Joaquín Navarro-Valls: “Oggi la fede non può giocare sulla difensiva”

Termina a Madrid il Congresso Cattolici e Vita Pubblica

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MADRID, martedì, 23 novembre 2010 (ZENIT.org).- “Dopo decenni, secoli in cui i cristiani hanno lottato contro la ‘decristianizzazione’, e nel contesto di neopaganesimo attuale, la fede non può giocare sulla difensiva”. Lo ha affermato Joaquín Navarro-Valls, ex portavoce della Santa Sede, durante l’intervento di chiusura del XII Congresso annuale “Cattolici e Vita Pubblica”, questa domenica a Madrid, a cui hanno partecipato circa 1.300 persone. 

Il Congresso, organizzato dalla Fondazione San Pablo-CEU (Associazione Cattolica di Propagandisti – ACdP), riunisce ogni anno importanti rappresentanti del mondo cattolico europeo per dibattere su questioni collegate alla presenza sociale del cristianesimo.

Incentrato sul tema “Radicati in Cristo: Saldi nella Fede e nella Missione”, il Congresso di quest’anno ha riflettuto soprattutto sulla questione della laicità in Europa, e sulla necessità di una nuova evangelizzazione del tessuto sociale europeo.

Questo tema è stato affrontato da Joaquín Navarro-Valls nella conferenza di chiusura, in cui ha invocato un ampio “cambiamento di prospettiva” dei cristiani “di fronte alle sfide del nostro tempo”.

Il cristianesimo, ha spiegato, “non deve essere più visto come una tradizione da salvaguardare, ma come la prospettiva di una vita futura che occorre ricreare”. Ciò vuol dire che la domanda che oggi deve interpellare i credenti non è “se il cristianesimo saprà sopravvivere, ma se saprà espandersi di nuovo”.

Nel contesto attuale dominato dal relativismo, che Navarro-Valls ha definito come la “tendenza a costruire la propria certezza al margine della verità”, la forza principale del cristiano deve essere “l’irradiamento attraverso il suo pensiero e il suo agire del suo incontro personale con Cristo”.

“Quando il cristiano si comporta come cristiano, convince sempre”, ha affermato.

“La religione – ha aggiunto – è un valore assoluto, universale e umano”. In quanto tale, “la politica deve occuparsi di lei da un punto di vista non culturale, ma antropologico”, considerando la religione “un diritto comune indispensabile per il bene di tutti”.

Lo ha affermato anche, in apertura del Congresso, il Nunzio in Spagna, monsignor Renzo Frattini, sostenendo che i cristiani “non cercano l’egemonia politica e culturale”, ma tutto ciò che li muove è “la convinzione che Cristo è la pietra angolare di ogni costruzione umana”.

Dal canto suo, il presidente della ACdP e del CEU, Alfredo Dagnino, ha commentato che la laicità “non può essere ostile nei confronti della religione”, ma deve partire dal “riconoscimento del valore positivo del cristianesimo per il bene comune”.

Anche il presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione, il sacerdote spagnolo Julián Carrón, ha insistito sulla necessità, da parte degli stessi cristiani, di “superare il riduzionismo di contrarre la portata del cristianesimo a un’etica o a una dottrina”.

“La testimonianza dei cristiani che rendono presente Cristo fa della fede qualcosa di ‘contemporaneo’ e questa è la grande situazione favorevole del cristianesimo ai giorni nostri – ha affermato –. In questo momento, in cui avanza il deterioramento dell’uomo, la Chiesa ha l’opportunità di mostrare la potenza di vita che scorre nelle sue vene”.

Laicità positiva

Il tema della laicità è stato anche oggetto di una tavola rotonda alla quale sono intervenuti il redattore capo aggiunto del quotidiano francese “Le Figaro”, Jean Sevillia, il membro della Camera dei Deputati della Repubblica Italiani e presidente del gruppo EPP/CD al Consiglio d’Europa, Luca Volontè, e la docente di Diritto Ecclesiastico dello Stato dell’Università di Saragozza, Zoila Combalía Solís.

Luca Volontè ha sottolineato la necessità della regolamentazione del nuovo fenomeno del pluralismo religioso, ma senza imposizioni ideologiche.

Zoila Combalía Solís ha invece spiegato la differenza tra il laicismo militante e la neutralità dei poteri pubblici nei confronti delle varie religioni.

Il primo si basa sul modello laicista novecentesco francese, che mira ad espellere le religioni dal dibattito sociale per relegarle all’ambito privato, anche se questa proposta ha il pericolo di impedire lo sviluppo della libertà personale.

Il secondo, che è stato il modello lodato dallo stesso Papa Benedetto XVI durante la sua visita pastorale negli Stati Uniti nel 2008, parte invece dall’esempio della Costituzione Americana, in cui la separazione della religione e dello Stato si realizza per ottenere una convivenza pacifica e la libertà di culto.

La docente ha anche avvertito sul rischio che, “di fronte alla mancanza di consenso in temi sociali così sensibili come il diritto alla vita e alla dignità personale, la libertà religiosa, l’educazione dei figli da parte dei genitori in base alle proprie convinzioni, si possa verificare la situazione per cui lo Stato forzi qualcuno ad agire contro le proprie convinzioni”.

Jean Sevillia ha osservato dal canto suo che “se l’Europa non vuole riconoscere le proprie radici cristiane si suiciderà”, perché l’oblio delle radici cristiane è strettamente collegato all’“individualismo”, e a un concetto deviato di libertà.

In questo ambito, suscita un disorientamento particolare “la confusione della libertà religiosa con la libertà di coscienza”, ha dichiarato il giornalista francese.

Questa idea di laicità positiva è stata illustrata anche in un intervento di Sergio Belardinelli, docente di Sociologia all’Università di Bologna, per il quale è necessario “uno Stato laico che sia capace di organizzare la convivenza pacifica tra le varie confessioni”.

Belardinelli ha anche chiesto una “versione di laicità diversa da quella dominante”. A questo proposito, ha lodato il modello americano di laicità, che si basa sulla collaborazione tra l’aspetto politico e quello religioso, al posto della “reciproca delegittimazione” che caratterizza l’atteggiamento europeo.

Su questa linea, Belardinelli ha commentato che per i cattolici “è giunta l’ora di pensare al fatto che bisogna partecipare alla generazione del consenso. Bisogna entrare laddove si produce consenso”.

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ZENIT Staff

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