEL VATICANO, sabato, 1° gennaio 2011 (ZENIT.org).- Un’immagine di San Pietro e di Sant’Andrea Apostolo, discepoli di Cristo, a capo rispettivamente della Chiesa cattolica e di quella ortodossa, si trova all’ingresso degli uffici del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, in Via della Conciliazione, prima di arrivare a Piazza San Pietro, come simbolo di fratellanza e di dialogo tra le Chiese cristiane.
Il dicastero, che celebra quest’anno le sue nozze d’oro, persegue il dialogo e la promozione dello spirito ecumenico tra i cristiani, secondo il decreto conciliare Unitatis Redintegratio (1964). Ha anche il compito di nominare gli osservatori o “delegati fraterni” delle altre Chiese e Comunità ecclesiali, ai fini della celebrazione dei grandi eventi della Chiesa cattolica.
Sulla storia, le sfide e i frutti del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, ZENIT ha intervistato il suo Presidente, il Cardinale svizzero Kurt Koch.
Com’è nato questo dicastero?
Card. Kurt Koch: Nel 1960 il Santo Padre Beato Giovanni XXIII ha voluto che la dimensione ecumenica fosse uno dei punti principali all’esame del Concilio Vaticano II. Per questo ha creato il Segretariato per l’unità dei cristiani – così si chiamava prima – e ne ha affidato la direzione al Cardinale gesuita Augustin Bea, rettore dell’Istituto biblico e padre confessore di San Pio X. Nel 1988 Papa Giovanni Paolo II ha trasformato il Segretariato nel Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani.
Quali sono a suo avviso i principali frutti di questi 50 anni di lavoro?
Card. Kurt Koch: Penso che la dimensione ecumenica non sia più un pensiero estraneo ma costituisca una dimensione necessaria e importante della Chiesa, come ha detto Giovanni Paolo II nella sua Enciclica Ut unum sint (1995). Quando è stato eletto Papa Benedetto XVI, nel suo primo messaggio ha detto che l’ecumenismo sarebbe stato una delle principali sfide del suo pontificato. Questo è uno dei frutti principali. Poi vi sono molti frutti specifici, come il dialogo con le Chiese ortodosse, che è progredito molto, l’ecumenismo nello stesso contesto orientale e i frutti che abbiamo raccolto con i luterani e i metodisti.
Pensa che lo storico incontro di Paolo VI con il patriarca Antenagora I nel 1964 faccia parte dei frutti di questo dicastero?
Card. Kurt Koch: Sì. Si tratta del primo incontro tra il Papa, Vescovo di Roma, e il Patriarca ecumenico. Dopo questo incontro si è instaurata la bella consuetudine di visite reciproche di una delegazione che da Costantinopoli viene per partecipare alla festa del 29 giugno dei Santi Pietro e Paolo e di una delegazione della Santa Sede che ogni 30 novembre si reca a Costantinopoli per la festa di Sant’Andrea Apostolo, patrono degli ortodossi. Pietro e Andrea sono fratelli. Le Chiese di Roma e di Costantinopoli sono Chiese sorelle.
Ritiene che la recente beatificazione del Cardinale Newman sia da considerare uno dei frutti di questo dicastero?
Card Kurt Koch: Sì, perché Newman è molto conosciuto e molto venerato tra i cattolici e tra i anglicani. Questa festa di beatificazione che si è svolta a Birmingham è stata un evento ecumenico.
Anche la costituzione apostolica Anglicanorum coetibus?
Card. Kurt Koch: Nella Santa Sede facciamo una distinzione: questo dicastero è risposabile per il dialogo, mentre la Anglicanorum coetibus, che riguarda i credenti, sacerdoti e Vescovi anglicani che vogliono ritornare alla Chiesa cattolica, ricade sotto la responsabilità della Congregazione per la Dottrina della Fede. Le conversioni sono sempre avvenute nella Chiesa. La novità, questa volta, è che si tratta di gruppi di credenti, preti e Vescovi. Tutte le persone che vogliono entrare nella Chiesa sono ben accette dal Santo Padre. Per noi, questo non rappresenta un ostacolo al dialogo ecumenico, che invece segue il suo corso.
Quali sono i principali ostacoli, secondo lei, nel dialogo con le Chiese ortodosse, con le antiche Chiese orientali e con quelle nate dopo la Riforma protestante?
Card. Kurt Koch: Anche se abbiamo un grande fondamento di fede comune, abbiamo una cultura che si differenzia rispetto a quella delle Chiese e Comunità orientali. Ad esempio, per il dialogo ecumenico con la Chiesa c’è la questione del primato del Vescovo di Roma. Con le Chiese nate dopo la Riforma, invece, ci sono più punti culturali che ci uniscono, ma c’è tutta l’ecclesiologia che rimane da discutere.
Si è appena chiuso il Sinodo per il Medio Oriente e molte Chiese antiche hanno raggiunto la piena comunione con la Chiesa cattolica. Com’è stata l’esperienza di comunione con le Chiese sui iuris nonostante le differenze culturali tra i diversi riti?
Card. Kurt Koch: Queste Chiese sono una grande ricchezza per la nostra Chiesa. Sono Chiese fedeli al Santo Padre e al suo magistero, che possono rappresentare un ponte ecumenico, come si legge nel decreto Orientalium Ecclesiarum, sulle Chiese cattoliche orientali, del Concilio Vaticano II.
Penso che questo Sinodo abbia avuto due frutti centrali: che tutte le Chiese del Medio Oriente si siano riunite in un’assemblea per due settimane e abbiano potuto sperimentare la comunità tra loro. Credo che sia stata una grande iniziativa e una bella esperienza.
Si è parlato della difficile situazione di queste Chiese in Medio Oriente, e ancor più oggi a livello della Chiesa universale, e di come i cattolici cattolici e i cristiani di tutte le Chiese locali sentono l’esigenza di aiutare queste Chiese e di sostenerle, vivendo in grande solidarietà con i cristiani in Medio Oriente.
Crede che un secolo fa sarebbe stato possibile creare un dicastero come questo, con lo scopo di creare uno spazio per il dialogo ecumenico? O crede che sia piuttosto frutto dei tempi moderni?
Card. Kurt Koch: Nella prima Enciclica di Paolo VI Ecclesiam Suam, concernente il mandato della Chiesa nel mondo contemporaneo, il Pontefice parlava del principio del dialogo. Ogni Pontefice risponde al suo tempo e alle sue sfide. La Chiesa è aperta anche a una nuova evangelizzazione voluta da Papa Benedetto XVI che va nella stessa direzione di apertura e di approfondimento della missione della Chiesa nei Paesi secolarizzati, che hanno una grande tradizione cristiana ma la stanno dimenticando. È necessaria una nuova evangelizzazione.