Avvento: “Levati” Maria, “corri, apri!”

I Domenica di Avvento, 28 novembre 2010

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di padre Angelo del Favero*

ROMA, venerdì, 26 novembre 2010 (ZENIT.org).- “In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: “Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finchè venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo. Allora due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l’altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l’altra lasciata. Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo (Mt 24,37-44).

Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo” (Mt 24,44): non incutono timore queste parole del Vangelo (e quelle che precedono) se le ascoltiamo riferite alla vergine Maria nel giorno in cui le fu annunziato che il “Verbo della vita” (1 Gv 1,1) si sarebbe fatto carne in Lei, non senza il suo assenso al disegno del Padre.

Questa fu davvero un’ora inimmaginabile per la fanciulla di Nazaret, immensamente sorpresa dall’annunzio più inconcepibile che mente umana potesse pensare: il Figlio di Dio sarebbe stato concepito nel suo grembo verginale per opera della Spirito Santo.

Tale stupefacente iniziativa divina, a quanto sembra, trovò Maria del tutto impreparata: “Come avverrà questo? Non conosco uomo” (Lc 1,34); impreparata, ma pronta.

Sì, perché si può essere pronti anche se impreparati, a ben considerare il duplice modo possibile della vigilanza. Anzitutto la nostra vigilanza può dirsi prossima: quella di chi attende un avvenimento conosciuto (se non quanto al contenuto, almeno come fatto ignoto ed importante che si avvicina); in secondo luogo essa può essere remota, cioè profonda, radicata nella vita: come quella naturale di una mamma nei confronti del suo bambino, vigilanza che il suo amore materno alimenta e tiene desta giorno e notte.

Se in Maria mancò la vigilanza prossima, poiché le era impossibile prevedere il contenuto dell’annunzio celeste, certo non mancò quella remota. Non mancò e da sola fu più che sufficiente, dal momento che la “piena di grazia” attimo dopo attimo si ritrovava perfettamente disposta e pronta ad obbedire alla volontà di Dio, in forza e grazia della purezza del suo cuore verginale abitato solo dal desiderio di amare il Signore “con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze” (Dt 6,5).

Tale meravigliosa vigilanza è così cantata da un innamorato della Madonna: “Tutto il mondo è in attesa, prostrato alle tue ginocchia: dalla tua bocca dipende la consolazione dei miseri, la redenzione dei prigionieri, la liberazione dei condannati, la salvezza di tutti i figli di Adamo, di tutto il genere umano (…)Non sia che mentre tu sei titubante, egli passi oltre e tu debba, dolente, ricominciare a cercare colui che ami. Levati su, corri, apri! Levati con la fede, corri con la devozione, apri con il tuo assenso. “Eccomi”, dice, “sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto” (Lc 1,38)” (San Bernardo, “Omelie sulla Madonna”, breviario del Tempo di Avvento).

La triplice esortazione del santo (“levati, corri, apri!”) è una pura contemplazione dell’intima disposizione del cuore di Maria che ci aiuta a comprendere il dinamismo della sua vigilanza silenziosa e nascosta, perfettamente pronta ad accogliere in sé la venuta del Cristo non per una preparazione razionale, ma per l’attitudine profonda del suo essere, della sua persona, del suo cuore.

Al riguardo vi sono due osservazioni da fare.

La prima inerisce all’indole femminile di Maria. La sua vigilanza pronta è anzitutto naturale, essenziale, perché scaturisce dalla sua natura femminile materna. E’ per questo istinto proprio della donna che, quando una mamma nella notte è svegliata dal pianto del suo bambino, subito si alza (levati), si affretta alla culla (corri) e se lo prende tra le braccia per calmarlo (il gesto concreto: apri!). Tutto ciò, in genere, è molto più faticoso per il papà, specie se si deve ripetere varie volte nella notte.

E’ su questo terreno favorevole che si innesta poi la fede di Maria, amplificando al soprannaturale la vigilanza della sua natura così da acconsentire la libera e pronta adesione all’invito dell’Angelo, senza titubanza alcuna. Vediamo infatti che nel dialogo con Gabriele, Maria si leva con la fede: “Eccomi”; corre con la devozione: “sono la serva del Signore”; apre il suo grembo con l’assenso: “avvenga di me quello che hai detto” (Lc 1,38).

La sua domanda “Come avverrà questo?” (Lc 1,34) non esprime un dubbio circa la possibilità di ciò che le viene detto, ma chiede responsabilmente una nuova luce per la ragione. Una volta ottenuta (“Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo”) (Lc 1,35), ella dichiara subito quella disponibilità che già era totalmente presente nel suo cuore. Un po’ come un malato che, prontissimo a farsi operare dal chirurgo, chiede in anticipo a che tipo di intervento sarà sottoposto.

Ci aiuta a comprenderne bene questa vigilanza cooperante di Maria il beato J. H. Newman: “..la Vergine merita il suo posto nel piano della salvezza poiché corrispose attivamente e personalmente alla grazia di Dio. Nel momento del suo concepimento ella era passiva nelle mani creatrici di Dio, ma nel momento dell’Annunciazione, quando divenne la Madre di Dio e della misericordia divina, non fu semplicemente uno strumento fisico passivo, ma causa vivente, responsabile e intelligente del fatto che Dio prendesse carne umana dentro di lei. Se non avesse fatto volontariamente atto di obbedienza e di fede non sarebbe diventata la Madre di Dio” (in “MARIA. Pagine scelte”, p. 60).

Alla Madonna l’Angelo non chiede l’assenso, ma attende quella risposta personale che il mondo intero sollecita “prostrato alla sue ginocchia” (S. Bernardo). Maria è così invitata ad esprimere il “sì” del proprio grembo al concepimento della “Vita invisibile” (1Gv 1,2), un sì che è assenso “in luogo e al posto della natura umana” (San Tommaso, S. Theol. III, q. 30, a. I) alla venuta del Salvatore.

Venendo al Vangelo, vediamo che Gesù accosta oggi il Tempo dell’Avvento al tempo di Noè: “Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito..e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo” (Mt 24,38-39).

Il messaggio per noi è reso ancor più chiaro dall’immagine di Maria incinta, inseparabile dall’Avvento. Come il ventre di una donna all’ottavo mese di gravidanza è segno inequivocabile della presenza del bambino dentro di lei, così l’Avvento è il “sacramento” della presenza viva ed efficace di Dio nel nostro mondo, e della sua venuta continua nella storia, entrambe le cose per mezzo della liturgia e della sua Chiesa.

Quelli che ignorano tale presenza e tale venuta del Signore sono da compiangere più di tutti gli uomini, poiché, non sapendo nemmeno di avere bisogno di un Salvatore, sono
nella condizione di coloro che perirono nel diluvio: un racconto, per altro, che non deve far venire in mente la “Protezione Civile”. Infatti: “Per la Sacra Scrittura quell’evento acquista i contorni di un atto di un giudizio divino morale sul peccato umano: il Dio biblico non è indifferente di fronte alla corruzione e all’immoralità. Il diluvio è perciò, secondo questa interpretazione, uno strumento di giudizio secondo la classica teoria della retribuzione per cui ad ogni delitto deve già ora corrispondere un castigo” (G. Ravasi, “150 Risposte. Questioni di fede”, p. 143-144).

Oggi il peccato più di ogni altro abominevole ed emblematico dell’attuale cultura della morte è l’uccisione della vita umana nel grembo. Ogni aborto infatti, anche quando la vita è spuntata da un giorno, è una sorta di distruzione di tutta la storia sacra che Dio ha fatto con l’umanità nel suo Figlio, concepito e nato da Maria, poiché: “lo avete fatto a me” (Mt 25,40).

Ma l’ultima parola non è quella del giudizio e della morte. Nell’uomo giusto Noè, e nella sua discendenza, si manifesta l’amore del Creatore che fa pace con l’umanità. Sorge così l’aurora di un nuovo mondo e di una nuova storia, ed è per questo che la tradizione cristiana ha riletto l’epopea del diluvio in chiave battesimale, come anticipazione simbolica delle acque che cancellano l’uomo vecchio e fanno rinascere l’uomo nuovo che vive nella giustizia e nella santità”(G. Ravasi, id.).

L’Avvento rivela che quest’aurora del mondo nuovo è la Madre di Gesù, Madre di tutti i viventi, di tutti gli uomini concepiti nel grembo e fuori del grembo. A Lei rivolgiamo la supplica della nostra speranza cristiana: “Santa Maria, Madre di Dio, Madre nostra, insegnaci a credere, sperare e amare con te; indicaci la via verso il Salvatore e guidaci nel nostro cammino!”(Enciclica “Spe Salvi”, n. 50, modificato).

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* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E’ diventato carmelitano nel 1987. E’ stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.

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ZENIT Staff

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