Ripensare la pastorale in chiave missionaria

Il Cardinal Vallini al convegno ecclesiale diocesano a Roma

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di Chiara Santomiero

ROMA, venerdì, 18 giugno 2010 (ZENIT.org).- “La questione pastorale di fondo resta l’incontro con Cristo e dunque la riscoperta della fede”. Lo ha affermato il Cardinale vicario di Roma, Agostino Vallini, nel suo intervento al convegno ecclesiale diocesano “Si aprirono loro gli occhi, lo riconobbero e lo annunziarono. L’Eucarestia domenicale e la testimonianza della carità”, tenutosi il 16 giugno nella Basilica romana di San Giovanni in Laterano.

Come hanno evidenziato molte delle relazioni inviate dalle parrocchie romane in occasione del convegno, si è di fronte a un “forte analfabetismo religioso” e alla “perdita dell’identità cristiana e dell’appartenenza ecclesiale”, così che la religione è sempre più spesso vissuta come “fatto privato”.

C’è alla base un “problema formativo” e “la fede esplicita oggi non può essere presupposta neppure nella maggioranza dei battezzati”.

Secondo il Cardinal Vallini, occorre quindi “ripensare la pastorale, parrocchiale e non, in chiave missionaria ripartendo dall’evangelizzazione attraverso la Parola di Dio”.

Per quanto riguarda in particolare la liturgia domenicale, ha affermato, “la maggioranza dei fedeli conosce molto poco la fede eucaristica e i segni liturgici”. “La formazione alla fede eucaristica è la reminiscenza, più o meno sbiadita, del catechismo in preparazione alla prima Comunione”.

Una catechesi eucaristica

“Dobbiamo quindi impegnarci – ha ribadito il porporato – in un catechesi programmata e ben preparata che, partendo dal riproporre la fede in Gesù Cristo, offra le verità essenziali del mistero eucaristico”.

In questa prospettiva, occorre valorizzare gli ordinari itinerari di catechesi e di formazione per le varie fasce d’età, e prevedere momenti specifici come esercizi spirituali, settimane eucaristiche e l’adorazione eucaristica almeno settimanale.

Più soluzioni sono verificabili in relazione alle persone che vanno in chiesa solo la domenica.

“All’inizio di ogni anno pastorale – ha proposto -, si potrebbero dedicare nel mese di ottobre 15 minuti prima della Messa ad una catechesi eucaristica che faccia entrare gradualmente nella comprensione dei segni liturgici”. Allo stesso modo, si possono “utilizzare le omelie di un mese, o dei tempi forti dell’anno liturgico, a partire dai testi del giorno”.

“Aprire le menti e i cuori al mistero dell’Eucarestia – ha affermato il Cardinale vicario – deve diventare un’attenzione costante della pastorale ordinaria”. Non ci si può, infatti, “rassegnare a che la maggioranza dei fedeli non viva coscientemente il mistero per eccellenza, culmine e fonte della vita della Chiesa”.

In questo potrebbe soccorrere anche la predisposizione, da parte del Vicariato di Roma, di un “catechismo eucaristico”.

La cura della celebrazione

Insieme alla catechesi, ha proseguito, “grande cura è da mettere nella celebrazione stessa, che in un contesto in cui molti partecipanti, soprattutto occasionali, sono carenti di formazione è una proposta di fede”.

Occorre proporsi dei traguardi: il primo è assicurare che “ogni celebrazione eucaristica sia una vera esperienza di preghiera, educando i fedeli al senso del sacro, alla dimensione contemplativa e alla necessità del silenzio e del raccoglimento per entrare nel mistero”.

Né “la sola presenza fisica in chiesa garantisce che si preghi”, infatti, né “se l’assemblea è distratta e rumorosa può entrare d’incanto in un clima di preghiera”.

Bisogna inoltre “educare il popolo a sentirsi protagonista della preghiera, aiutandolo a valorizzare le azioni che gli competono come assemblea sacerdotale: i gesti, il canto, la preghiera universale, il rito delle offerte, la processione alla comunione”.

Un secondo traguardo è la cura più attenta alla liturgia della Parola, la quale “non può essere affidata al primo che capita, ma deve essere proclamata da chi è in grado di far riconoscere che quella Parola ha una forza intrinseca”.

Allo stesso modo, l’omelia “richiede che la Parola sia prima interiorizzata, escludendo l’improvvisazione, e abbia un linguaggio e contenuti diretti al bene concreto di quella comunità, in grado di toccarne la vita”.

“Per qualificare e rendere attraenti le celebrazioni domenicali”, poi, “occorre avvalersi di buoni collaboratori, cioè ministranti, cantori, animatori liturgici, che devono essere formati sia alla retta esecuzione di quanto sono chiamati ad eseguire sia a vivere quanto eseguono”.

Il giorno del Signore e il giorno dell’uomo

Legata alla celebrazione eucaristica è la santificazione della domenica come giorno del Signore, “diventata oggi più difficile per l’insorgere di stili di vita indotti soprattutto dal consumismo” e da un sentire collettivo per il quale “la domenica è percepita da molti come l’ultimo giorno del week-end, mentre per altri è un giorno soggetto alla dura servitù del lavoro che impone orari e ritmi che annullano il giorno festivo”.

E’ possibile, secondo Vallini, “indurre un’inversione di tendenza” con “piccole scelte che motivino e incoraggino stili di vita alternativi”. In questo modo la domenica potrà tornare ad essere considerata non solo come “il giorno del Signore, nel quale ci si incontra con i fratelli di fede per celebrare la vita e lodare Dio”, ma anche come “il giorno della famiglia e nel quale curare le relazioni interpersonali”.

Sarebbero anche da promuovere, secondo il Cardinale vicario, “giornate comunitarie distensive e formative, riscoprendo e godendo le bellezze del creato, educando a una maggiore sobrietà dei consumi, con scelte coraggiose che contrastino la mentalità consumistica”.

“La domenica giorno del Signore – ha affermato Vallini – diventa così anche il giorno dell’uomo, che con il primato di Dio afferma anche quello della persona umana e della sua dignità, che in Dio ha la sua origine”.

Eucarestia e testimonianza della carità

“Che ne è della nostra Eucarestia dopo la celebrazione?”. E’ questa, per il Cardinal Vallini, la domanda che tutti i membri della comunità ecclesiale devono porsi dato “il collegamento obbligato tra testimonianza della carità ed Eucarestia”.

Infatti, “la carità, ridotta alla sola dimensione orizzontale e sociale è falsata e impoverita”, mentre essa è “amore condiviso innervato di fede”, sul modello della comunità descritta dagli Atti degli Apostoli.

“A guardare con realismo il contesto in cui viviamo, dobbiamo riconoscere che non mancano segnali forti di marcata divaricazione tra la fede dichiarata, anche da parte di chi partecipa all’Eucarestia domenicale, e la vita concreta”.

“Evidenti e gravi” sono per Vallini le controtestimonianze rappresentate dalla “continua pratica dell’aborto, gli abusi sessuali e le violenze morali, l’uso di droghe, il numero dei fallimenti matrimoniali, il tasso di litigiosità e intolleranza, le invidie e le gelosie, il disimpegno nell’assolvere i propri doveri, l’idolatria del denaro e del potere, lo sfruttamento dei prestatori d’opera, il disinteresse nei confronti dei poveri, degli immigrati, degli anziani – il cui numero a Roma cresce sempre più -, la speculazione sulle locazioni abitative, l’evasione fiscale”.

“La pastorale – ha sottolineato – deve mirare a far comprendere che la carità, che non è riducibile all’occasionale beneficenza è accoglienza dell’altro”.

E’ necessario “curare lo sviluppo umano e spirituale di cristiani e di famiglie cristiane autentiche e felici, il cui stile di vita sia improntato a quella ‘ospitalità del cuore’ che suscita emulazione”.

Occorrerà inoltre riflettere sulla capacità di animazione di gruppi dedicati alle attività caritative e, in particolare, delle Caritas parrocchiali, “istituzionalmente preposte ad un’azione pedagogica che faccia maturare tra la gente dei nostri quartieri la consapevolezza che vi è vita cristiana autentica solo quando ciascu
no potrà mostrare la sua fede operante per mezzo della carità”.

Carità e giustizia

“Il mistero dell’Eucarestia – ha sottolineato il Cardinal Vallini – ci spinge a un impegno coraggioso in ambiti di vita oggi emergenti mettendo in campo non soltanto interventi caritativi, ma una cultura alternativa che generi nel tempo atteggiamenti e comportamenti diffusi”.

Due, in particolare, gli ambiti segnalati: “l’accoglienza e l’integrazione sociale degli immigrati, che è cosa diversa dalla pacifica coesistenza della pluri-culturalità”, e “la carità intellettuale, vale a dire la carità ‘della’ e ‘nella’ verità che illumina le intelligenze, coniuga fede e cultura e si rende presente soprattutto nei luoghi di elaborazione del sapere”.

“Va trasmesso il principio che la carità è inseparabile dalla giustizia”.

La comunità ecclesiale è chiamata ad inculturare la fede e a mostrare con i servizi di carità che “la Chiesa parla alla città con la volontà di riparare in tanti casi alla giustizia negata, e offre il proprio contributo per una cultura in cui i poveri non sono fonte di problemi, ma persone meno provvedute e come noi titolari di diritti”.

“Prendendoci cura dei meno garantiti – ha affermato il Cardinale vicario – promuoveremo e favoriremo da cristiani-cittadini il bene comune e la pace sociale, stimolando le istituzioni pubbliche perché lo Stato sociale non subisca ingiusti ridimensionamenti e le fasce più deboli della popolazione non siano mortificate”.

In questo senso, “deve crescere la cultura del diritto, dell’uguaglianza e della giustizia sociale, lavorando pazientemente per superare le cause strutturali di ogni emarginazione sociale”.

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ZENIT Staff

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