Le superiore maggiori d'Italia in prima linea contro la tratta di esseri umani

di Chiara Santomiero

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ROMA, domenica, 21 novembre 2010 (ZENIT.org).- “Arrivata a Rimini, c’era un uomo italiano ad attendermi. Prima mi ha portato in un appartamento, poi in un locale notturno. Qui mi è stato detto cosa dovevo fare. E non era la cameriera” (Irina, russa).

“Quando mio marito mi ha abbandonato non avevo soldi e mio figlio stava male. Immaginavo quale lavoro mi aspettava in Italia, ma non avevo scelta” (Bea, moldova). “Lui mi picchiava e mi strappava le unghie per costringermi a prostituirmi, ma io non volevo” (Eriona, albanese).

Storie di donne trafficate e vendute sulle strade italiane: sono quelle a cui ha dato voce il libro “Schiave. Donne” (edizioni S. Paolo), di Anna Pozzi e suor Eugenia Bonetti, presentato questo venerdì a Roma, presso la sede dell’Unione delle superiore maggiori d’Italia (Usmi), nel corso della celebrazione per i dieci anni di servizio dell’Ufficio “Tratta donne e minori”.

“E non sono nemmeno, purtroppo, le testimonianze più cruente – ha affermato Anna Pozzi, giornalista di “Mondo e Missione” -. Il libro vuole essere un modo per ridare dignità a persone usate e gettate via come merci, prostituite più che prostitute, vittime di un traffico vergognoso di esseri umani che trova in Italia, secondo stime prudenziali, un mercato di circa 10 milioni di richieste di sesso a pagamento al mese”.

Schiave, sì, ma sempre donne “con storie molto dolorose e tuttavia capaci di riprendere in mano la loro vita e ritrovare un futuro”, grazie anche all’aiuto dell’Ufficio “Tratta donne e minori” dell’Usmi, creato in occasione del Grande Giubileo del 2000, che coordina il servizio di 250 suore appartenenti a 75 congregazioni, impegnate in Italia in 110 progetti, spesso in collaborazione con la Caritas o altri enti pubblici o privati, insieme a volontari e associazioni.

“Intorno agli anni ’90 – ha raccontato suor Viviana Ballarin, presidente nazionale Usmi –, le religiose furono tra le prime ad accorgersi di un fenomeno, quello della tratta, che andava crescendo all’interno di quello più generale delle migrazioni”.

Dopo le prime risposte spontanee “nacque l’esigenza di un coordinamento per dare delle risposte più efficaci, e così venne costituito l’ufficio che ha creato una rete tra le congregazioni non solo in Italia, ma anche con i Paesi di provenienza e transito delle donne, come l’Africa o l’Europa dell’est”.

Uno scambio di esperienze molto proficuo, che ha permesso di capire meglio le altre culture con le quali si veniva in contatto: “Quando le suore nigeriane sono venute in Italia per aiutarci ad avvicinare le loro connazionali finite a prostituirsi in strada, ci hanno detto di non fare troppi discorsi, ma – può sembrare strano dato il contesto – di incontrarle con il Vangelo in mano o pregando il rosario, perché le donne di quel Paese hanno una profonda religiosità ed è questa la chiave per far superare loro la diffidenza”.

Numerose congregazioni religiose femminili hanno aperto le loro case per dare ospitalità e creare luoghi di accoglienza per le donne vittime della tratta: “in quanto donne c’è una sensibilità particolare verso altre donne così calpestate nella loro intimità e dimensione psicologica: vogliamo offrire una presenza d’amore oltre le semplici parole”.

Anche l’Usmi ha ricevuto un “vantaggio” da questo percorso, che “ci permette di scoprire – ha affermato suor Ballarin – la dimensione umana della nostra vocazione religiosa, superando un approccio troppo ‘spiritualista’”.

Di più: “mentre ci si chiede quale sarà il futuro della vita religiosa a fronte del decrescere delle vocazioni e dell’aumento dell’età delle religiose, molte congregazioni hanno ritrovato nuove energie riscoprendo lo spirito che ha animato fondatori e fondatrici per stare accanto, in modo rinnovato, alle donne e agli uomini del nostro tempo”.

Motore instancabile di questa opera di coordinamento è la responsabile dell’Ufficio “Tratta donne e minori”: suor Eugenia Bonetti, missionaria della Consolata e, anche, Commendatore della Repubblica, nominata nel 2004 dal Presidente Ciampi proprio per il suo impegno in questo campo.

Missionaria per 24 anni in Kenya, al suo ritorno ha iniziato a lavorare in un Centro d’ascolto della Caritas di Torino. “E’ cominciato tutto da lì – ha raccontato –, alla sera di un 2 novembre quando una donna nigeriana che si capiva essere una prostituta venne a chiedere aiuto per un problema medico. Non avevo idea di cosa fare, avevo fretta di andare alla Messa per i defunti e lei volle accompagnarmi. Lungo corso Vittorio, la vista di una suora della Consolata sotto l’ombrello insieme a una prostituta nigeriana fece girare parecchie persone…”.

Da quell’incontro e da quella prima richiesta d’aiuto si è sviluppato un impegno attraverso unità di strada, centri di ascolto, comunità di prima e seconda accoglienza, preparazione professionale, proposta pastorale e una rete di relazioni che ha compiuto dieci anni in questi giorni. Senza risparmiare la sollecitazione alle istituzioni, italiane ed europee. “E’ a buon punto – ha spiegato Silvia Costa, parlamentare europea – una proposta di direttiva con un approccio globale al problema della tratta di esseri umani che ha più di un elemento di novità”.

Si definisce il reato di traffico in modo più ampio “utilizzando il concetto di vulnerabilità della persona che non ha accettabili alternative o crede in buona fede a quanto promesso”, si introduce “un minimo comune per tutti i Paesi dell’Unione relativamente alla pena”, si dichiarano “non perseguibili le vittime della tratta per alcuni reati commessi nel periodo in cui erano ridotti in una vera e propria schiavitù”, si destinano “i profitti del traffico confiscati per sostenere o proteggere le vittime e prevedere il risarcimento per l’abuso subito”, è previsto “il coinvolgimento delle ONG e delle organizzazioni che lavorano sul campo per contrastare questi fenomeni”.

Verrà esteso anche alle vittime della tratta “un nuovo strumento giuridico, l’ordine di protezione europeo, che permette di ampliare la protezione per chi ha ricevuto un provvedimento del genere nel proprio Paese – per esempio le vittime di stalking – in tutti i Paesi dell’Unione”.

“L’impegno di tutte noi – ha concluso suor Bonetti – è di formare una catena per dire a queste donne che non sono sole e che è possibile spezzare la loro catena, quella che le tiene in schiavitù. Mettiamo insieme le nostre povertà affinché diventino ricchezza: questa è la matematica del Signore”.

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ZENIT Staff

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