200 milioni di cristiani perseguitati nel mondo

Presentato il Rapporto sulla Libertà Religiosa di ACS

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MADRID, mercoledì, 24 novembre 2010 (ZENIT.org).- Il Rapporto sulla Libertà Religiosa nel Mondo 2010, presentato ogni due anni dall’organizzazione cattolica internazionale Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS), rivela che il numero dei cristiani perseguitati nel mondo è di 200 milioni, e quello dei discriminati per la loro religione di 150 milioni.

Il Rapporto di ACS indica che in Europa i cattolici non sono perseguitati, pur essendo oggetto di scherno.

Dal Rapporto precedente la situazione non è migliorata, sostiene questa associazione che presta aiuto ai cristiani di tutto il mondo.

Per ACS, la tendenza crescente alla persecuzione e alla discriminazione per la religione che si professa è dovuta sia alla radicalizzazione del mondo islamico che alla “cristianofobia”, e alla facilità con cui si ridicolizza la Chiesa in alcuni Paesi del mondo sviluppato.

Nella presentazione del Rapporto in Spagna, questo martedì a Madrid, Javier Menéndez Ros, direttore di ACS in Spagna, e il missionario salesiano in Pakistan Miguel Ángel Ruiz hanno citato le parole di Benedetto XVI alla vigilia della beatificazione del Cardinale John Henry Newman: “Nella nostra epoca, il prezzo da pagare per la fedeltà al Vangelo non è tanto quello di essere impiccati, affogati e squartati, ma spesso implica l’essere additati come irrilevanti, ridicolizzati o fatti segno di parodia”.

La fede cristiana è la più diffusa e anche la più perseguitata. Secondo quanto ha spiegato Menéndez, il numero totale è simile a quello del Rapporto di due anni fa, anche se i ricercatori e gli esperti che hanno partecipato a quello di quest’anno hanno assicurato che la situazione per i cristiani è peggiorata.

Il Rapporto analizza 194 Paesi, con problemi in circa 90, tra cui vari dei più popolati al mondo: Cina, India, Indonesia, Russia e Pakistan. Il peggioramento della situazione, ha sottolineato Menéndez, è dovuto soprattutto a una maggiore radicalizzazione nell’ambito musulmano, con più fanatismo, intolleranza e vessazioni.

I Paesi in cui si verificano le maggiori violazioni alla libertà religiosa sono Arabia Saudita, Bangladesh, Egitto, India, Cina, Uzbekistan, Eritrea, Nigeria, Vietnam, Yemen e Corea del Nord.

Menéndez ha osservato che “dove non esiste la libertà religiosa non esiste la libertà democratica”, e ha rimarcato “il dovere di qualsiasi essere umano di rispettare il diritto al culto, evangelizzare e vivere in base alla propria fede”.

In Egitto vige una legge di libertà religiosa, ma i cristiani subiscono discriminazioni e attacchi, permessi, secondo ACS, dal Governo di Hosni Mubarak.

Il missionario salesiano Miguel Ángel Ruiz ha descritto dal canto suo la situazione in Pakistan, affermando che il terrorismo islamico non colpisce solo i cristiani, ma “tutti coloro che non la pensano come i fondamentalisti”.

“Se il terrorismo si concentrasse solo sui cristiani, staremmo molto peggio di ora”, ha affermato.

In base alla sua esperienza nel trattare con i musulmani, il missionario ha sottolineato che “bisogna porre limiti molto chiari ogni volta che si lavora con l’islam”.

Ha anche richiamato l’attenzione sulla disobbedienza civile pacifica. Quando lo Stato pakistano ha cercato di approvare leggi ingiuste o discriminatorie, come quella che pretendeva di includere nella carta d’identità la religione, i cristiani sono scesi in strada per bloccarla, e ci sono riusciti. “Siamo pochi, ma sappiamo far rumore”, ha affermato.
 
Padre Ruiz ha indicato che se la persecuzione non è maggiore si deve al fatto che i mezzi di comunicazione prestano molta attenzione agli attacchi ai cristiani.

A suo avviso, sia gli Stati Uniti che l’Europa hanno sbagliato molto, e ha raccomandato “che gli europei diano il seguente messaggio agli immigrati di altre religioni e culture: ‘Siete i benvenuti qui, ma rispettateci’”.

Il missionario, che dirige un centro di formazione professionale per giovani a Lahore, ha riconosciuto di aver scoperto “una fede profonda” tra i cristiani pakistani, visto che “alla fine della giornata ci si domanda perché questa gente non diventi musulmana per evitare una vita di pressioni e discriminazione”.

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ZENIT Staff

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