Cardinal Damasceno: “La Provvidenza ci sorprende sempre” (II)

L’Arcivescovo di Aparecida racconta il suo percorso

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di Alexandre Ribeiro

APARECIDA, giovedì, 18 novembre 2010 (ZENIT.org).- Il Cardinale nominato da Papa Benedetto XVI per il concistoro del 20 novembre, monsignor Raymundo Damasceno Assis, 73 anni, Arcivescovo di Aparecida e Presidente del Consiglio Episcopale Latinoamericano (CELAM), ha visto il suo percorso intrecciarsi con momenti significativi della vita della Chiesa e della società negli ultimi decenni.

In questa seconda parte dell’intervista a ZENIT (la prima è stata pubblicata questo mercoledì), il futuro porporato parla delle Conferenze di Santo Domingo e di Aparecida, di come ha accolto la nomina al Cardinalato e dell’azione della Provvidenza divina nella sua vita.

E’ vero che giungere a un documento finale della Conferenza di Santo Domingo è stato difficile?

Monsignor Damasceno: Sì. Quanto alla Quarta Conferenza, ciò che si discuteva molto e che ha crerato vari problemi è stata la questione della metodologia. E’ stato molto difficile, perché abbiamo propugnato il metodo “vedere, giudicare e agire”, che era quello tradizionale di altre conferenze, ma c’era una certa resistenza da parte di alcuni, nel senso che alcuni non volevano nemmeno un documento, dicevano che la Quarta Conferenza non doveva produrre un documento. C’era timore relativamente alla prima parte, l’analisi della realtà, perché si partiva dal presupposto che la conclusione dipendesse da quell’analisi. Il fatto è che i Vescovi, analizzando la realtà, non lo fanno come sociologi, come economisti, come politici, ma con occhi di pastore, e sempre alla luce della Parola di Dio, del Magistero della Chiesa. Si ha allora una visione molto più ampia di quella realtà, e da lì si vanno a cercare anche le risposte alle grandi sfide pastorali della Chiesa nel mondo attuale e nel nostro continente.

Tutto ciò ha impedito alla Conferenza di avanzare il più rapidamente possibile, di compiere forse un lavoro molto più fruttuoso, fecondo, come sarebbe avvenuto se di fatto non ci fosse stata una certa resistenza, una certa indecisione sul metodo e anche sul Documento di Lavoro. Non da parte del CELAM, che aveva chiarezza circa il metodo, perché la Conferenza era stata preparata nel contesto di quella metodologia, ma da parte di alcuni, e di alcuni che avevano una responsabilità maggiore nella conduzione della Conferenza. Ciò ha ritardato i lavori. Abbiamo perso più o meno due giorni in quella discussione sterile. Alla fine, si è tornati alla stessa metodologia. Analizzando il documento di Santo Domingo, si troverà in primo luogo una grande riproduzione del Documento di Lavoro. In secondo luogo, si troverà qualche contraddizione. Da un lato si voleva evitare la metodologia del “vedere, giudicare, agire”, ma visto che era una nostra tradizione di lavoro non è stato possibile evitarla del tutto. In fondo, il documento torna a questo metodo, solo con qualche aggiunta iniziale di un testo del Magistero della Chiesa o delle Sacre Scritture, e inizia con una professione di fede cristologica. Ad ogni modo, il documento di Santo Domingo è ancora molto citato. E’ stato citato anche dal Documento di Aparecida. E presenta delle innovazioni, ad esempio la questione dell’inculturazione del Vangelo. Chi legge oggi il Documento di Santo Domingo vede un testo molto ricco, che ha ribadito le Conferenze precedenti, anche l’opzione preferenziale per i poveri, non esclusiva né escludente. Ha anche insistito molto sul lavoro della Chiesa nel campo della promozione umana.

Si è trattato di un contesto molto diverso, ad esempio, da quello della Conferenza di Aparecida. Nella Conferenza di Santo Domingo c’era molta più tensione, anche per la stessa situazione della città, che ci offriva alloggi molto confortevoli anche se la struttura per la realizzazione dei lavori era un po’ carente. E soprattutto per il contesto in cui la Conferenza veniva celebrata, a 500 anni dalla scoperta dell’America. Si tratta di un fatto storico molto analizzato sotto vari aspetti e valutato in modo molto diverso, positivamente da alcuni, negativamente da altri. In questo contesto si situava la Quarta Conferenza, anche se la preoccupazione non era l’avvenimento storico in sé della scoperta dell’America, ma l’opera evangelizzatrice realizzata dalla Chiesa in 500 anni, con le sue luci e ombre.

Dopo aver lavorato attivamente alla Quarta Conferenza dell’Episcopato Latinoamericano, lei ha ospitato la Quinta Conferenza ad Aparecida, nel 2007. Com’è andata?

Monsignor Damasceno: La Conferenza di Aparecida si è svolta in un clima molto tranquillo, di grande comunione tra i Vescovi e di forte spiritualità, perché si realizzava nel Santuario, alla presenza di tanti pellegrini. Per la prima volta, una conferenza si realizzava in un Santuario Nazionale, un luogo molto visitato, era una situazione nuova. I Vescovi erano a contatto con il popolo, soprattutto il sabato e la domenica, quando la presenza dei pellegrini è più incisiva. Le Messe erano tutte aperte e trasmesse dai mezzi di comunicazione sociale. Si è trattato di un contesto molto diverso da quello delle altre volte, quando gli incontri si realizzavano all’interno di un’istituzione, di un seminario. A Santo Domingo è stato nella Casa San Paolo, a Puebla nel Seminario Maggiore. Erano quindi luoghi isolati, chiusi. Ad Aparecida eravamo in un Santuario, con le celebrazioni aperte al pubblico e tutte trasmesse. Ciò ha creato un ambiente spirituale di grande pietà, di molta preghiera, senza alcun contrattempo.

La Conferenza di Aparecida è stata un vero evento, una Pentecoste per la Chiesa in America Latina. I Vescovi sono arrivati e non c’era un documento di lavoro. Era chiamato Documento di Preparazione. Si è arrivati senza alcuna decisione di stilare o meno un documento, e il testo si è prodotto durante la Conferenza, con la partecipazione di tutti. Poi siamo giunti alla conclusione con quel documento splendido, ispiratore, molto pastorale, inserito nella nostra realtà, con un aspetto missionario molto marcato. E con un tema bellissimo, attuale e valido per tutta la Chiesa e per ogni cristiano: discepoli e missionari di Gesù Cristo, perché in Lui tutti abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza. Abbiamo creato una struttura che ha facilitato i lavori. Il Santo Padre è stato accolto con calore, affetto e gioia da tutti i pellegrini ad Aparecida. E’ stato accolto qui, nel Seminario Maggiore Bom Jesus, con il suo seguito, ospitato in modo degno ma semplice, sobrio, che è risultato gradito a tutti. Per questo non c’è stato un rammarico nella Quinta Conferenza, sia nella sua preparazione che nel suo svolgimento.

Come ha accolto la nomina al Cardinalato da parte di Benedetto XVI?

Monsignor Damasceno: In questa nomina del Papa vedo in primo luogo un’attenzione, un apprezzamento per la Chiesa dell’America Latina, visto che sono il Presidente del Consiglio Episcopale Latinoamericano (CELAM). E’ anche un apprezzamento nei confronti del Brasile, del Santuario, di Aparecida, perché Aparecida è rappresentativa del contesto religioso del Brasile. Anche se piccola, è illustre e molto amata dai brasiliani, perché vi si trova il Santuario della loro patrona.

Benedetto XVI è un Papa che cerca il dialogo con il mondo moderno, dialogo della fede con la ragione. Non dobbiamo aver paura e volgerci verso l’interno della Chiesa. Al contrario, dobbiamo dialogare con questo mondo attuale, in tutti gli ambiti, e dare il nostro contributo, annunciando e testimoniando i valori umani e cristiani nella società di oggi e assumendo con spirito critico ciò che c’è di positivo nelle culture moderne. Mostrare che la fede non è qualcosa di irrazionale, di assurdo, ma oltre ad essere dono di Dio si basa sulla razionalità dell’uomo. L’uomo crede perché è ragionevole credere, e ciò corrisponde alla sua struttura intellettuale e alla sua apertura alla trascendenza.

Analizzando il suo percorso, come vede l’azione della Provvidenza nella sua vita?

Monsignor Dama
sceno: La Provvidenza ci sorprende sempre, in primo luogo perché la gente non conosce il futuro. Da parte mia, confido nella Provvidenza di Dio. Egli ci conduce sempre, ha i suoi piani in relazione a ciascuno di noi, per l’umanità. Spetta a noi accettare ciò che avviene, nello spirito di fede, sapendo che Egli ci guida. Quando si presenta una missione che non cerchiamo, ma è frutto del disegno di Dio e della sua Provvidenza, dobbiamo confidare nella sua grazia e nel suo aiuto. Egli ci aiuterà a realizzare il compito al quale ci chiama. Dio non sceglie la persona in funzione della sua preparazione, della sua qualifica. Si può servire di questo, ma quando ha i suoi progetti chiama gratuitamente, e ci dà la grazia per realizzare la missione. E’ sempre stato così nella storia della salvezza, con i profeti, e nella storia della Chiesa. L’importante è che la gente sia aperta, disponibile ad accettare i suoi progetti e i suoi disegni. Cercare di discernere qual è la sua volontà, confidare in lui, accettare e cercare di fare nel miglior modo possibile ciò che Dio ci chiede nella missione che ci affida. E’ con questo spirito che affronto questa nomina. Con molta umiltà. Non per meriti personali, ma vedendo che Dio ha le sue vie. Se il Papa chiama, allora anche Dio parla, attraverso le mediazioni umane, di coloro che ha posto alla guida della sua Chiesa. Una volta che ci si dispone a servire Dio, a servire la Chiesa, con l’ordinazione sacerdotale, non si può tornare indietro. Bisogna sempre guardare avanti e cercare di servire nel miglior modo possibile.

[Traduzione dal portoghese di Roberta Sciamplicotti]

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ZENIT Staff

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