di Chiara Santomiero
ROMA, domenica, 20 giugno 2010 (ZENIT.org).- Maiouad, afgano di 15 anni, morto sull’autostrada verso Calais mentre cercava di raggiungere la Gran Bretagna nascosto in un camion il 15 dicembre 2009. Li, Huang, Xiao, annegati con altri 9 cinesi nel mare vicino Ragusa nel marzo del 2005. Sarah, Faduma, il piccolo Mamadou e altri 7 uomini da vari Paesi dell’Africa subsahariana, annegati per la collisione della loro imbarcazione contro le rocce di Barbate, in Spagna, il 29 giugno 2009.
I nomi smascherano la neutralità delle cifre e ricordano che si sta parlando di persone, morte nel tentativo di raggiungere una vita più sicura e dignitosa. Per questo, alla veglia ecumenica “Morire di speranza”, organizzata lo scorso 17 giugno da Comunità di Sant’Egidio, Associazione Centro Astalli, Caritas italiana, Fondazione Migrantes, Federazione Chiese evangeliche in Italia e Acli per fare memoria delle vittime dei viaggi della migrazione verso l’Europa, sono stati ricordati dei nomi e non semplicemente dei numeri.
L’iniziativa, giunta al quarto appuntamento, si è tenuta presso la chiesa di S. Maria in Trastevere a Roma e ha aperto le celebrazioni in occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato 2010, che si celebra questa domenica con il titolo “Home – Un luogo sicuro per ricominciare”.
“E’ importante – spiega Daniela Pompeo della Comunità di Sant’Egidio – fare non solo memoria di tutte queste vittime, di quelle di cui abbiamo potuto ricostruire i nomi e i percorsi e di quelle di cui non sappiamo nulla, ma anche svegliare le coscienze su quanto accade. Come cristiani e come genere umano”.
“Quelle che ricordiamo”, ha aggiunto, “sono persone che fuggono dai loro Paesi per trovare una speranza e di questa speranza muoiono”.
Negli ultimi 10 anni, sono state 14.788 le persone morte o disperse nel tentativo di raggiungere l’Europa; di 6182 di loro è ignota persino la nazionalità. Le altre di cui è nota provenivano per la maggior parte dall’Africa (5947), e poi da Asia (1743), Europa (820) e America Latina e Caraibi (95).
Di queste 14.788 persone, 4772 sono morte cercando di raggiungere l’Italia; 1059 nel solo 2009.
“Le politiche del Governo italiano di rinvio forzato dei migranti verso la Libia – spiega Franca Di Lecce, del Servizio rifugiati e migranti della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia (Fcei) – hanno aggiunto ulteriori elementi di difficoltà: quasi 1000 persone che avevano lasciato il Paese africano, luogo di transito verso l’Europa dopo viaggi pericolosissimi e a volte durati anni, sono state rispedite indietro come pacchi”.
La Commissione delle Chiese per i migranti in Europa, che riunisce evangelici, anglicani e ortodossi, ha scelto, nell’ambito dell’anno europeo dedicato alla lotta contro la povertà e l’esclusione sociale, uno specifico impegno per le migrazioni e i rifugiati e la sensibilizzazione dell’opinione pubblica sul tema.
Questa domenica 20 giugno è stato chiesto alle Chiese di pregare per i rifugiati nei culti e nelle liturgie celebrate.
“C’è stato un drastico calo delle domande dei richiedenti asilo, ma a questo dato non è corrisposto il miglioramento della situazione dei Paesi d’origine dei migranti. Vuol dire che è solo diventato più difficile ancora venire in Europa e in Italia, con una grave violazione del diritto d’asilo”, ha spiegato la Di Lecce.
Il “Tavolo Nazionale Asilo” promosso dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), che riunisce le associazioni che in Italia si occupano di rifugiati, ha lanciato l’appello “I diritti umani non si respingono” per chiedere “che possa aprirsi in Italia una nuova stagione per l’asilo e la protezione di chi rischia la morte, la tortura ed altri abusi se lasciato fuori dalle porte d’Europa”.
“Se non si vuole rinunciare ai principi fondamentali di libertà e di giustizia su cui la stessa Unione Europea si fonda – afferma l’appello –, il diritto di accesso alla protezione va rimesso al centro delle politiche d’asilo in Italia e in Europa”.
“Le pratiche di rinvio forzato e di collaborazione bilaterale con Paesi terzi senza alcuna garanzia per i diritti umani, messe sinora in campo dall’Italia, dovrebbero essere condannate esplicitamente dalle istituzioni europee e non più replicate”.
La percentuale delle persone morte nel tentativo di raggiungere l’Italia, calcolata sul numero totale degli arrivi, a causa della diminuzione degli arrivi seguita agli accordi tra Italia e Libia, ha subito un brusco aumento.
Diminuendo ancora gli arrivi, la percentuale è destinata a scendere, ma attenzione, avvisano le associazioni che hanno organizzato la veglia, la massa dei fuggiaschi si riverserà verso altre frontiere e quindi la percentuale dei morti, con una macabra compensazione, si alzerà altrove.
“La gente continua a morire – ha spiegato padre Giovanni La Manna, del Centro Astalli-Jesuit Refugee Service – nel deserto, in altri bracci di mare, nascosti sotto i camion, nel tunnel tra Francia e Inghilterra”.
Per quanto riguarda l’Italia, “essendo impossibile arrivare dalla Libia i migranti entreranno attraverso nuove rotte, più lunghe, pericolose e costose, giungendo a Napoli, in Puglia e Calabria attraverso Turchia e Grecia o viaggiando in aereo con documenti falsi”.
“Per questo – ha proseguito padre La Manna – cerchiamo di tenere desta l’attenzione e preghiamo insieme Dio affinché illumini soprattutto quanti governano”.
“Anche per quei pochi che trovano asilo in Italia”, ha sottolineato, “c’è bisogno di risposte che assicurino un livello di vita dignitoso”.
Recentemente il Centro Astalli ha inaugurato i nuovi locali nel centro di accoglienza “La Casa di Giorgia”, che oggi può accogliere fino a 35 donne richiedenti asilo e rifugiate, sole o con bambini.
“La provenienza delle circa 800 ospiti che sono state accolte in 10 anni – ha riferito padre La Manna – evidenzia le crisi umanitarie che si sono susseguite: la guerra in Kosovo, la persecuzione dei curdi in Medio Oriente e le ormai decennali guerre civili in Eritrea e Somalia. Sbarrare le frontiere finisce con il privare di tutela i più deboli”.
“La Chiesa – ha affermato nella sua omelia monsignor Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, che ha presieduto la veglia di S. Maria in Trastevere – chiama tutti a prendersi le proprie responsabilità”.
“Milioni di persone nei Paesi in via di sviluppo ripetono la storia evangelica del povero Lazzaro, aspirando a sfamarsi delle briciole che cadono dalla mensa eccessivamente imbandita dei padroni del mondo. Anzi, non capita raramente che incorrano nel ‘reato di clandestinità’ se per caso riescono ad entrare nella casa del ricco senza essere stati invitati”.
Occorrono soluzioni che “non siano solo quelle di un inasprimento delle sanzioni contro gli irregolari e di una chiusura più ermetica delle frontiere”.
Rientrano in queste soluzioni “gli interventi che vanno al di là delle dichiarazioni verbali per lo sviluppo dei Paesi di partenza”. In questo modo si potrà “promuovere una lotta senza quartiere ai trafficanti di esseri umani, una programmazione razionale dei flussi di ingresso regolare, una maggiore disponibilità a considerare i singoli casi che richiedono interventi di protezione umanitaria oltre che di asilo politico”.
Va tutelato, infine “il diritto di ricongiungimento familiare, garanzia di coesione e stabilità per i singoli e per la società”.
In ogni caso, è necessaria “una paziente e costante formazione delle mentalità e delle coscienze”, rispetto alla quale occorre “divenire sempre più coscienti come cristiani dell’enorme forza della testimonianza”.
“Sappiamo che i giovani della nostra età in al
tri Paesi – ha scritto un gruppo di richiedenti asilo eritrei espulsi dall’Italia verso la Libia nel giugno 2009 in una lettera alla Comunità di Sant’Egidio – passano la loro vita studiando, sviluppando le loro potenzialità, si divertono e si innamorano, raggiungendo il successo”.
“Noi invece – prosegue la lettera – sprechiamo la nostra vita imprigionati in un mondo orribile tra preoccupazioni, torture, sofferenze e sconfitte. Veramente ci pesa quanto la nostra situazione sia ignorata dall’opinione pubblica che ci lascia soffrire. Ora non abbiamo casa, siamo perduti, soli, reietti e bisognosi. Stiamo cercano qualcuno che ci possano liberare da questa nube che ci fa soffrire rimettendoci in corsa”.
“Perciò – conclude la lettera – attendiamo con speranza il vostro aiuto perché possiate aiutarci a cambiare la nostra vita e renderci cittadini del mondo migliori e più responsabili”.