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Questo mese, per la Festa di tutti i Santi e la Commemorazione dei defunti, ci offre la necessaria riflessione sul fine ultimo della nostra vita: dalla morte alla Vita.
Così scrive S. Giovanni apostolo: “Carissimi, vedete quale grande amore ci ha dato il Padre, di essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente. La ragione per cui il mondo non ci conosce è perché non ha conosciuto Lui. Carissimi, fin d’ora noi siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando Egli si sarà manifestato, noi saremo simili a Lui, perché Lo vedremo così come Egli è. Chiunque ha questa speranza in Lui, purifica se stesso come Egli è puro”. (I Gv. 3,1-2)
E, sempre Giovanni, nell’Apocalisse dice: ‘Dopo ciò apparve una moltitudine immensa che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua. E tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide e portavano palme nelle mani e gridavano a gran voce: “La salvezza appartiene al nostro Dio seduto sul trono e all’Agnello”. (Ap. 9, 10)
Questa visione di una ‘moltitudine immensa’, che passa sotto i nostri occhi, a prima vista può sembrarci esagerata, se consideriamo con superficialità, secondo il nostro povero punto di vista, quanto ci sembrino pochi coloro che hanno a cuore una vita vissuta con la dignità di quella moltitudine. Facile anche solo vedere un’umanità per lo più indifferente a quello che l’attende dopo la morte!
Entrando nei cimiteri, in questi giorni, si ha come l’impressione, per molti, di una fugace visita, che vuole certamente essere ricordo di chi era tra noi, ha vissuto e condiviso tutto con noi; e, per chi ha vissuto gomito a gomito con amore, la morte appare un assurdo, incomprensibile distacco da chi ora non c’è più… ma, per gli uni e per gli altri, vi è la consapevolezza, che tutto ciò deve essere …per un momento, poi… la vita continua!
Dovremmo sapere tutti che la vita non è un dono qualsiasi, ma è il Dono di Dio per eccellenza, che ha sicuramente un futuro nell’eternità. Vivere dovrebbe essere, nella coscienza di tutti, camminare verso quel giorno quando finirà la nostra esperienza terrena, ma inizierà quella con Dio e la ‘moltitudine’ di cui parla Giovanni.
Se c’è una stoltezza inammissibile in tanti è quella di ‘vivere’ senza pensare a ciò che ci attende.
Mentre per il credente la saggezza è vivere preparandosi per trasferirsi alla sua vera Casa, il Cielo: l’esistenza terrena può essere più o meno lunga, ma alla fine si sa di tornare a Casa, dove il Padre ci attende.
È dunque giusto e sapiente, in questa Solennità dei Santi e nella Commemorazione dei nostri defunti, quando, chinandoci sopra le tombe dei nostri cari, contempliamo il severo Mistero della morte, che è di tutti, interrogarci su ciò che ci attende dopo…
Non è possibile che tutto di noi finisca li, sotterrato sotto una manciata di terra. Come non è possibile possa finire nel mesto ricordo di un momento, il vincolo di amore che ci ha uniti in vita con chi ora non è più tra noi. Non ha senso costruire ‘qui’ un amore, che non abbia dimensioni di eternità, anche se c’è chi considera la vita solo come ‘un diario’ da affidare a chi resta e non come il prologo della vita eterna.
La ricerca del ‘senso’ della vita è un percorso a volte lungo e accidentato, ma soprattutto assolutamente personale, che chiama in causa ogni singolo uomo, che non deve però essere mai lasciato solo in questo cammino: la preghiera, l’amicizia sincera lo possono sempre sostenere…
La vita – credo tutti dovremmo.’avvertirlo’ nell’esperienza quotidiana – è una seria responsabilità. Pensiamo alla fatica di chi cerca di crescere bene, secondo i disegni di Dio: la fatica quotidiana di una mamma in casa; la fatica di un padre di famiglia, per essere sostegno morale e materiale per i suoi cari; la fatica della ‘ricerca’ nei giovani e degli educatori che li affiancano; la fatica di un missionario, di un prete, di una suora che si sono consacrati per intero a Dio; la fatica dei malati nell’accettazione della sofferenza.
È l’esperienza del ‘sentirsi’ pellegrini sulla terra, in mezzo a tante difficoltà e incognite, puntando diritti là dove Dio vuole si arrivi: la santità, che domani darà il diritto di partecipare alla `moltitudine’, descritta da Giovanni, ‘avvolti in candide vesti, portando palme nelle mani e gridando a gran voce’, ciò in cui sempre si è creduto: ‘La salvezza appartiene al nostro Dio e all’Agnello’.
Forse alcuni provano un certo disagio di fronte alla parola ‘SANTITÀ’, ma i nostri fratelli nella fede si definivano `santi’, solo perché erano consapevoli di appartenere a Chi è la Santità: Dio. “Tutti i fedeli – afferma il Concilio – di Qualsiasi stato o grado, sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità… I coniugi e genitori cristiani, seguendo la propria via, devono con costante amore sostenersi a vicenda nella grazia per tutta la vita e istruire nella dottrina cristiana e nelle virtù evangeliche la prole che amorosamente hanno accettato da Dio. Così infatti offrono a tutti l’esempio di un amore instancabile e generoso, edificando il fraterno consorzio della santità” (L.G. 41).
Credo che tutti noi, in questi giorni in particolare, andremo a trovare i nostri cari che sono tornati a Dio. Troveremo coloro che hanno condiviso con noi la vita, troveremo tanti, ma tanti, amici, con cui abbiamo cercato di dare il vero ‘senso’ alla nostra esistenza. Non sono ricordi che solo per un momento riallacciano rapporti: i nostri cari, i nostri amici non sono perduti… hanno solo cambiato dimora! E ora, che sono in Cielo – a Dio volendo – continuano ad ‘esserci presenti’ e ci offrono un amorevole consiglio, che non mentisce più: ‘SIATE SANTI!’.
Cosi don Tonino Bello pregava Maria SS.ma, pensando alla morte:
“Quando giungerà anche per noi l’ultima ora,
e il sole si spegnerà sui barlumi del crepuscolo,
mettiti accanto a noi perché possiamo affrontare la morte.
E un’esperienza che hai fatto con Gesù,
quando il sole si eclissò e si fece gran buio sulla terra.
Questa esperienza ripetila con noi.
Piantati sotto la nostra croce, sorvegliaci nell’ora delle tenebre,
Infondici nell’anima affaticata la dolcezza del sonno.
Se tu ci darai una mano, non avremo più paura di lei…
Anzi l’ultimo istante della nostra vita
lo sperimenteremo come l’ingresso nella cattedrale della luce
al termine di un lungo pellegrinaggio, con la fiaccola accesa.
Giunti sul sagrato, dopo averla spenta, deporremo la fiaccola.
Non avremo più bisogno della luce della fede, che ha illuminato il cammino. Oramai saranno gli splendori del tempio
ad allargare di felicità le nostre pupille”.
E vorrei ancora aggiungere una breve riflessione di Paolo VI sui defunti:
“Vi invitiamo oggi ad uscire con la memoria dal mondo dei vivi ed a fare, come è costume in questo mese, una visita al mondo dei nostri cari defunti, a tutta l’umanità trapassata dalla scena del tempo a quella dell’esistenza fuori del tempo. Visitando i cimiteri ci fa riflettere alla inesorabile caducità della vita presente; ed è questa una formidabile lezione anche se l’effetto pratico può essere ambiguo, stimolando in chi non riflette un’ansia maggiore di vivere la vita presente, ma crescendo invece nei credenti la sapienza per il buon uso di ogni valore, del tempo durante la nostra effimera attuale giornata terrena. É una scuola di alta filosofia questa sosta sui sepolcri umani.
Anche per due altre ragioni: per compiere un dovere di memoria e di riconoscenza verso chi ci ha lasciato un’eredità, quella della vita specialmente, e poi tante altre, dell’amicizia, della cultura, del sacrificio forse. Dimenticare non è umano, non è saggio.
L’altra ragione perché la memoria dei defunti non è soltanto una
rimembranza, è una celebrazione della loro sopravvivenza, dell’immortalità della loro anima, anche se tanto velata di mistero; è un contatto con una comunione viva e commovente con coloro i quali ‘ci hanno preceduti con il segno della fede e dormono il sonno della pace’.
In Cristo poi li possiamo in qualche modo raggiungere, i nostri morti, che in Lui sono vivi. In Cristo continua la CIRCOLAZIONE DELL’AMORE. La nostra vita ‘ecco, io vi dico un mistero’ (S. Paolo ai Corinti) riprenderà. Ora si trova in una fase di dissociazione che disintegra il corpo, e lascia superstite l’anima, ma questa è priva dello strumento naturale per le sue facoltà normali. Un giorno, se qui siamo inseriti in Cristo, il nostro corpo risorgerà, ricomposto, perfetto e felice. Non è vano pensare così: è vero, è pio, è consolante. Lo sguardo del passato si volge al futuro, verso l’aurora del ritorno di Cristo. Per questo riflettiamo e preghiamo per i nostri defunti e, ricordando ciò che ci attende, preghiamo per noi vivi”.
[Fonte: www.vescovoriboldi.it]