di Mariaelena Finessi

ROMA, lunedì, 31 maggio 2010 (ZENIT.org).- Dopo un’infanzia trascorsa tra i più poveri, una convinzione si è radicata in padre Joseph Wresinski: nel cuore del cristianesimo vi è lo sguardo rivolto verso il più miserabile, «laddove il più disprezzato tra gli uomini è dimenticato, l’umanità è annullata, la Chiesa assente, Cristo schernito». Nel libro-intervista "I poveri sono la Chiesa. Una conversazione tra Padre Joseph Wresinski e Gilles Anouil" (Jaca Book) - presentato il 26 maggio a Roma, presso la sede della Civiltà Cattolica - v'è racchiuso il messaggio di un sacerdote che con la sua vita fa toccare con mano fino a che punto è possibile ignorare l’esistenza e le dimensioni del fenomeno della miseria.

Nato nel mezzo della Prima Guerra Mondiale ad Angers (Francia), Joseph Wresinski – figlio di padre polacco e di madre spagnola - è stato molto più che un sacerdote. Nel 1956, tappa decisiva della sua esistenza, è inviato in missione al campo dei senzatetto a Noisy-le-Grand, non lontano da Parigi, dove condivide la vita di coloro che lui chiamerà il "Quarto Mondo". L'anno dopo, con 252 famiglie fonda il Movimento ATD Quarto Mondo (Aide à toute détresse, Aiuto a ogni misera): è l'inizio di un'azione che assumerà dimensioni internazionali. Allargati i propri orizzonti, il Movimento uscirà dalla Francia per penetrare in Europa, America, Asia e Africa.

Fermo nella lotta alla disuguaglianza, padre Joseph non ha mai cessato di approfondire la sua conoscenza sui diritti inalienabili dell’uomo e di combattere affinché questi fossero restituiti ai più poveri. A lui si deve l'istituzione della Giornata mondiale del rifiuto della miseria, celebrata per la prima volta il 17 ottobre 1987 a Parigi (riconosciuta dall'Onu nel 1992), quando su sua iniziativa centomila difensori dei diritti umani si riunirono presso il Sagrato dei Diritti dell'Uomo, al Trocadéro.

E ancora oggi il cuore del messaggio della Giornata è racchiuso nelle parole di questo appassionato prete «plurale» - come spiega Jean Tonglet, direttore del Centro internazionale Joseph Wresinski – per via del suo essere per nascita e residenza tanti uomini e nazionalità insieme. Parole, si diceva, fatte incidere sulla pietra: «Dove gli uomini sono condannati a vivere nella miseria – riporta la lapide al Trocadero -, i diritti dell'uomo sono violati. Unirsi per farli rispettare è un dovere sacro».

Un dovere, ma non così scontato. «Quando ero studente alla Gregoriana – spiega ad esempio monsignor Arrigo Miglio, vescovo di Ivrea e presidente delle Settimane sociali -, il tema della povertà non dico che ci dividesse ma certamente era uno dei poli di discussione più accesi. L'espressione “quarto mondo” non era diffusa anche perché ci pareva di essere già arrivati in fondo col “terzo mondo”».

«Dai tempi più lontani cui risalgono i miei ricordi d’infanzia fino ad oggi– dice padre Joseph per spiegare la passione per gli ultimi, spuntatagli in tenera età -, i più poveri mi sono apparsi come famiglie alle quali era vietato abitare il mondo degli altri; abitare la città, il paese, la terra. Come si poteva infatti definire "abitare" questo modo di ammucchiarsi, nascondersi, ripararsi con mezzi di fortuna, al margine del quartiere dove la mia stessa famiglia viveva in un tugurio?».

C'è tutta questa sofferenza, allora, nel libro-intervista di Anouil, un volume che Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant'Egidio, definisce «sporco di storia», nel senso di non etereo ma calato nel tempo e nel mondo. «Parla di un'infanzia lacerata e miserabile. E la frontiera che la attraversa è quella tra la povertà e la Chiesa».

In altri termini, Padre Joseph «è figlio del divorzio tra la Chiesa e i poveri», e dovendo scegliere da che parte stare, decide di prendere i voti, affascinato com'è dalle «preghiere silenziose della mamma, dalle suore con la testa tra le nuvole – continua Riccardi - e dal prete che biascicava la giaculatoria».

, individuando nella Francia «il più grande laboratorio di scontro tra chiesa e poveri, tra chiesa e classe operaia» e, nell'incontro di Padre Joseph con Gesù, «la nota eroica dell'esistenza». «Roba ben diversa – conclude con nota dolente - dal movimento sociale cattolico».

In Wresinski, in altri termini, è racchiusa l'idea di “morire sul posto”, come si diceva in quegli anni, cioè di farsi povero tra poveri, operaio tra gli operai, cristiano tra i cristiani: «Vivevamo – scrive il sacerdote - nella speranza di incarnarci».

Rivolgendosi a padre Joseph, Gilles Anouil domanda allora, se per caso, non abbia lui introdotto una doppia idea: «Da una parte, le famiglie del Quarto Mondo, schiacciate dalla miseria, devono essere la pietra angolare della Chiesa. Esse impersonano il suo messaggio. Dall'altra parte, l'esclusione, il rigetto sono la condizione stessa della Chiesa». La risposta è «si».

Ed è si perché «la Chiesa è condannata – spiega Wresinski - attraverso la sua storia, a ricordarsi, a riprendere coscienza della realtà che essa è: povertà, disprezzo, esclusione. Che essa stessa è la non-amata, la rifiutata dal mondo. In questo, essa è obbligata a raggiungere la popolazione più disprezzata, più esclusa di tutte.

Il papa Paolo VI diceva: “Lo specchio per noi, uomini di Chiesa, è Gesù Cristo”. La Chiesa non è solamente in comunione con i più poveri. È i più poveri». Soprattutto, «lo è nel disegno di Dio», che è «di salvare tutti gli uomini, senza eccezione. E quando dico: senza eccezione, questo non vuol dire: compresi i poveri, ma compresi i più ricchi».