di Antonio Gaspari
ROMA, lunedì, 8 novembre 2010 (ZENIT.org).- Per garantire il bene comune, difendere i diritti umani, garantire la giustizia, rafforzare e trasmette le virtù “si deve obbedire più a Dio che agli uomini”. Lo ha detto questo lunedì ad Assisi, il Cardinale Angelo Bagnasco, Arcivescovo di Genova e Presidente della Conferenza Episcopale Italiana (CEI), nel corso della prolusione svolta alla 62a Assemblea generale dei Vescovi italiani.
Prendendo spunto dal discorso che il Pontefice Benedetto XVI ha tenuto nella storica sala di Westminster Hall, a Londra, il Presidente della CEI ha precisato che “l’uomo non è un prodotto della cultura che, nel proprio evolversi, si compiace di elargire questo o quel riconoscimento; l’uomo in sé è il valore per eccellenza, che di volta in volta si rifrange in una cultura che tale è quando non lo imprigiona, consentendogli di porsi in una continua tensione verso la pienezza della verità”.
E’ in questo contesto – ha spiegato il Cardinale Bagnasco – che si colloca il terreno “solido e duraturo dei principi o valori ‘essenziali e nativi’ detti anche ‘non negoziabili’, che sono definiti tali ‘non perché non si debbano argomentare ma perché, nel farlo e nel legiferare, non possono essere intaccati in quanto inviolabili, inalienabili e indivisibili’”.
Questi valori – ha aggiunto – appartengono al “DNA della natura umana”, perché “il vero sviluppo ha un centro vitale e propulsore, e questo è ‘l’apertura alla vita’”.
Come spiegato nella Caritas in veritate quando una società si incammina verso la negazione della vita, “finisce per non trovare più le motivazioni e le energie necessarie per adoperarsi a servizio del vero bene dell’uomo. Se si perde la sensibilità personale e sociale verso l’accoglienza di una nuova vita, anche altre forme di accoglienza utili alla vita sociale si inaridiscono”.
Il Presidente della CEI ha ripreso la Dichiarazione del Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee, recentemente tenutosi in Croazia, in cui si ribadisce che “senza un reale rispetto di questi valori primi che costituiscono l’etica della vita, è illusorio pensare ad un’etica sociale che vorrebbe promuovere l’uomo ma in realtà lo abbandona nei momenti di maggiore fragilità”.
“Ogni altro valore, infatti, necessario al bene della persona e della società – il lavoro, la salute, la casa, l’inclusione sociale, la sicurezza, l’ambiente, la pace… – germoglia e prende linfa dai primi. Mentre staccati dall’accoglienza in radice della vita, potremmo dire della ‘vita nuda’, questi ultimi valori inaridiscono e perdono di senso”.
A chi sostiene che i valori non negoziabili, sarebbero divisivi per il tessuto sociale, e quindi inopportuni e scorretti, l’Arcivescovo di Genova ha risposto che essi sono “intrinsecamente dotati di una forza unitiva che si esprime a più livelli e in più ambiti”, a cominciare dal principio di uguaglianza tra tutti i cittadini.
“Questi valori – ha detto – risultano unitivi anche in un’altra accezione: rappresentano il vincolo che può di volta in volta dare espressione all’unità politica dei cattolici, ovunque essi si collochino in base alla loro opzione politica”.
Quanto poi alla scena internazionale, secondo il porporato questi valori sono “la base insostituibile e conveniente” in ragione della loro “stabilità, universalità e interpretazione in ogni caso favorevole alla persona” e costituiscono il presupposto per il “dialogo possibile tra culture, religioni e Stati sovrani”.
Parlando del “ruolo della religione in ambito politico-sociale” il Presidente della CEI ha spiegato che compito della Chiesa è quello di “aiutare nel purificare e gettare luce nell’applicazione della ragione, nella scoperta dei valori morali oggettivi” nel senso che “recupera la profondità dei singoli principi e, ad un tempo, rischiara sull’applicazione che ne viene fatta, aiutando dunque, quando serve, a rettificare le distorsioni, a indirizzare meglio l’azione, a non lasciarsi deviare dai riduzionismi concettuali o dalle manipolazioni ideologiche, a non confondere mai il fine coi mezzi e viceversa”.
E’ infatti evidente – secondo il Presidente della CEI – che il mondo della ragione, il mondo della fede, il mondo della secolarità razionale e il mondo del credo religioso hanno bisogno l’uno dell’altro e non dovrebbero avere timore di entrare in un profondo e continuo dialogo, per il bene della nostra civiltà.
Citando il Pontefice Benedetto XVI il Cardinale Bagnasco ha ribadito che “la religione per i legislatori non è un problema da risolvere, ma un fattore che contribuisce in modo vitale al dibattito pubblico della nazione”.
Mentre il privatismo religioso si sta rivelando “un’ipotesi asettica sul piano sociologico e avvizzita sul piano esistenziale. Per uno Stato moderno, l’autoreferenzialità valoriale si rivela presto infeconda e propiziatrice di inedite paure”.
In merito al ruolo dei cattolici in ambito pubblico, l’Arcivescovo di Genova ha affermato che “aspettarsi che i cattolici circoscrivano il loro apporto all’ambito sempre importante della carità fosse pure per contribuire ai doveri dello Stato in ordine al bene comune – significa scadere in una visione utilitaristica, quando non anche autoritaria. I cattolici non possono consegnarsi all’afasia, ideologica o tattica: se lo facessero tradirebbero le consegne di Gesù ma anche le attese specifiche di ogni democrazia partecipata”.
A questo proposito il Presidente della CEI ha criticato il conformismo per il quale, come ha detto il Pontefice, “diventa obbligatorio pensare come pensano tutti, agire come agiscono tutti. Le sottili aggressioni contro la Chiesa, al pari di quelle meno sottili, dimostrano come questo conformismo possa realmente essere una vera dittatura”.
Il presidente della CEI ha quindi sostenuto che “dobbiamo muoverci senza complessi di inferiorità” perché questo “è esigito dalla dignità di ciò in cui si crede” e perché “si deve obbedire più a Dio che agli uomini”.
“Se nei vari campi, i credenti conoscono solo le parole del mondo, e non dispongono all’occorrenza di parole diverse e coerenti, – ha sottolineato il porporato – verranno omologati alla cultura dominante o creduta tale, e finiranno per essere anche culturalmente irrilevanti. Il punto non è una smania di rilevanza, ma il dovere di servire. L’immagine insuperabile cui rifarci è quella evangelica del ‘sale della terra’ e della ‘luce del mondo’, dove il sale suggerisce lo stile dell’incarnazione, la discesa nella pasta della storia per diventare vicinanza e condivisione rispetto alla vita di tutti”.
“Va da sé – ha continuato il Cardinale Bagnasco – che la mitezza non è scambiabile con la mimetizzazione, l’opportunismo, la facile dimissione dal compito. Bisogna invece che noi salviamo l’autonomia della coscienza credente rispetto alle pressioni pubblicitarie, ai ragionamenti di corto respiro, ai qualunquismi variamente mascherati, alle lusinghe. In questo senso capiterà talora di essere scomodi, ma non sarà per posa o per pregiudizio, quanto per sofferta, umile, serena coerenza”.