La Chiesa condanna la logica utilitaristica non l'economia di mercato

ROMA, giovedì, 10 giugno 2010 (ZENIT.org).- Per la rubrica di Dottrina sociale riportiamo questa settimana parte dell’intervento del prof. Giovanni Bazoli alla presentazione del volume “Chiesa e capitalismo” (Morcelliana 2010), svoltasi martedì 8 giugno presso il Centro Congressi Europa dell’Università Cattolica di Roma su iniziativa del Centro di Ateneo per la dottrina sociale della Chiesa dell’Università Cattolica.

Il prof. Giovanni Bazoli ricopre innumerevoli cariche tra cui quella di presidente del Consiglio di sorveglianza del gruppo bancario Intesa Sanpaolo.

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Nei suoi pronunciamenti, il Magistero della Chiesa Cattolica ha sempre mostrato grande attenzione e non di rado persino preoccupazione, ad assumere una linea di continuità, di non rottura, dei nuovi insegnamenti rispetto a quelli precedenti, cioè alla tradizione. E ciò si può ben comprendere data l’importanza cruciale che il valore della tradizione ha sempre avuto nella storia del cattolicesimo. Vedi ad esempio la storia e le reazioni all’Enciclica Humanae Vitae.

Anche quando la lettura dei “segni dei tempi” suggerisce alla Chiesa una svolta, questa è presentata come “rinnovamento” nella continuità. E la nuova impostazione viene sempre supportata e accompagnata dal richiamo dei precedenti insegnamenti. Questo aspetto della continuità è chiaramente presente nella Caritas in Veritate. E’ dichiarato in modo esplicito, con citazioni e richiami così estesi da apparire persino inconsueti, il riferimento alla Populorum Progressio.

E lasciatemi sottolineare il grande significato che va riconosciuto a questa speciale attenzione di Benedetto XVI all’insegnamento di Paolo VI (successivamente manifestatasi in ulteriori occasioni), in quanto ha evidenziato un avvicinamento del magistero di Benedetto XVI al pensiero e alla lezione del grande Papa bresciano. Significato che non sarà certo un concittadino di Paolo VI a considerare di secondaria importanza (un concittadino che per di più ha avuto da giovane, per ragioni familiari, il privilegio di conoscere e frequentare il Pontefice e che alla sua scomparsa ha contribuito alla fondazione dell’Istituto che porta il suo nome).

Tuttavia, in questa circostanza, a me preme richiamare l’attenzione sul collegamento – che non è esplicitato nella Caritas in Veritate, ma che, come dimostrerò, non è meno essenziale – con la Centesimus Annus. Il fatto è che la Populorum Progressio, pur risalendo a quarant’anni prima, ha ispirato la Caritas in Veritate sotto vari profili (l’anticipazione di una visione globale dello sviluppo economico e ancor più l’approccio storico-umano dell’insegnamento sociale), ma la Centesimus Annus rappresenta il presupposto senza il quale non avrebbe potuto esserci la Caritas in Veritate: passaggio cruciale nell’evoluzione della Dottrina sociale della Chiesa. La Centesimus Annus ha segnato una svolta: una di quelle svolte di cui parlavo all’inizio, che sono presentate dal Magistero come rinnovamenti nella continuità. Sino ad allora infatti – ossia fino alla caduta dell’impero sovietico – la linea della Dottrina sociale, impostata sulla base di un metodo prevalentemente deduttivo che obbligava a risalire ai principi originari dei diversi sistemi, aveva comportato nel corso del Novecento una presa di distanza, espressa con accenti parimenti critici, sia dal modello capitalistico sia da quello collettivistico.

Con la Centesimus Annus, invece, veniva pienamente riconosciuta la capacità storicamente dimostrata dalla libera economia di mercato di conseguire i migliori risultati – risultati mai raggiunti prima nella storia umana – in termini di efficienza e di elevazione delle condizioni di vita dei popoli. La libertà di iniziativa economica privata e il ruolo del mercato e della libera concorrenza ricevevano con il documento di Giovanni Paolo II piena legittimazione. Fummo in tanti a salutare allora con favore questa svolta, perché eravamo convinti che in tal modo si sarebbe aperta alla Chiesa la strada feconda di una riflessione critica sul sistema di mercato, condotta, per così dire, al suo interno: cioè rivolta non più alla confutazione dei principi teorici da cui il sistema era derivato, ma a una denuncia costruttiva, cioè finalizzata alla correzione delle sue disfunzioni.

E’ precisamente questo che si verifica ora con la nuova Enciclica di Benedetto XVI. Ed è proprio quanto ci attendevamo: che la Chiesa mettesse in luce quelle insufficienze e criticità del modello di sviluppo economico adottato negli ultimi decenni, che alcune voci, fuori dal coro, riscontravano e denunciavano da tempo, cioè da ben prima della crisi. Quanto sin qui detto dimostra, come sostenevo, lo stretto collegamento tra la Caritas in Veritate e la Centesimus Annus. Desidero qui affermare in modo perentorio che esso serve anche a fare giustizia di una lettura distorsiva che è stata fatta di questo libretto (investendo, di riflesso, anche le enunciazioni dell’Enciclica riportate nel testo), secondo la quale la denuncia delle criticità dell’attuale sistema e gli interrogativi affrontati in queste riflessioni mirerebbero a porre in discussione l’economia di mercato, anziché a proporre una revisione e correzione dei suoi modelli più recenti.

Nulla di meno vero. L’accettazione da parte della Chiesa dell’economia di mercato risulta sancita definitivamente, come si è detto, dalla Centesimus Annus. Ciò che si richiede è soltanto di “saper distinguere con chiarezza e oggettività – così è affermato esplicitamente nel testo – gli aspetti positivi dalle implicazioni negative del capitalismo che si è sperimentato in questi anni”. E’ indiscutibile, infatti, che il turbinoso sviluppo economico dell’ultimo periodo, con l’apertura internazionale dei mercati ha prodotto importanti e positivi risultati, migliorando le condizioni di vita in molti Paesi (“e non solo di quelli più ricchi”), ma si è dimostrato incapace di realizzare l’obiettivo di una più equa ripartizione della ricchezza. Le disuguaglianze economiche esistenti nel mondo, non solo tra Paese e Paese, ma anche all’interno di singoli Paesi, non si sono attenuate. Studi recenti hanno evidenziato come negli stessi Stati Uniti si riscontrasse alla vigilia dell’attuale crisi una disparità enorme nella ripartizione dei redditi, esattamente come alla vigilia della crisi del ’29. In Cina, al potere economico e al benessere raggiunto da una parte assolutamente minoritaria della popolazione si contrappone la condizione di povertà in cui vive un miliardo di abitanti.

Con questa Enciclica, il Papa ha fatto proprie e rilanciato con la sua massima autorità le critiche a un modello di sviluppo di impronta radicale. Le parole della Caritas in Veritate denunciano i limiti di un’economia globale totalmente asservita a una logica utilitaristica, che legittima e favorisce il perseguimento di interessi individuali a scapito di quelli comunitari, che concentra i propri obiettivi tutti sul presente e l’immediato, senza guardare al futuro, e che quindi trascura l’esigenza di programmare uno sviluppo sostenibile (si può confrontare sul punto il recente contributo di “The Economist” – aprile 2010 – che mette in luce le premesse “tragicamente viziate” della teoria della massimizzazione del valore per l’azionista). Per questi motivi il Pontefice ha auspicato “una nuova e approfondita riflessione sul senso dell’economia e dei suoi fini, nonché una revisione profonda e lungimirante del modello di sviluppo, per correggerne le disfunzioni e le distorsioni”.

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ZENIT Staff

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