ROMA, venerdì, 19 novembre 2010 (ZENIT.org).- Quando mi metto a riflettere sulla decisione di Papa Benedetto XVI di concedere il cardinalato al Maestro Domenico Bartolucci, cerco di capire quale sia il senso vero di questo onore concesso al Maestro. Molti potranno pensare che mi interessi a questo in quanto musicista positivamente sorpreso dall’onore capitato ad un illustre appartenente alla nostra categoria. Ebbene, le cose non sono così semplici. Infatti per me il Maestro è molto di più, in quanto sono stato suo allievo e per tanti, tantissimi anni ne ho seguito la carriera per quello che potevo e ho cercato di imparare da lui il mestiere di musicista di chiesa. Quando dico il “mestiere di musicista di chiesa”, sono sicuro di farlo felice. In effetti non si può ridurre tutto ad apprendimento teorico, la musica si impara facendola. In una conversazione che ebbi con lui alcuni mesi fa sotto forma di intervista per un libro che spero presto di pubblicare, gli domandai se nel suo studio giovanile si fosse formato sui trattati musicali che ancora oggi si usano. Lui mi disse che il suo amato Maestro Bagnoli, non li usava: “mi dava i Bassi e li dovevo fare, mi dava i contrappunti. Io non ho mai avuto trattati. E la musica si impara così!”. Già, la musica si impara così. Ogni allievo del Maestro avrà sentito ripetere queste parole cento volte.
Il Maestro proviene da una famiglia di gente semplice. Il papà faceva l’operaio e la mamma la casalinga. Il Maestro mi diceva come i suoi genitori amassero cantare, come tutti nel suo paese – Borgo san Lorenzo, in Toscana – amassero cantare. Il Maestro nasce in un’altra Italia, l’Italia che si avvicinava alla fine della Prima Guerra Mondiale. Nel 1917, anno di nascita del Maestro, abbiamo un evento ecclesiale che segnerà il secolo a venire, le apparizioni della Madonna di Fatima, in Portogallo. Penso sempre a questa coincidenza temporale quando gusto nella memoria il Mottetto composto dal Maestro dal nome “Quo Abiit”. Il bambino solista dialoga con il coro ed è un canto di struggente bellezza, in cui Maria palpita per il Figlio suo e per tutti i suoi figli, specialmente per i più bisognosi. Talvolta non è semplice spiegare come debba essere veramente la musica liturgica, ma quando si ascolta “Quo Abiit” o “O Sacrum Convivium” del Maestro, lo si capisce d’improvviso, come un’idea che sonnecchiava perennemente nella nostra mente e che aspettava una voce per il risveglio.
Come si avvicinò il Maestro alla musica? Così me lo raccontava lui: “Beh, il mio primo contatto con la musica era quello delle scuole elementari. Io andai alle elementari, al mio paese, a sei anni e vidi per la prima volta la lavagna con il rigo musicale. Il maestro, l’unico maestro, faceva tutto, faceva anche musica. Si facevano le scale, i tempi – uno, due, tre e quattro… e poi c’era questo uso: tutta la scuola, non solo la classe in cui uno era, preparava per carnevale un’operetta. Io facevo il solista tante volte. Perciò il mio primo contatto con la musica fu alle elementari però il contatto vero e proprio, pratico, fu nella chiesa. Lì si cantava continuamente. Mio padre era appassionato, anzi appassionatissimo di canto: aveva una voce da tenore e faceva parte del coro della parrocchia. Inoltre cantava gli stornelli, anche quando lavorava, cantava. Allora la vita musicale nel paese era veramente intensa, c’erano le grandi bande che tenevano i concerti in piazza: le sinfonie di Rossini, di Verdi… Perciò c’era un mondo anche musicale, per cui l’allievo che amava la musica, che aveva intendimenti musicali, era aiutato da questo sentire”.
Tutto era impregnato di musica. La musica era nell’aria, come il Maestro mi dirà in quella conversazione. A nove anni e mezzo entra in Seminario a Firenze e lì ha l’incontro con il Maestro Bagnoli, che ne incoraggerà le prime composizioni e che lo guiderà nel raggiungere il Diploma di Composizione e Direzione di Orchestra, come si diceva allora. Nel frattempo diviene anche sacerdote, un pochino in anticipo, grazie ad alcune dispense, sull’età canonica. A questo punto bisogna menzionare un altro incontro importante. Chi fu la persona che lo avvicinò alla grande tradizione polifonica della Chiesa Cattolica Romana? “Il Maestro Casimiri, che veniva a Firenze per studi negli archivi e abitava in Seminario, in quanto amico del Rettore. Lui ci faceva qualche lezione, ci faceva delle belle lezioni e anche dirigeva il coro, cominciai con lui a sentire Palestrina, a sentire queste cose grandi e naturalmente era un salto da far paura”. Già, questo Maestro che al tempo dirigeva la Cappella Musicale della Basilica di san Giovanni in Laterano in Roma e che sarà un punto importante nella vita del Maestro. Gli farà conoscere quel compositore che il Maestro considererà sempre come il modello assoluto della musica liturgica: Giovanni Pierluigi da Palestrina. Di questo compositore il Maestro diverrà un esperto assoluto.
Il Maestro Casimiri lo incoraggerà ad andare a Roma a studiare, cosa che il Maestro farà, studiando al Pontificio Istituto di Musica Sacra dove poi insegnerà per decine di anni. Proprio da questo Pontificio Istituto il Maestro cercava di insegnare a tanti allievi (me fra questi) il senso della musica, cercava di inculcarci la sensibilità per i cardini del fare musica in chiesa. Questo credo sia importante da capire: il Maestro non si preoccupava delle cose più accessorie, ma cercava di instillarci l’Ethos del fare musica, cosa che io, come molti altri, non ho mai dimenticato. E questo Ethos, se non lo capivi dalle sue parole, non lo potevi ignorare ascoltando la sua musica, così lontana dal sentimentalismo ma così piena di sentimento. Soltanto capendo la differenza fra sentimentalismo e sentimento si poteva sperare di fare musica liturgica, non canzonettismo (c’è tanto nobile canzonettismo ma rimane canzonettismo, non musica liturgica). Il Maestro avrà molte posizioni forti, sulla Musica, la liturgia, la situazione attuale della musica in chiesa, il canto gregoriano e naturalmente si può essere d’accordo con lui o no. Ma credo che questo insistere sull’Ethos della musica liturgica, sia qualcosa che vada all’essenza della cosa stessa.
Mi colpì una risposta che mi diede quando gli domandai perché, dopo essere stato ordinato sacerdote, era venuto a Roma. Io suggerivo che era per studiare, come detto sopra. Ma lui mi interruppe gentilmente dicendo: “Era per rendermi conto della musica sacra”. Il Maestro voleva abbeverarsi al mondo della grandi Cappelle Musicali Romane, a quel tempo ancora tutte in piena vita. Egli voleva andare alla fonte e capiva come a Roma potesse ottenere quello che a lui serviva per immergersi nell’Oceano di Dio attraverso la musica. Mi raccontava come frequentasse concerti e prove, come quegli anni furono un vero godimento artistico e umano. Qui diverrà vice maestro della cappella musicale della Basilica di san Giovanni in Laterano, la cattedrale di Roma. Ma la seconda guerra mondiale lo costrinse a far ritorno al suo paese natale. In questo periodo drammatico nasceranno altre opere importanti nel campo sinfonico corale, come l’oratorio “La Passione” (1942) e il Concerto in mi per pianoforte e orchestra. Terminata la guerra, nel 1945, torna a Roma e ottiene il diploma nel corso di perfezionamento in composizione e direzione corale presso l’Accademia di santa Cecilia, nel corso tenuto da Ildebrando Pizzetti. Ottiene anche il diploma di composizione sacra presso il Pontificio Istituto di Musica Sacra di Roma. Nel 1947 diviene parroco in un piccolo paese vicino Firenze ma continuerà a dedicarsi alla composizione. È di questo periodo la composizione del poema sacro “Baptisma” per soli, coro femminile e orchestra. Nello stesso anno viene richiamato a Roma e nominato maestro della Basilica di Santa Maria Maggiore e professore di composizione, direzione polifonica e forme musicali polifoniche presso il Pontificio Istituto di Musica Sacra, incar
ico che terrà fino al 1997. Nel 1952 viene nominato vice maestro della Cappella Musicale Pontificia “Sistina” su indicazione del direttore principale del coro, Lorenzo Perosi, già da tempo malato. Alla morte di quest’ultimo nel 1956, Papa Pio XII nomina Bartolucci Maestro Direttore Perpetuo della Cappella Sistina, carica che conserverà fino al 1997.
Domenico Bartolucci si dedica alla ristrutturazione della Cappella Pontificia, assumendo forze fresche e riorganizzando la Schola Puerorum, il coro delle voci bianche dell’illustre istituzione. Questa sarà un’opera lunga e laboriosa, in quanto la Cappella Sistina si trovava allora in condizioni di estrema difficoltà. Bartolucci ottiene per la Cappella, dal Papa Giovanni XXIII uno status economico più adeguato a sostenere l’illustre istituzione vocale. Sarà lui poi che imporrà per le parti acute il canto delle voci bianche, eliminando del tutto i falsettisti (con grande dispiacere di questi ultimi…). Nel 1965 Domenico Bartolucci viene nominato accademico di santa Cecilia, carica che lo vede in compagnia dei più importanti nomi del mondo della musica internazionale. Con la Cappella Sistina il Maestro, oltre al normale e regolare servizio liturgico, terrà numerosi concerti in Italia e all’estero. La Cappella Sistina sarà anche protagonista di due fortunate tournèe negli Stati Uniti, negli anni ’70, da costa a costa. Il suo pensionamento dalla Cappella Pontificia avverrà nel 1997. Non si può nascondere che il Maestro si oppose sempre a certi indirizzi liturgici che secondo la sua opinione avevano portato alla rovina della liturgia e della sua musica.
Certo, anche il Papa ci fa notare che molta strada c’è da fare per recuperare un senso vero, profondo, di quello che è il ruolo della musica nella liturgia. Voglio pensare che il Papa nel farlo Cardinale, abbia in un certo senso voluto omaggiare la caparbietà di quest’uomo nel tenersi aggrappato a certi cardini, a non farsi traviare dalle mode. E lo stesso Papa, nel 2006, gli indirizzò queste parole dopo un concerto diretto dal Maestro nella Cappella Sistina: “Lei, venerato Maestro, ha cercato sempre di valorizzare il canto sacro, anche come veicolo di evangelizzazione. Mediante gli innumerevoli concerti eseguiti in Italia e all’estero, con il linguaggio universale dell’arte, la Cappella musicale pontificia da Lei guidata ha così cooperato alla stessa missione dei Pontefici, che è quella di diffondere nel mondo il messaggio cristiano”. Che belle parole, con la musica si coopera alla stessa missione dei Pontefici. Ora credo che con questo gesto di estremo rispetto, il Papa abbia voluto omaggiare in primis il Maestro e con lui tutti i musicisti, anche quelli nei paesi più sperduti, che giorno dopo giorno, cercano di evangelizzare usando il dono della musica, quel dono che Dio ha fatto a noi per offrirci una via maestra per tornare a Lui.
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*Aurelio Porfiri vive a Macao ed è sposato, con un figlio. E’ professore associato di musica liturgica e direzione di coro e coordinatore per l’intero programma musicale presso la University of Saint Joseph a Macao (Cina). Sempre a Macao collabora con il Polytechnic Institute, la Santa Rosa de Lima e il Fatima School; insegna inoltre allo Shanghai Conservatory of Music (Cina). Da anni scrive per varie riviste tra cui: L’Emanuele, la Nuova Alleanza, Liturgia, La Vita in Cristo e nella Chiesa. E’ socio del Centro Azione Liturgica (CAL) e dell’Associazione Professori di Liturgia (APL). Sta completando un Dottorato in Storia. Come compositore ha al suo attivo Oratori, Messe, Mottetti e canti liturgici in latino, italiano ed inglese. Ha pubblicato al momento quattro libri, l’ultimo edito dalle edizioni san Paolo intitolato “Abisso di Luce”.