di padre Pietro Messa*
ROMA, martedì, 15 giugno 2010 (ZENIT.org).- Inserita nelle celebrazioni per il 790° anniversario dal martirio dei frati Minori santi Berardo da Calvi, Pietro da San Gemini, Ottone da Stroncone, Accursio e Adiuto (1220-2010), la giornata di studio tenutasi l’11 giugno scorso è stata organizzata dalla Diocesi di Terni-Narni-Amelia in collaborazione con la Scuola Superiore di Studi Medievali e Francescani della Pontificia Università Antonianum.
Dopo i saluti del vescovo, mons. Vincenzo Paglia, e di altre autorità presenti, Isabelle Heullant Donat, dell’Università di Reims Champagne-Ardenne, ha illustrato I francescani e il martirio nel secolo XIII, mostrando la dimensione martiriale dell’apostolato minoritico. Infatti le agiografie presentano non solo il desiderio del martirio che animò san Francesco, ma anche quello dei suoi compagni, elaborando una ben precisa concezione del martirio. La cultura del martirio è ben presente in quel tempo, soprattutto nella liturgia e Francesco è animato dal desiderio del martirio di sangue, nel ben preciso contesto della predicazione ai saraceni.
Luciano Bertazzo, del Centro Studi Antoniani di Padova, da parte sua ha tenuto una relazione circa I protomartiri francescani tra storia e agiografia. Il titolo non esprime adeguatamente quanto sviluppato nell’intervento, essendo chiaro che l’incrocio tra storia e agiografia nelle fonti medievale è spesso strettamente correlato. Risulta più adeguato per la relazione un titolo come La traditio dei Protomartiri nella memoria francescana dal XIII al XV secolo. La bolla di Sisto IV Cum alias animas (7 agosto 1481) concede ai frati Minori di celebrare nelle loro chiese, il 16 gennaio, «publice et solemniter missas et officium de BB. Berardo, Petro, Othone, Accursio et Adiuto»: ricordando tra i molti miracoli avvenuti dopo la loro morte, il passaggio di s. Antonio dai canonici all’Ordine minoritico. La bolla è la conclusione di un lungo processo avviato nel 1220 con il martirio dei primi cinque frati a Marrakesh.
L’intervento ha ripercorso il lungo itinerario di questa traditio memoriae recepita con una certa difficoltà fin dalle origini nella reazione di Francesco stesso, come testimonia Giordano da Giano; velata successivamente nella mutata politica papale nei confronti dell’islam maghrebino, tesa a salvaguardare la presenza cristiana in quei territori posti sotto la dinastia almohade. Memoria quasi dimenticata nel momento che l’impegno missionario della Chiesa si volge verso i territori asiatici, agli inizi del Trecento, anche per l’impossibilità del recupero della Terra Santa definitivamente controllata dagli arabi dopo la caduta di S. Giovanni d’Acri (1291).
Memoria recuperata verso la metà del Trecento in un contesto di crescita del genere letterario delle compilationes, vivace in ambito non solo francescano. Due sono i testi che consacrano particolarmente la traditio memoriae: la Chronica XXIV generalium attribuita a frate Arnald de Serrant (1360 ca.) e il De conformitate di frate Bartolomeo da Pisa, composto negli anni ‘80 del XIV secolo e ufficialmente accolto nel capitolo generale di Assisi nel 1390. È una memoria che nel corso del XIV secolo si lega ad una santità diffusa nell’ordine, oltre alle tre figure ufficialmente canonizzate (Francesco, Antonio, Ludovico), costantemente ricordata perché collegata al passaggio del canonico agostiniano Fernando all’ordine minoritico con il nome di Antonio. La diffusione dell’agiografia antoniana ne ha mantenuto costante il ricordo.
Antonio Rigon, dell’Università degli Studi di Padova, ha illustrato La morte dei Protomartiri francescani e la vocazione di sant’Antonio. Favorita dal forte impatto emotivo provocato dall’arrivo delle reliquie dei primi martiri francescani in Portogallo (1220), la vocazione minoritica del canonico agostiniano Ferdinando di Martino che, entrato nel convento francescano di S. Antonio de Olivais di Coimbra, cambiò il proprio nome in Antonio e, ardendo dal desiderio di martirio, chiese di partire per il Marocco, è stata talora giudicata immatura e frutto di un fraintendimento della proposta evangelica di Francesco d’Assisi. In realtà la sete di martirio è solo una delle componenti della vocazione del santo che scaturì anche da inquietudini intellettuali, sdegno morale, personali propensioni mistico-contemplative in un contesto politico religioso fortemente turbato.
Del resto l’aspirazione a testimoniare la fede anche con il sacrificio della propria vita è comune a Francesco e alla prima generazione francescana. Tommaso da Celano torna più volte su questo aspetto; e Chiara, come Antonio, secondo alcune deposizioni rese nel corso del processo di canonizzazione, quando apprese «che a Marrochio erano stati martiriçati certi frati, epsa diceva che ce voleva andare». Gli è che nell’orizzonte religioso del primo Duecento, nel quale un posto centrale occupa l’idea di crociata, tra martirio e missione presso i Saraceni si stabilisce uno stretto legame. Dimostrando una straordinaria capacità di star dentro ai problemi del proprio tempo che imponeva un confronto con l’Islam, i Minori introdussero nella Regola un capitolo espressamente riguardante «coloro che vanno presso i Saraceni».
Nel passaggio dalla Regola non bollata alla Regola bollata e nei commenti a questo testo normativo si manifestano peraltro esigenze di “professionalità” e cautela nelle missioni. Si esorta a non cercare il martirio in sé, si insinuano dubbi sulla sua utilità, si sottolineano gli insuccessi; narra Bonaventura che «l’amico di Cristo [Francesco] cercava la morte per sé con tutte le forze e tuttavia non la trovava». Come Francesco anche Antonio aveva fallito e aveva visto vanificati i propositi di testimoniare la fede con il sangue.
Accanto al tema del martirio inappagato, nelle leggende antoniane compare sempre più anche quello della vita di penitenza del santo e della sua totale dedizione alla missione apostolica, considerata essa stessa martirio. Nel Trecento i tentativi di ricomposizione della memoria lacerata dell’Ordine si traducono anche nel recupero e nell’esaltazione dei santi e dei martiri. Se il ricordo dei frati mandati a morte in Marocco nel 1220 era rimasto fortemente ancorato alla figura di Antonio, nel XIV secolo, grazie alla Cronaca dei XXIV generali, la vicenda dei Protomartiri francescani è pienamente recuperata alla storia dell’Ordine, anche indipendentemente dal ruolo che essa ebbe nella vocazione minoritica di s. Antonio
Mary Melone, della Pontificia Università Antonianum, illustrando Il martirio nei Sermoni di sant’Antonio evidenzia che il tema del martirio, pur non essendo né molto ricorrente né particolarmente articolato, compare nei Sermoni di Antonio di Padova con due caratterizzazioni fondamentali: da una parte, Antonio tratteggia il significato del martirio in occasione delle feste di santi martiri, come Stefano, Pietro, Paolo o i santi Innocenti, individuando nel sacrificio, nei patimenti e nel dono della vita il compimento del loro rapporto con Cristo; dall’altra, il contesto per così dire ecclesiale in cui egli pone il riferimento ai martiri chiama in causa la sua visione della Chiesa: essi, infatti, compaiono frequentemente accanto agli apostoli, ai confessori della fede e alle vergini come uno degli ordini posti a suo fondamento. Pertanto, per collocare il tema il più possibile correttamente all’interno dei Sermoni, è proposta innanzitutto una rapida recensione delle sue occorrenze; in un secondo momento, poi, prendendo in esame le concordanze e le immagini che maggiormente ricorrono nella sua presentazione, ha fatto emergere il significato che Antonio attribuisce al martirio secondo quei tre livelli di lettura che strutturano i suoi sermoni, vale a dire secondo il sen
so allegorico, morale ed anagogico, con cui il martirio viene considerato in rapporto al cammino di conversione personale del cristiano, al suo vissuto di appartenenza alla Chiesa e, infine, alla sua tensione verso la pienezza della vita eterna.
Giuseppe Cassio, della Diocesi di Terni-Narni-Amelia, ha illustrato L’iconografia dei Santi Protomartiri ponendosi l’obiettivo di fare chiarezza sul tema tanto delicato quanto complesso della rappresentazione figurativa dei Protomartiri a partire dai primi esempi conosciuti, che risalgono al XIV secolo, sino alle recenti interpretazioni tra contemporaneità e adesione alle fonti. Partendo dal primo prezioso approccio di padre Jürgen Werinhard Einhorn (2004) che contiene una settantina di segnalazioni si è lavorato con maggiore determinazione nella ricerca di ulteriori testimonianze artistiche attraverso una capillare indagine nei conventi maschili delle famiglie francescane tra Italia, Spagna, Portogallo, Germania, Francia e Brasile. L’indagine ha permesso di accrescere notevolmente il catalogo iconografico dei Protomartiri aprendo così la strada allo studio e al confronto di tali immagini specificandone altresì l’iconologia nonché la funzione socio-culturale sia all’interno che all’esterno dell’Ordine.
Nell’ultimo intervento, Salvatore Barbagallo della Pontificia Università Antonianum ha affrontato il tema de La liturgia dei santi Protomartiri Francescani. Il Concilio Vaticano II nel ribadire la centralità che la Pasqua ha nel corso delle celebrazioni dell’anno liturgico propone il recupero del culto dei santi all’interno della prospettiva della centralità del mistero pasquale del Cristo: «Nel giorno natalizio dei santi infatti la Chiesa proclama il mistero pasquale realizzato in essi, che hanno sofferto con Cristo e con lui sono glorificati» (SC 104). Il legame stretto tra la morte del martire e la passione del Signore, motivo per cui il martire è stato il primo a ricevere il culto ecclesiale, lega il culto del martire sia alla celebrazione eucaristica – la morte del martire, sacrificio della propria vita, e la celebrazione dell’eucaristia, sacrificio rituale della morte di Cristo – sia alla comunità ecclesiale: il martire è membro della Chiesa, Sposa di Cristo. In questa prospettiva il suo sacrificio si manifesta come la risposta della Chiesa alla carità del suo divino Sposo: il sangue versato dal martire è il sangue della Chiesa. Nella seconda parte ha preso in esame la liturgia dei santi Protomartiri francescani, analizzando l’attuale eucologia presente nel Messale Francescano e nella Liturgia delle Ore, facendo un confronto con l’eucologia dei libri liturgici prima della riforma del Vaticano II al fine di tratteggiare il significato teologico, cristologico ed ecclesiale del loro culto.
Le Conclusioni sono state fatte dal prof. Franco Cardini dell’Istituto Italiano di Scienze Umane di Firenze il quale ha posto la domanda circa il motivo dei diversi esiti della predicazione esplicita dei frati Minori giunti in Marocco e dell’incontro di Francesco con il Sultano: mentre i primi giunsero a uno scontro culminato nel martirio, nel secondo caso ci fu rispetto reciproco. Al termine dell’incontro è stato proiettato il documentario La vocazione di Antonio prodotto da San Polo Productions e Rai Cinema, di Salvatore Braca e Andrea Cherubini per la regia di Andrea Cherubini. In occasione del convegno è stata presentata anche la nuova guida turistico-spirituale di G. Cassio, Oltre Assisi. Con Francesco nella Terra dei Protomartiri attraverso l’Umbria Ternana, Velar-ElleDiCi, Gorle 2010.
[Gli Atti saranno pubblicati dalle edizioni “Centro Studi Antoniani”]
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*Padre Pietro Messa è Preside della Scuola Superiore di Studi Medievali e Francescani della Pontificia Università Antonianum di Roma