di Elisabetta Pittino
ROMA, martedì, 2 novembre 2010 (ZENIT.org).- Lunedì 25 ottobre a Brescia è stata organizzata dall’Associazione Culturale Identità Cristiana una conferenza dal titolo “12…11…10…9…8… Testimonianze di famiglie che hanno detto ‘si’ alla vita”.
I lavori sono stati introdotti dall’avv. Federico Vincenzi, presidente di Identità Cristina-Brescia, a cui hanno fatto seguito i saluti dell’avv. Giorgo Maione, assessore alla persona, alla famiglia e ai servizi sociali del Comune di Brescia, del dr. Gabriele Zanola, presidente CAV- Brescia, e del dr. Saulo Mafezzoni, presidente del Movimento per la Vita di Brescia, patrocinatori dell’evento.
All’incontro hanno portato la loro testimonianza Paolo e Donatella Conter, genitori di 10 figli; Anna e Paolo Sangiorgi, con 12 figli; Pietro Alghisi, 8 figli; Vittorino e Luisa Fiorese; genitori di 3 figli adottivi (il terzo in arrivo); Vincenzo e Silvana Alberti, genitori di 6 figli, uno dei quali affetto da autismo.
Famiglie in assoluta controtendenza se si pensa che in Italia il 53,4 delle famiglie non ha figli, il 21,5 ha un figlio, il 19,5 % ha due figli, e il resto ha più di 2 figli.
Ma come fa una famiglia a vivere con tanti figli? E come sono i genitori di queste famiglie?
Per rispondere queste domande ZENIT ha intervistato Paolo e Donatella Conter. Il dr. Paolo Conter, è gerontologo, plurispecializzato in bioetica, mentre Donatella Conter, è casalinga ed ex infermiera; hanno 10 figli più 2 in Cielo.
Perché sì alla vita? Cosa significa paternità e maternità responsabile con 10 figli?
Paolo: Più di maternità e paternità responsabile, parlerei di consapevolezza o conscia paternità, come indicato nell’enciclica Humanae vitae pubblicata da Paolo VI il 25 luglio del 1968. Prima di tutto mia moglie ed io abbiamo cercato di crescere insieme come figli nella fede. Perchè i figli sono un dono del Padre celeste. Un dono evidente perchè nessuno di noi ha chiesto di venire al mondo. Come genitori di una famiglia numerosa, quando vado ai corsi di preparazione al matrimonio io chiedo sempre: “ma secondo voi noi siamo responsabili o matti?”. Nell’immaginario collettivo siamo matti perchè irresponsabili. Invece noi abbiamo risposto positivamente ad un progetto che non era neanche nostro. Se fosse stato per me avrei avuto 2 o al massimo 3 figli. Man mano che andavamo avanti in questo cammino della nostra vita, nel prendere coscienza di essere figli di uno stesso padre (Dio), e di essere anche fratelli perché il padre era comune, ci è stato possibile aprirci di più alla vita. Abbiamo capito che la vita non è una cosa nostra ma è un bene trasmissibile. Oggi molte volte si parla dei valori: come fai a trasmettere i valori se non trasmetti la vita.
Il “sì alla vita” nasce da un percorso, da un progetto e non c’è da fare discorsi di bravura e di confronto. E’ che ciascuno di noi venendo al mondo ha una chiamata, una vocazione a cui rispondere. Noi abbiamo risposto per quello che a noi è sembrata la risposta più giusta a un dono prezioso ricevuto. Una domanda che molte volte mi fanno quando andiamo a parlare è “ma li avete desiderati tutti i vostri figli?” Come se un figlio valesse in base al desiderio del genitore. Un figlio vale in sé, ognuno di noi vale in sé e per sé, è entrato nel mondo attraverso due persone, attraverso il concepimento, ma vale in sé. Non perché nella mente di due persone si pensava ad un figlio. Oggi siamo in una situazione dove tutto viene encefalizzato ecco perché c’è l’inverno demografico. Tutto parte dalla testa nel senso che uno deve pensare al figlio che nasce oggi, ma di cui devo sapere e controllare tutta l’esistenza. Mentre invece si sta trascurando l’effetto sorpresa. La nostra società sembra avere paura del nuovo, perché il nuovo ti spiazza, ti sbilancia, ti mette in movimento. La nostra è una società del tempo della torre di Babele perché si è stabilita, si è stanziata, è ferma e teme qualsiasi cosa che venga a disturbare. Un figlio disturba sicuramente. Un figlio viene e ti rompe, ti mette in difficoltà. Ma sono le cose che mettono in difficoltà che fanno maturare. In questo contesto credo che siamo sicuramente stati educati molto dai nostri figli. Cioè ci hanno aiutato loro, ci hanno fatto crescere, ci hanno fatto modificare, cambiare. Responsabilità quindi significa la capacità di dare risposta ad un progetto. Questo progetto viene dall’altro, è un progetto di Dio su di noi. E’ chiaro che il dono della vita viene da fuori di noi. E’ un progetto che ha in mano il Signore, e il Signore sa bene quali sono le modalità e quello che serve per la felicità della tua vita.
Perchè sì alla vita? La maternità per una donna è un momento speciale, ricco, che vive con tutta se stessa. L’accoglienza alla vita per la donna è una cosa che riguarda anche il suo corpo: come hai vissuto la tua femminilità come madre di ben 10 figli?
Donatella: Sicuramente il “sì alla vita” è dovuto ad una risposta che abbiamo dato attraverso un cammino di fede, a1 progetto che Dio aveva sulla vita di ciascuno di noi. Perché quando ci siamo conosciuti e quando ci siamo sposati, non avevamo in mente di avere 10 figli, più due che sono già in Cielo. Anzi all’inizio ci siamo sposati perchè io ero già incinta. Il discorso quindi non è quello di disporre della vita come nostro desiderio, ma appunto di desiderare di fare la volontà di Dio, ed essere fiduciosi che Dio lavora per la nostra felicità. Mi ricordo benissimo che dopo il primo figlio ho detto basta. Assolutamente io non ne volevo più, perché ero rimasta traumatizzata da tante difficoltà. Infatti il secondo è arrivato dopo 3 anni nei quali abbiamo dovuto maturare ancora. Come potevamo negare a Dio la possibilità che nascesse un altro figlio? Non è che dopo il secondo pensavamo di arrivare a 10. Uno dice 10 figli: sembrano tanti, ma arrivano uno alla volta. Per cui anche l’organizzazione interna familiare va avanti con uno alla volta. Un tassello alla volta. Se ti eri organizzata con tre quando arriva il quarto ti devi organizzare di nuovo. Devi riorganizzare gli spazi, riorganizzare gli armadi, riorganizzare tutto. Andando avanti è maturata anche la scelta di smettere di lavorare, perchè ho realizzato che non aveva senso offrire il mio lavoro per il datore di lavoro piuttosto che dedicarlo a servizio della vita che nasceva e cresceva.
E’ per questo che io ritengo che la maggiore espressione della femminilità per una donna sia la maternità perché il dare la vita ti dà la vita, per cui, più vita dai più vita hai, e viceversa più vita hai più vita dai. E’ una cosa che se ricevi vita da Dio tenendoti continuamente legato a Dio in un cammino di fede, ascoltando la parola di Dio, facendo una vita cristiana legata ai sacramenti, legata a una comunità, legata a persone che condividono con te questa scelta, riesci anche a far fronte a tante obiezioni a tante forze che ti vengono contro nella società. Ho vinto tante paure grazie alla fede e alla Chiesa. Perché la Chiesa è l’unica che sostiene la famiglia. Mi ricordo di tante paure vissute durante gli anni. La trepidazione negli ultimi giorni di gravidanza prima del parto, la paura che qualcosa andasse storto. E lì serve davvero 1’aiuto e la forza della Provvidenza che il Signore ti dà.
In questo senso ho una grande considerazione della femminilità. Ritengo che per una donna la più alta cosa che possa fare è essere co-creatrice con Dio. Mettere al mondo una vita è una cosa veramente stupenda. E’ una bellezza di cui tante volte non si ha neanche la coscienza. Guardare alla famiglia è come guardare un quadro che è stato fatto in tanti anni. Come gli affreschi delle chiese di una volta, che sembrano fuori dalla concezione del tempo. Se guardi al dipinto vedi tanti tasselli che a uno a uno non vogliono dire assolutamente niente, come in famiglia perché ma
gari hai un momento di crisi nel matrimonio, un momento di arrabbiatura con i figli, una giornata che ti va storta, che non arrivi a fine mese, che non sai come dar da mangiare ai tuoi figli, tasselli piccoli che o ti fanno arrabbiare o non ti dicono niente e rimani lì…però messi tutti assieme, guardandoli nella loro storia ti rendi conto che è una tela stupenda, che non ho tessuto io ma a cui io ho detto sì, solo sì, ho detto sì alla vita. Per questo sono sempre più certa che l’identità cristiana sia dare la vita, dare se stessi.