Varie campagne internazionali cercano di salvare la vita di Asia Bibi

La donna cristiana condannata a morte in Pakistan per “blasfemia”

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ISLAMABAD, martedì, 16 novembre 2010 (ZENIT.org).- Varie organizzazioni di tutto il mondo, sia associazioni cattoliche che gruppi di difesa dei diritti umani, hanno avviato campagne di pressione per salvare la vita di Asia Bibi, la donna cristiana pakistana condannata a morte per presunta “blasfemia”.

Asia Bibi, madre di famiglia, è stata accusata nel 2009 dalle sue compagne di lavoro di aver parlato contro il profeta Maometto, un reato che in Pakistan, a causa della legge antiblasfemia vigente, può comportare pene carcerarie e anche la morte.

La Chiesa in Pakistan, attraverso la Commissione “Giustizia e Pace”, ha avviato una campagna di pressione per salvare la vita di Asia Bibi e chiedere l’abolizione di questa legge, che secondo quanto ha dichiarato monsignor Rufin Anthony, Vescovo di Islamabad-Rawalpindi, all’agenzia cattolica AsiaNews, rappresenta una scusa per attaccare le minoranze, soprattutto i cristiani.

Proprio AsiaNews ha lanciato una campagna internazionale per salvare questa donna, attraverso l’invio di messaggi di protesta al Presidente del Governo del Pakistan, Asif Zardari. Per ora, sono giunte circa 40.000 email da tutto il mondo.

Si sono mobilitate anche istituzioni come Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS), che ha avviato un’iniziativa simile in Italia e in Francia, e l’organizzazione spagnola HazteOir, che ha convocato un incontro per pregare davanti all’ambasciata pakistana a Madrid.

In alcune dichiarazioni all’agenzia Fides, monsignor Bernard Shaw, Vescovo ausiliare di Lahore, la Diocesi di Asia Bibi, ha rivolto un appello direttamente a Papa Benedetto XVI perché interceda per lei, esortando la comunità internazionale “ad alzare la voce, fare pressioni e operare a tutti i livelli per la salvezza della donna, che è un’innocente”.

Il Vescovo ha confessato di sperare nell’azione e nel movimento di pubblica opinione della società civile pakistana, “dove esistono organizzazioni cristiane e musulmane che lavorano per la pace e l’armonia, per contrastare il fanatismo religioso, per depotenziare la polarizzazione fra comunità diverse”.

Per Peter Jacob, Segretario Esecutivo della Commissione “Giustizia e Pace”, quello ai danni di Asia Bibi è “un autentico oltraggio alla dignità umana e alla verità”.

Denunce della legge sulla blasfemia

Monsignor Joseph Coutts, vicepresidente della Conferenza Episcopale Pakistana e deciso sostenitore dell’abolizione della norma sulla blasfemia, ha affermato dal canto suo che “il pericolo viene dall’abuso di questa legge”.

“Chiedendone l’abrogazione, non vogliamo avallare quanti dissacrano il nome del Profeta – ha specificato –. Ma deploriamo quanto si verifica nell’applicazione della legge: ogni scusa è buona, se si vuol colpire un avversario o un nemico, lo si accusa di blasfemia”.

“Spesso”, infatti, “si è appurato che le accuse sono del tutto false”.

La Chiesa chiede l’abolizione della legge, “ma in Parlamento è difficile che ciò avvenga, in quanto si tocca un tasto che suscita forti emozioni”, ha riconosciuto. Se i leader religiosi musulmani “dicono che la legge serve a proteggere l’onore del Profeta”, i politici “subiscono le pressioni dei gruppi islamici radicali, e ciò accade anche a livello di autorità locali e della polizia”, provocando una “fase di stallo”.

La solidarietà delle donne

Nankana, la città della donna condannata a morte, ha visto in questi giorni una manifestazione di donne davanti ai palazzi delle istituzioni per chiedere il rilascio di Asia Bibi.

“Nel suo caso – ha spiegato a Fides Rosemary Noel, coordinatrice nazionale delle donne cattoliche – è mancata una seria indagine sia della polizia, sia del tribunale: purtroppo è il gioco di potere dei forti che schiaccia i deboli”.

“In Pakistan i potenti hanno forte influenza sugli apparati delle forze di sicurezza e sugli apparti giudiziari, specialmente nei tribunali di primo grado. Ne risultano giudizi non trasparenti o palesemente ingiusti. Inoltre c’è la forza della maggioranza che schiaccia le minoranze: e i cristiani soffrono doppiamente”.

La musulmana Saman Wazdani, attivista per i diritti umani, ha riconosciuto che “vi è l’urgenza di abrogare la legge sulla blasfemia”, ma anche di “una riforma complessiva delle strutture giudiziarie”.

Precedenti

Asia Bibi non è l’unica donna pakistana ad essere stata accusata di blasfemia, pur essendo la prima ad essere condannata a morte per questo reato.

Tra le altre vittime di questo provvedimento, Fides cita Zaibul Nisa, di 60 anni, rilasciata nel luglio scorso dopo 14 anni di prigione. Accusata da un vicino di casa di aver dissacrato il Corano, era stata arrestata senza prove dalle autorità.

Nel maggio 2007 alcune studentesse musulmane di una madrasa di Islamabad hanno accusato di blasfemia alcune ragazze del vicino “Pakistan Institute of Medical Science”. Le autorità hanno chiuso l’istituto per due settimane, sospendendo il preside e quattro studentesse cristiane. Secondo fonti di Fides, l’accusa è un modo per discriminare le donne cristiane e negare loro il diritto all’istruzione.

Nel giugno 2005, alcune Suore di San Paolo di Karachi che hanno un negozio di pubblicazioni cristiane sono state accusate di blasfemia perché, secondo alcuni musulmani, i CD e i video in vendita erano blasfemi e venivano usati per proselitismo. Le suore hanno più volte subito intimidazioni e minacce.

Per aderire alla campagna avviata da AsiaNews: http://www.asianews.it/notizie-it/La-tua-firma-per-salvare-Asia-Bibi-e-il-Pakistan-19997.html

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ZENIT Staff

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