MADRID, giovedì, 24 giugno 2010 (ZENIT.org).- “Andare contro i simboli dei valori che modellano la storia e la cultura di un popolo è lasciarlo indifeso di fronte ad altre offerte culturali, non sempre positive, e accecare le fonti fondamentali dell'etica e del diritto che si sono mostrate feconde nel riconoscimento, nella promozione e nella tutela della dignità della persona”.
Lo segnala una dichiarazione della Commissione Permanente della Conferenza Episcopale Spagnola (CEE), pubblicata in occasione della risoluzione, il 30 giugno prossimo, del Tribunale Europeo dei Diritti Umani sul ricorso presentato dall'Italia e appoggiato da altri Paesi sul ritiro del crocifisso dalle aule scolastiche.
I Vescovi della Commissione hanno sottolineato l'importanza dell'esposizione pubblica dei simboli religiosi nelle scuole per poter trasmettere la propria identità e i propri valori.
“Le società di tradizione cristiana non dovrebbero opporsi all'esposizione pubblica dei loro simboli religiosi, in particolare nei luoghi in cui vengono educati i bambini”, segnala la dichiarazione.
“In caso contrario, queste società potranno difficilmente arrivare a trasmettere alle generazioni future l'identità e i valori che appartengono loro”.
“Diventerebbero società contraddittorie che respingono l'eredità spirituale e culturale in cui affondano le proprie radici e si chiudono la via del futuro”, aggiunge il testo.
La dichiarazione della Commissione permanente della CEE si unisce a quelle di altre Conferenze Episcopali, personalità e istanze statali e sociali di tutta Europa che hanno levato la voce in difesa dell'esposizione pubblica del crocifisso anche nelle aule.
I Vescovi spagnoli hanno sottolineato l'importanza della questione per le convinzioni religiose dei popoli e per le tradizioni culturali dell'Europa.
“Proprio grazie al cristianesimo, l'Europa ha saputo affermare l'autonomia dei campi spirituale e temporale e aprirsi al principio della libertà religiosa, rispettando sia i diritti dei credenti che quelli dei non credenti”, hanno constatato, indicando che “ciò si vede più chiaramente ai giorni nostri, quando altre religioni si diffondono tra di noi al riparo di questa realtà”.
Per i presuli, “la presenza di simboli religiosi cristiani negli ambiti pubblici, in particolare la presenza della croce, riflette il sentimento religioso dei cristiani di tutte le confessioni e non vuole escludere nessuno”.
“Al contrario, è espressione di una tradizione alla quale tutti riconoscono grande valore e un ruolo catalizzatore nel dialogo tra le persone di buona volontà, e come sostegno per quanti soffrono e per i bisognosi, senza distinzione di fede, razza o Nazione”.
La dichiarazione ricorda anche che “nella cultura e nella tradizione religiosa cristiane la croce rappresenta la salvezza e la libertà dell'umanità”.
“Dalla croce nascono l'altruismo e la generosità più depurati, così come una solidarietà sincera offerta a tutti, senza imporre niente a nessuno”.
“Il diritto alla libertà religiosa esiste e si afferma sempre più nei Paesi dell'Europa – ricorda la Commissione –. In alcuni di loro si permettono esplicitamente altri simboli religiosi, per legge o per la loro accettazione spontanea”.
“Quanto ai simboli, esiste in Europa una varietà di leggi e una diversa evoluzione sociale e giuridica positiva che deve essere rispettata nel contesto di un giusto rapporto tra gli Stati e le istituzioni europee”.
La dichiarazione termina affermando che “solo in un'Europa in cui siano rispettate allo stesso tempo la libertà religiosa di ciascuno e le tradizioni di ogni popolo e Nazione si potranno sviluppare relazioni adeguate tra le religioni e i popoli, in giustizia e libertà”.
Il “caso del Crocifisso”
Il caso Lautsi, o “caso del Crocifisso”, è stato rimesso alla Gran Camera del Tribunale Europeo dei Diritti Umani dopo che il Governo italiano ha presentato ricorso, il 28 gennaio scorso, contro la sentenza emessa dalla Seconda Sezione del Tribunale il 3 novembre 2009.
In quella prima decisione, il Tribunale stabiliva che la presenza del crocifisso nelle aule è “contraria al diritto dei genitori di educare i propri figli in linea con le proprie convinzioni e al diritto dei bambini alla libertà religiosa”, perché gli alunni italiani si sentirebbero “educati in un contesto scolastico caratterizzato da una religione determinata”.
Il Tribunale continuava affermando che la presenza del crocifisso potrebbe essere “emotivamente perturbatrice” per il figlio della signora Lautsi (la querelante), e, aspetto più importante, che la sua esibizione potrebbe non “promuovere il pensiero critico negli alunni”, né “servire il pluralismo educativo” essenziale per preservare una “società democratica”.
Il Tribunale concludeva affermando che si trattava di una violazione dell'articolo 2 del Protocollo numero 1 (diritto all'istruzione) e dell'articolo 8 (libertà religiosa) della Convenzione Europea dei Diritti Umani.
Questa decisione è stata duramente criticata da esperti politici e giuristi di vari Stati europei come un'imposizione del laicismo.
In concreto, si è riaffermato che la Convenzione Europea dei Diritti Umani non ha mai chiesto che lo Stato debba “osservare la neutralità confessionale nel contesto dell'istruzione pubblica” o di qualsiasi altro settore pubblico.
Di fatto, vari Stati membri del Consiglio d'Europa sono Stati confessionali con una religione ufficiale o un riconoscimento di Dio nelle loro leggi e Costituzioni.
Concedendo il 2 marzo scorso la revisione davanti alla Gran Camera della decisione di novembre, il Tribunale ha riconosciuto che quella decisione solleva gravi problemi legali e deve essere riconsiderata.
Il 29 aprile, il Governo italiano ha presentato il suo memorandum al Tribunale sostenendo che i giudici di Strasburgo non hanno la competenza per imporre il laicismo a un Paese, in particolare all'Italia, Nazione caratterizzata dalla maggioritaria pratica religiosa e identità cattolica.
La decisione del Tribunale, dopo l'udienza pubblica che si celebrerà il 30 giugno, verrà pubblicata alla fine dell'anno.