BARCELLONA, venerdì, 19 novembre 2010 (ZENIT.org).- Gruppi di accompagnamento nel lutto che agiscono soprattutto dopo la morte con le famiglie dei defunti si stanno formando in varie Diocesi spagnole.
“Questi gruppi sono una risorsa che la Chiesa offre per aiutare a lenire le ferite e a trovare consolazione e comprensione dopo la morte, quando la famiglia è abbattuta, desolata e soprattutto disorientata”, ha detto a ZENIT il coordinatore della pastorale sanitaria delle Diocesi della Catalogna, Alfons Gea.
“Molte volte il problema è che nessuno capisce, dopo qualche giorno la gente si stanca di ascoltare”, ha spiegato. In Catalogna, questo servizio viene offerto attualmente a Lérida, Sabadell, Barcellona e Terrassa.
“In contatto con l’agenzia funebre, un équipe di volontari chiama le famiglie che hanno avuto un lutto per porgere le condoglianze e chiedere come stanno”, ha indicato Gea.
Spesso la famiglia non vuole una presenza fisica, “ma gradisce un accompagnamento telefonico, e lo stesso volontario si incarica di chiamare ogni venti giorni”.
Quando il caso è più difficile, si offre un aiuto più concreto: il gruppo di lutto, in cui “un esperto aiuta le persone ad accettare la morte e a rifarsi una vita senza la persona che è venuta a mancare”.
Altre risposte che la Chiesa offre abitualmente di fronte alla morte sono la celebrazione dei sacramenti, le esequie e la visita e la consolazione della famiglia del defunto da parte di persone dei gruppi di pastorale sanitaria che visitavano il malato prima che morisse.
Alcune Diocesi dispongono anche di opuscoli per aiutare a comprendere la morte e a pregare, con brani del Vangelo, preghiere, testi sul dolore e la vita…
A volte, inoltre, volontari cattolici partecipano a servizi di accompagnamento non strettamente della Chiesa, come nel caso del sacerdote Alfons Gea, incaricato dell’assistenza al lutto del Municipio di Terrassa.
La morte con o senza fede
Alla luce della sua esperienza in questo ambito, Gea constata che la grande differenza tra un cattolico e una persona non credente al momento di affrontare la morte è la speranza.
“Non è lo stesso guardare all’infinito con incertezza e farlo con speranza – ha osservato –. Il cammino è diverso, anche se l’assenza e il dolore non vengono risparmiati a nessuno”.
“Per un cristiano dalla fede salda, l’aldilà non è una possibilità, ma una realtà”, ha continuato. “La consolazione è allora maggiore”.
“Dobbiamo convivere con un’assenza, ma con una speranza certa. Senza fede, con un’assenza e con incertezza”.
Il sacerdote, che è anche psicologo ed è specializzato nell’accompagnamento nel lutto, sottolinea l’esistenza di una parte comune a tutti: il vuoto e l’assenza.
“Sia che si abbia fede che se non la si ha, in qualche modo dobbiamo rifarci una vita senza quella persona e imparare a vivere di nuovo, in modo diverso perché quella persona faceva parte della nostra storia; l’apprendimento è comune a tutti”.
“Attualmente, inoltre, c’è una specie di nebulosa spirituale – ha concluso –. Ci sono persone di altre religioni che credono nei loro paradisi e gente che pur non credendo ha un senso di trascendenza e situa il defunto in un luogo indefinito, il che ci parla della necessità di credere”.