Il presule è intervenuto questo martedì a Braga all’apertura dei lavori del Consiglio Presbiterale Arcidiocesano.
“Non è la pretesa di trovare alternative pastorali che mirino solo a sostituire i modelli o a passare a nuovi – ha avvertito –. La crisi ci costringe ad andare al cuore delle questioni e a riconoscere che in un mondo in costante trasformazione non bastano meri adattamenti”.
Per monsignor Ortiga, “emerge l’interpretazione della crisi attuale come ripresa di un discepolato sulla via di Emmaus, pronto ad ascoltare e a vivere la sorprendente novità della Parola di Dio”.
L’Arcivescovo avverte che nei momenti di mutamento “siamo tentati a cedere a una certa nostalgia, che inibisce la forza e la gioia di avviare un nuovo dinamismo pastorale. E’ necessario dare spazio e opportunità all’inedito”.
Che cosa manca per realizzare quotidianamente una nuova primavera nella Chiesa?, si è chiesto. “Benedetto XVI, citando Giovanni Paolo II (…), considera che la Chiesa ha bisogno soprattutto di grandi correnti, movimenti e testimonianze di santità tra i fedeli”.
“Perché questa primavera avvenga, è indispensabile restare consapevoli del fatto che siamo i primi destinatari del Vangelo, il che esige da noi fedeltà e sequela”, ha affermato.
Secondo il presidente della CEP, nell’accettazione di questa visione “sorge necessariamente un appello alla conversione del nostro modo di stare nella Chiesa”.
“Emergono alcune domande: su cosa è centrata la nostra pastorale? Che cosa ci muove? Che cosa vuol dire essere discepolo di Cristo oggi? (…) Agiamo come discepoli o come mercenari della religione e della carità?”.
Pur riconoscendo che “sono molti gli esempi positivi di sacerdoti e laici che seguono Cristo radicalmente e che conducono una vita coerente con ciò in cui credono”, monsignor Ortiga avverte che “altri restano ai margini del Vangelo e della comunione ecclesiale”.
“Ci accompagna una certezza – ha concluso –: non basta adattare modelli; bisogna che ciascuno si senta parte coinvolta in questo cambiamento”.