di Antonio Gaspari
ROMA, giovedì, 10 giugno 2010 (ZENIT.org).- E’ in atto in Italia un dibattito molto acceso circa le celebrazioni per il 150° anniversario dell’unità d’Italia (1861-2011).
A questo proposito Giuseppe Brienza, giornalista cattolico, saggista e corrispondente dell’Istituto Storico dell’Insorgenza e per l’Identità Nazionale, ha pubblicato sul tema un saggio: “Unità senza identità. Come il Risorgimento ha schiacciato le differenze fra gli Stati italiani” arrivato proprio in queste settimane alla sua seconda edizione (Edizioni Solfanelli, Chieti 2010, pp. 74).
Per capire se il Risorgimento sia stato il frutto maturo del popolo italiano, quanto abbia influito il desiderio di potere dei Savoia e come abbia reagito la Chiesa alla guerra che gli è stata scatenata contro, ZENIT ha intervistato Giuseppe Brienza.
Che cosa intende per unità senza identità? Qual è la tesi che sta alla base del suo libro?
Brienza: La tesi alla base del mio libro è che nel 1861-1870 l’Italia sia stata unificata politicamente ma non unita spiritualmente. Il concetto di unità, infatti, parte dal presupposto che debbano essere conciliate le differenze e che si è uniti quando si trova un obiettivo comune che fa vincere il naturale e, spesso, legittimo particolarismo. L’unità d’Italia ebbe, come dice la parola, l’obiettivo «comune» di formare una entità che legasse insieme le diverse anime di una ‘nazione’. A questa unificazione del Paese nell’Ottocento si giunse però in modo tutt’altro che «naturale» e l’imposizione di un “abito” inadeguato causò al corpo sociale i gravi disagi di cui soffre tuttora e disperse una parte rilevante delle inestimabili ricchezze culturali della nazione.
Nel saggio lei sostiene che “il Risorgimento ha schiacciato le differenze fra gli Stati italiani”. Può illustrarci il suo punto di vista e quali sono i fatti storici che sostengono la sua tesi?
Brienza: Con il 1861 entra in scena lo Stato “moderno” che diventerà il principale artefice del progetto verso l’instaurazione di un nuovo dis-ordine mondiale, secolarizzato, cosmopolita e sempre meno “a misura d’uomo” e di famiglia. In Italia, nel giro di pochi anni, alla minoranza monarchica, liberale e democratica che ha “fatto” il Risorgimento, erigendo uno Stato comune, assumendo il controllo di tutti gli organi politici, dell’amministrazione, dell’esercito e della scuola, è addebitabile la responsabilità di aver preferito costruire dopo aver sradicato e demolito piuttosto che costruire attingendo a quanto già esisteva, anche se allo stato di frammento.
Cancellerà quindi d’ufficio secolari organismi politici, appropriandosi delle loro risorse finanziarie; getterà alle ortiche i loro ordinamenti e codici di leggi; esautorerà completamente — tranne forse i quadri militari più elevati — i loro dirigenti; destinerà all’esilio i loro sovrani, ancorché rassegnati e poco pericolosi. L’estensione a tutta la Penisola di ordinamenti e sistemi giuridici uniformi — quelli sabaudi —, con la conseguente fine delle autonomie territoriali e dei sistemi di autogoverno, così come l’accentramento totale dell’amministrazione, che avrà il suo simbolo nella figura del prefetto, creata a suo tempo a suo uso da Napoleone, sono stati percepiti e accolti con grande difficoltà da una parte allora minoritaria ma significativa culturalmente della classe dirigente italiana.
All’unificazione si giunse pertanto in modo tutt’altro che “naturale” e l’imposizione di un abito inadeguato causò e ancora causa al corpo sociale i gravi disagi di cui soffre tuttora disperdendo una parte rilevante delle inestimabili ricchezze culturali della nazione.
Alcuni studiosi sostengono che esistesse un progetto cattolico, di cui il Pontefice era promotore, per realizzare un’Italia unita in una federazione di Stati. Una sorta di Risorgimento cattolico. Qual è il suo parere in proposito?
Brienza: Il mio parere è che il progetto ci fu, ma si scontrava con le reali mire del “partito risorgimentale”, d’ispirazione libral-massonico, coniugato con le ambizioni espansionistiche sabaude, e fu quindi accantonato almeno dal 1848. Fu Antonio Rosmini che, con lo spessore della sua statura intellettuale, aveva teorizzato una unione politica dei diversi stati della Penisola che avessero mantenuto ciascuno la propria sovranità. Una sorta di Unione italiana che potrebbe forse assomigliare alla novecentesca Unione europea, almeno come la si è concepita fino agli anni Ottanta e non quindi il “super-stato” voluto poi dai socialisti e dagli eurocrati di Bruxelles.
Il cardinale Angelo Bagnasco, pur riconoscendo i torti fatti alla Chiesa cattolica dalle truppe savoiarde, ha sostenuto che “l’unità del Paese resta una conquista e un ancoraggio irrinunciabili e quindi ogni auspicabile riforma condivisa, a partire da quella federalista, per essere un approdo ragionevole, e dovrà storicizzare il vincolo unitario e coerentemente farlo evolvere per il meglio di tutti’”. Che cosa ne pensa?
Brienza: La mia opinione al riguardo è perfettamente in linea con quanto sostenuto dall’onorevole Alfredo Mantovano, sottosegretario all’Interno, nella lettera scritta al direttore del Corriere della Sera, che ha pubblicato il 16 febbraio scorso. “Storicizzare il vincolo unitario” non deve significare la rinuncia a sostenere e documentare la constatazione che l’Italia non nasce nel 1861, e che nei secoli antecedenti il “Risorgimento” vi era una “nazione spontanea” (per riprendere la felice espressione di Mario Albertini), che aveva una comune identità, fondata su una comune religione, su principi e cultura, anche politica, sostanzialmente omogenei, e su una articolazione sociale ricca e variegata, in città dall’antica tradizione, più che in regioni. “Sostenere questo – ha scritto Mantovano – non vuole dire promuovere ‘operazioni nostalgia’, né attentare all’Unità nazionale: il rispetto e la lealtà per la nazione, per come si è formata e consolidata, per i suoi simboli, per i doveri ai quali chiama, per i sacrifici che esige, sarebbero traditi dal rifiuto di conoscere o di far conoscere le modalità di formazione dello Stato unitario”.
Si può dire che nonostante gli evidenti danni subiti dalla Chiesa e dal popolo cattolico, l’unità d’Italia fosse un evento inevitabile e necessario?
Brienza: Non credo che l’unificazione politica del Paese, come di fatto realizzata, sia stata un evento necessario e, per quanto riguarda l’inevitabilità, essa è stata inevitabile come è stata inevitabile la diffusione del moderno secolarismo. Dal punto di vista socio-culturale, infatti, il “Risorgimento” non fa che completare quel processo di sostituzione alla cultura tradizionale dei popoli di tradizione cristiana di un diverso abito di pensiero, improntato alle filosofie politiche scaturite dalla svolta antropologica del pensiero occidentale con Cartesio e dal libertinismo seicentesco. L’effetto più decisivo di tale operazione è stata la riduzione dell’influsso del cattolicesimo sulla cultura e sugli statuti dei popoli e delle comunità, nonché la sua rimozione o emarginazione nella vita pratica di fasce sempre più ampie della popolazione.