Vivere da cristiani in un mondo islamico

Intervista al direttore della Human Rights Coalition

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FREDERICKSBURG, Virginia (USA), lunedì, 15 novembre 2010 (ZENIT.org).- Quando il reverendo Keith Roderick pensa alle persecuzioni religiose, gli viene in mente la triste vicenda di Vivian.

Il reverendo dottor Roderick è ministro episcopaliano e segretario generale della Coalition for the Defense of Human Rights, con sede negli Stati Uniti.

In questa intervista rilasciata al programma televisivo “Where God Weeps”, realizzato da Catholic Radio and Television Network (CRTN), in collaborazione con Aiuto alla Chiesa che Soffre, il reverendo ha raccontato la storia della quindicenne Vivian.

La ragazza è stata rapita mentre camminava verso casa, dopo la scuola, nel suo Paese, l’Iraq. I suoi rapitori hanno detto alla madre: “Non vogliamo i vostri soldi; vogliamo la vostra sofferenza”.

Il reverendo Roderick ha parlato anche, in generale, dei principali problemi dei cristiani che vivono nei Paesi islamici.

Da quanto tempo svolge questo lavoro e cosa l’ha spinta inizialmente a dedicarsi alle persecuzioni e alle repressioni contro la Chiesa?

Roderick: Sono ormai più di 23 anni. Il tempo passa rapidamente. Lavoravo per un’organizzazione in Inghilterra che faceva assistenza ai prigionieri nell’Unione Sovietica, arrestati per motivi di coscienza. Si inviavano pacchi alle famiglie dei prigionieri e biglietti alle prigioni in cui erano detenuti, oltre a fare altre cose. Verso la fine, con la crescente delusione nei confronti dell’esperienza sovietica, abbiamo iniziato a ricevere richieste per fare lo stesso nei confronti dei prigionieri religiosi nel mondo islamico. Abbiamo così ampliato il nostro raggio d’azione, impegnandoci prima in Egitto e Pakistan, poi in Libano e finalmente in Iraq, Iran e Sudan.

Ci può spiegare com’è la situazione? Qual è il problema principale dei cristiani che vivono nel mondo islamico?

Roderick: Anzitutto, sono una minoranza, ed essere minoranza implica tra le altre cose subire discriminazioni nel mondo del lavoro e in altri diritti sociali. Come minoranza in un mondo islamico hanno anche il fatto di essere bollati come “dhimmi”.

Cosa significa?

Roderick: È il nome ufficiale che indica i cittadini di serie B. I “dhimmi” sono, in termini islamici, gli infedeli che pagano la “jizyah”, la tassa, e che sono per questo tollerati. Sono esenti dalla partecipazione alle forze armate. Ma questo è praticamente l’unico beneficio. È uno status molto umiliante e serve, in un certo senso, a mantenere la minoranza in quello stato. È una condizione sprezzante e disumana, in cui la fondamentale dignità delle minoranze come individui è spesso erosa. Questo permette anche atti di violenza e altre misure come la pulizia etnica.

Qual è lo scopo del fondamentalista islamico a questo riguardo?

Roderick: Il fondamentalista islamico vuole islamizzare la società. Questo implica l’imposizione della sharia sulla popolazione – e talvolta anche sui non musulmani –, e questo crea molte difficoltà. Lo scopo principale è di reintrodurre l’islamismo ortodosso di stampo ultraconservatore.

Nel 1900 i cristiani rappresentavano circa il 20% della popolazione in Medio Oriente. Oggi sono meno del 2%. Quali sono i motivi di questa riduzione della parte cristiana della popolazione?

Roderick: Credo che ciò sia dovuto alle continue pressioni poste contro le minoranze e in particolare contro i cristiani. Questi si sentono, e sono così definiti dalla maggioranza, come degli intrusi, che non appartengono a quella società, anche se fanno parte della popolazione autoctona.

Il cristianesimo, infatti, era lì ben prima dell’islam. Certamente, se si viene resi stranieri nel proprio Paese, qualcosa non va.

Credo che questa sia una delle principali motivazioni non solo per le violenze che esplodono di volta in volta – come abbiamo visto in Iraq –, ma anche per le forme di discriminazione praticate dalle istituzioni di governo e dalla società, che tendono ad emarginare e continuano ad emarginare. Con la nuova ripresa dell’islamismo queste pressioni si sono intensificate, ed è diventato molto più difficile ora rispetto al XX secolo.

Che esempi darebbe delle discriminazioni o delle vere e proprie persecuzioni?

Roderick: Una delle più comuni forme di discriminazione istituzionalizzata è quella relativa alle carte d’identità religiose. In molti Paesi come l’Egitto, si deve avere sulla propria carta d’identità anche l’identità religiosa. Questo significa che si instaurano automaticamente dei limiti in termini di accesso al lavoro, all’istruzione e persino al matrimonio.

L’identificazione della propria appartenenza religiosa – cristiana, musulmana o ebraica – diventa quindi una forma di controllo che è per certi versi analoga alla stella gialla di memoria nazista.

Chi le viene in mente quando pensa alle persecuzioni religiose?

Roderick: Penso a così tante persone che hanno perso la vita per la propria fede e solo per essere identificate come cristiane. Per esempio, in Iraq, una giovane quindicenne camminava verso casa dalla scuola ed è stata rapita. Le compagne di scuola sono andate dai genitori per dire
loro: “Vostra figlia Vivian è stata rapita”. I genitori hanno aspettato la sera che squillasse il telefono per la richiesta del riscatto, con l’intenzione di fare di tutto pur di riavere la loro figlia. Alla fine la telefonata è arrivata. La madre, rispondendo al telefono ha detto: “Ditemi cosa volete: pagheremo qualunque cifra”. Ma la voce ha risposto: “Non vogliamo i vostri soldi; vogliamo la vostra sofferenza”.

Quanto può essere traumatico e terrificante per la famiglia? Qualche giorno dopo, il suo corpo mutilato e più volte stuprato è stato scaricato nella piazza del paese e la famiglia è stata chiamata per venirlo a prelevare. Che sofferenza. Che degradazione: non solo l’uccisione, ma la mutilazione di una persona. Dove è arrivato l’insegnamento che consente a un essere umano di fare questo ad un altro essere umano?

E questo non è nel Corano?

Roderick: E questo non è neanche scritto nel Corano. È vero. Ma si sta verificando. In Egitto, le forze di polizia spesso sottopongono a tortura gli arrestati nei primi giorni di detenzione.

Esistono due dipartimenti nel quartier generale di piazza Lazoghly al Cairo: uno si occupa dei fondamentalisti islamici, l’altro dei cristiani.

E spesso i cristiani, essenzialmente i convertiti dall’islam, sono arrestati per ridurre le pressioni nei confronti dei fondamentalisti islamici; per apparire equanimi. Spesso questi convertiti vengono torturati in modo orrendo per i primi tre giorni, e se nessuno viene a parlare in loro difesa, semplicemente spariscono nelle prigioni.

Vorrei soffermarmi ancora sull’Iraq, proprio per questa evidente persecuzione contro i cristiani. La popolazione cristiana in Iraq ammonta oggi a meno della metà di quella precedente all’invasione. Tutte queste azioni, come i rapimenti, sono un modo per purgare la terra dai cristiani?

Roderick: Sì. Alcuni di questi atti di violenza sono certamente strumentali e criminali, ma la maggior parte ha effettivamente lo scopo di aumentare le pressioni nei confronti della popolazione cristiana e costringerla ad andare via.

Per esempio, nel quartiere Dora di Baghdad, in cui nel 2004 vivevano 20.000 famiglie cristiane, nel 2006 erano rimasti forse solo 1.000 individui che cercavano di mantenere le proprietà che erano rimaste. È stata in effetti una pulizia etnica, per consentire alle milizie di utilizzare quel quartiere come base operativa contro le forze della Coalizione a Baghdad.

Ora, molti di questi – a causa delle insurrezioni dell’ultimo anno, anno e mezzo – si sono spostati a nord, tanto che adesso i problemi maggiori si trovano a Mosul o Kirkuk, o persino nelle pianure di Ninive. Nei piccoli villaggi del luogo vi sono state proteste contro la prese
nza di Al Qaeda, che ha installato basi e si muove avanti e indietro per Mosul usando la popolazione cristiana come scudo.

Perché sono così vulnerabili?

Roderick: Sono vulnerabili perché dopo la liberazione a tutte le milizie fu chiesto di deporre le armi, ma l’unica milizia che ha dato seguito alla richiesta e ha deposto le armi è stata quella assira. Per questo non hanno protezione. E non esiste una forza di polizia indipendente che possa offrire protezione ai villaggi. Esistono solo le strategie e le conseguenze, e purtroppo i cristiani si trovano spesso nella situazione di subire.

I cristiani che rimangono in Iraq parlano di una ghettizzazione della Chiesa. Che cos’è una Chiesa ghettizzata?

Roderick: Una Chiesa ghettizzata è una Chiesa confinata. Le viene consentito di sopravvivere nella società, ma non in condizioni di piena libertà. Questa sta diventando la norma in alcuni Paesi e lo si teme anche per l’Iraq in ragione delle conseguenti fughe di popolazione.

Persino nel luogo della nascita di Cristo vediamo una presenza cristiana che è arrivata al 2,4% della popolazione. I cristiani rischiano l’estinzione?

Roderick: Credo che la questione sia se essi saranno confinati al ruolo di curatori dei siti religiosi o se potranno avere un ruolo nella società. Credo che questa sia la questione più grande. Non credo che la totale estinzione sia probabile.

La Chiesa è Cristo e Cristo non permetterà che questa sparisca, ma purtroppo gran parte della vita di queste Chiese esiste oggi nella diaspora, e la diaspora rappresenta la promessa e il potenziale di un impegno a sostegno delle popolazioni indigene in loco.

Effettivamente la popolazione in Terra Santa è diminuita ed è diventata quasi insignificante, ma non credo che questo debba necessariamente rappresentare il futuro. Quindi possiamo mantenere la speranza, ma occorre fare qualcosa.

I cristiani si devono impegnare a difesa dei loro fratelli e delle loro sorelle e, per quanto possiamo deplorare ciò che è avvenuto ai cristiani in Medio Oriente, parte della responsabilità è anche dei cristiani in Occidente. Hanno assunto qualche iniziativa? Perché non si fanno sentire?
Perché non escono fuori a protestare? Perché solo raramente dai pulpiti o dai bollettini vengono espresse preghiere per i cristiani perseguitati in Medio Oriente?

È in parte anche un problema nostro. Noi non ci siamo impegnati e ci aspettiamo che i cristiani in Medio Oriente se la cavino da soli. E loro hanno portato la croce da soli. Ma dobbiamo andare loro incontro, costituire una vera forza a loro sostegno e questo non l’abbiamo fatto molto bene finora.

Cosa possiamo fare noi come cristiani?

Roderick: Credo che la cosa più importante sia quella di fare pressione sui nostri Governi. Deve esserci qualche movimento popolare che dal basso dia loro la spinta e il sostegno per impegnarsi. Credo che sia importante anche per una sorta di rapporto diretto tra coloro che sono perseguitati e coloro che in Occidente hanno la libertà di organizzarsi, di esercitare pressione sui Governi americano, britannico, francese e sugli altri Governi europei, di iniziare a fare pressione sui Governi che tollerano ciò che nei propri Paesi sarebbe intollerabile.

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Questa intervista è stata condotta da Mark Riedemann per “Where God Weeps”, un programma televisivo e radiofonico settimanale, prodotto da Catholic Radio and Television Network in collaborazione con l’organizzazione internazionale Aiuto alla Chiesa che soffre.

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Per maggiori informazioni: www.WhereGodWeeps.org. Per una panoramica sulla situazione dei cristiani iracheni: wheregodweeps.org/situation-of-christians-in-iraq-short-film/.

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ZENIT Staff

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