ROMA, lunedì, 14 giugno 2010 (ZENIT.org).- Mentre molti cristiani fuggono dall’Iran, sia per motivi politici, che per motivi religiosi, la comunità cristiana di quel Paese è a rischio estinzione, secondo Camille Eid, giornalista e osservatore delle Chiese in Medio Oriente.
Il giornalista ha parlato con il programma televisivo “Where God Weeps”, realizzato da Catholic Radio and Television Network (CRTN), in collaborazione con Aiuto alla Chiesa che soffre, in questa intervista in cui spiega come può essere la vita di un cristiano che vive in Iran.
L’Iran è un Paese musulmano per più del 99% della sua popolazione, dove l’Islam è religione di Stato. Le radici della Chiesa in Iran sono molto antiche e risalgono al II secolo. Il Cristianesimo è effettivamente la religione più antica dell’Iran?
Eid: No, abbiamo altre due comunità che sono più antiche del Cristianesimo. La prima è la comunità zoroastriana, che risale a secoli prima dell’arrivo del Cristianesimo e dell’Islam. La seconda è la comunità ebraica.
La comunità zoroastriana è di circa 20.000 persone, mentre quella ebrea è tra le 20.000 e le 35.000 unità. Queste due comunità sono più antiche di quella cristiana.
Oggi l’Iran è per più del 99% musulmano. In che misura l’Islam permea la vita quotidiana?
Eid: Per le strade di Tehran, o in qualunque parte del Paese, sono visibili ritratti di martiri, dell’Ayatollah, di quello precedente, Khomeini, e di quello attuale, Khamenei. Se si usa una cabina telefonica si sente la voce dell’Imam Hussein dare le istruzioni.
Se si alza il telefono si sente la voce registrata dell’Imam?
Eid: Esatto. E nelle scuole, l’insegnamento delle diverse materie è consentito, ma sempre attraverso una prospettiva fondata sul Corano e l’Hadith e le altre dottrine islamiche.
Se ho ben capito, l’immagine dell’Ayatollah si trova persino sulla copertina dei libri di catechismo cristiano?
Eid: È così. E forse è un modo per ricordare ai cristiani che sono sotto la protezione del regime e sono considerati dhimmi (protetti) della Sharia islamica. Un modo per bollare i cristiani come sottoposti al regime islamico. Esiste infatti anche la polizia religiosa.
Stavo per chiedere proprio delle pattuglie del buoncostume, che assicurano che le donne siano adeguatamente vestite.
Eid: Certo. Talvolta sono severi, altre volto no. Dipende dal regime. Sotto Khatami, per esempio, erano un po’ più aperti e le donne potevano mostrare qualcosa della propria testa. Con Ahmadinejad sono più severi.
Oggi quindi sono molto severi e pretendono la copertura totale?
Eid: Sì. Solo il viso può essere mostrato. Talvolta le donne si coprono anche il viso e le mani.
I cristiani sono circa 100.000, su una popolazione di 71 milioni. Come sono visti i cristiani in Iran?
Eid: Sono visti come una minoranza etnica, perché i cristiani sono prevalentemente armeni e assiro-caldei. Ci sono 80.000 armeni ortodossi, definiti anche gregoriani o armeni apostolici, 5.000 cattolici armeni e circa 20.000 assiro-caldei, più altre comunità come i latini, i protestanti, che in totale contano tra i 100.000 e i 11.000.
Quindi sono visti come una minoranza etnica e, come tale, non hanno il permesso di celebrare i loro riti in farsi, la lingua ufficiale dell’Iran. Quindi non potendo celebrare la Santa Messa in farsi, lo fanno in armeno o in caldeo.
Per distinguerli in quanto stranieri?
Eid: Non solo, ma anche per evitare che possano attrarre e interessare gli iraniani locali.
Per impedire agli iraniani di essere attratti dalla fede?
Eid: Esatto e per impedirgli di capire ciò che i cristiani dicono. L’unica eccezione si è verificata quando ero a Tehran, qualche giorno dopo la morte di Papa Giovanni Paolo II e il sacerdote ha letto le Scritture in farsi, alla presenza delle autorità. Ma è stato un caso straordinario.
Eppure, in Parlamento, tre seggi sono riservati alla minoranza cristiana. Quindi, in qualche modo, i cristiani hanno voce in capitolo nell’istituzione parlamentare?
Eid: In effetti, la Repubblica islamica ha mantenuto la Costituzione del 1906 che riserva cinque seggi alle minoranze: tre ai cristiani, uno ai zoroastriani e l’altro agli ebrei. D’altra parte i bahai, per esempio, che sono la minoranza non musulmana più grande, non sono rappresentati perché sono considerati eretici e non persone di una comunità religiosa.
Esiste quindi una divisione tra le comunità islamiche?
Eid: Se i bahai sono considerati islamici… Non so, perché anche loro sono monoteisti, ma l’Islam non accetta altra fede monoteista dopo Maometto, e quindi loro sono considerati eretici e basta.
I diritti dei cristiani sono tutelati dalla Costituzione?
Eid: No, questo non significa che i loro diritti siano garantiti dalla Costituzione.
L’articolo 13 afferma che tutti gli iraniani sono eguali per razza e lingua ma la religione non è citata. Nell’articolo 14, se mi consente di leggerlo: “Tutte queste comunità non musulmane devono astenersi dal partecipare a cospirazioni contro l’Islam e contro la Repubblica islamica dell’Iran”. E l’ultimo, l’articolo 19, dispone: “Tutti gli iraniani, a qualunque gruppo etnico appartengano, godono degli stessi diritti, e il colore, la razza o la lingua non conferiscono privilegi”. Anche in questo caso non vi è alcun riferimento alla religione.
Ma l’articolo 13 della Costituzione non afferma che i cristiani possono esercitare i loro diritti e professare la loro fede?
Eid: A condizione di non partecipare a cospirazioni contro la Repubblica iraniana. Cosa significa? Comprende anche la contestazione del regime? Il problema dell’Iran è che è un regime teocratico. Quindi l’opposizione al regime dal punto di vista politico potrebbe essere interpretata come un’azione contro la repubblica islamica.
Nell’ambito della comunità islamica esistono i progressisti e i conservatori. Nel contestare l’ayatollah Khamenei si contesta il suo aspetto politico o religioso? Quando il regime ha allo stesso tempo un volto politico e uno religioso, un attacco a quello politico può essere considerato come un attacco a quello religioso, essendo un regime teocratico.
Che altro tipo di restrizioni subiscono i cristiani nella loro vita quotidiana?
Eid: Per esempio, nell’amministrazione pubblica è difficile che i cristiani possano trovare lavoro. Persino i direttori delle scuole cristiane sono musulmani, salvo un’unica eccezione: a Isfahan, dove circa tre anni fa il Governo ha nominato un armeno come direttore di una scuola armena. Ma negli altri casi i direttori delle scuole cristiani sono musulmani – quelle poche scuole che sono state restituite ai cristiani dopo le confische del 1979 e 1980.
Un altro esempio è quello delle forze armate. Alcuni anni fa si è scoperto che un ufficiale, il colonnello Hamid Pourmand, si era convertito al Cristianesimo. È stato processato e sottoposto alla Corte marziale, ma a causa delle pressioni internazionali è riuscito a lasciare l’Iran. Soprattutto è difficile per i cristiani arrivare alle più alte posizioni in Iran.
Come è la vita di un musulmano convertito?
Eid: Stando in Iran non è possibile dichiarare di aver cambiato fede. È possibile solo se si riesce ad andare all’estero. Conosco due famiglie iraniane qui in Italia che sono convertite. Una ha passato il confine con la Turchia durante l’inverno. É stato difficile, ma sono riusciti ad ottenere asilo. In Iran non potevano esprimere o mostrare la loro fede per il rischio di andare incontro alla morte. Non è facile.
Vorrei toccare la questione della fuga dei cristiani dall’Iran dopo la rivoluzione islamica del 1979. Circa la metà della popolazione cristiana ha abbandonato il Paese, me
ntre – per quanto mi risulta – circa 10.000 famiglie lasciano l’Iran ogni anno. Cosa significa questo per la comunità cristiana in Iran?
Eid: La pressione politica esiste sia per i non musulmani che per i musulmani, ma per i cristiani essa è doppia perché per loro si somma la pressione politica del regime, mal sopportato dalla maggioranza della popolazione iraniana, alla pressione religiosa riservata ai non musulmani, tale da avere una libertà limitata. È per questo che è in atto questa massiccia fuga, con un concreto rischio di scomparire del tutto, di un’estinzione del Cristianesimo in Iran.
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Questa intervista è stata condotta da Mark Riedemann per “Where God Weeps”, un programma televisivo e radiofonico settimanale, prodotto da Catholic Radio and Television Network in collaborazione con l’organizzazione internazionale Aiuto alla Chiesa che soffre.
Per maggiori informazioni: www.WhereGodWeeps.org