di Antonio Gaspari
ROMA, domenica, 30 maggio 2010 (ZENIT.org).- Un film straordinario, che racconta la storia di un eroe sconosciuto ai più, padre Jerzy Popiełuszko, testimone e martire di un popolo, quello polacco, che ha sconfitto la dittatura comunista con le armi dell’amore e del vangelo cristiano.
Venerdì 28 maggio alla Radio Vaticana è stato proiettato il film del regista polacco Rafał Wieczyński: “Popiełuszko. Non si può uccidere la speranza”.
Il film racconta la storia di un santo, le cui qualità e vicende sono paradigma della virtù di un popolo, e il cui sacrificio supremo, così simile a quello di Cristo, è stato indicato dal Pontefice Giovanni Paolo II, come il tributo di sangue che ha salvato l’Europa.
Padre Jerzy Popieluszko nacque il 14 settembre 1947 a Okopy provincia di Bialystok. Fu ordinato sacerdote dal Cardinal Stefan Wyszynsky il 28 maggio 1972 a Varsavia. Oltre al lavoro parrocchiale, nella Chiesa di San Stanislao Kostka, svolgeva il suo ministero tra gli operai organizzando conferenze, incontri di preghiera anche per medici ed infermieri, assisteva gli ammalati, i poveri, i perseguitati.
Per il suo coraggio, la difesa dei diritti umani, la richiesta di libertà e giustizia, la capacità di amare anche i suoi persecutori, divenne subito una minaccia per il regime dittatoriale.
Padre Popieluszko aiutava tutti gli operai, dava loro coraggio, li educava all’amore fraterno, li invitava a non reagire quando venivano colpiti, li confessava, sosteneva le loro famiglie. Gli insegnava a rispondere con preghiere e canti sacri e patriottici alle minacce e alle aggressioni. Sosteneva Solidarnosc nelle sue battaglie per garantire migliori condizioni sociali, per la libertà, la giustizia, il progresso.
Tentarono in vario modo di minacciarlo e spaventarlo. Uccisero i figli e i parenti delle persone a lui più vicine. Qualcuno dei suoi collaboratori cedette alle minacce e divenne una spia dei servizi segreti. Ma padre Popieluszko, non cedette mai alle provocazioni. Mai si piegò al sentimento di odio. Nel film, in un momento molto duro, quando scopre di essere tradito e prossimo alla paura, quando i suoi amici non ne possono più dell’oppressione e del terrore, si riporta una sua frase: “combatto il peccato non le sue vittime”.
Questa sua capacità eroica di amare tutti cristianamente, lo rendono libero e invincibile. Il regime non sa cosa fare. Cercano di screditarlo e di accusarlo di cospirazione politica, ma padre Popieluszko non parla mai di politica.
La situazione sta per precipitare e la Chiesa prova a convincerlo di riparare a Roma, ma padre Popieluszko è cosciente della sua missione e va avanti, fiducioso, ubbidiente e fedele a Cristo.
Così il 19 ottobre 1984 di ritorno da un servizio pastorale da Bydgosszcz a Gorsk vicino a Torun viene rapito da tre funzionari del Ministero dell’Interno, selvaggiamente picchiato e seviziato.
Pur legato dentro al cofano dell’auto cerca di fuggire. I persecutori lo braccano, lo colpiscono ancora più violentemente, lo sfigurano, lo legano tra bocca e gambe, in modo che non possa distendersi senza soffocare. Gli stringono un masso ai piedi e lo buttano ancora vivo in un fiume. Aveva 37 anni.
Il regime pensa di aver messo a tacere il più coraggioso dei suoi oppositori, e invece è il segno della sua fine. Da lì a poco non solo la Polonia sarà liberata, ma l’intero sistema comunista collasserà.
Nonostante le minacce e la violenza, oltre mezzo milione di persone sfilò al funerale di padre Popieluszko.
Tra i giovani che sfilarono oranti dietro a quella bara, c’era il regista del film Rafał Wieczyński, il quale ha rivelato a Radio Vaticana: “avevo 16 anni quando partecipai ai funerali di padre Popiełuszko. Insieme a 600 mila persone riuscivo a percepire i sentimenti della gente in quel periodo. E’ diventato una sorta di maestro, una figura con la quale mi confrontavo e volevo che la nuova generazione provasse le sensazioni di quei tempi, quando la gente era unita fondandosi sui valori del Vangelo”.
Da allora la tomba di padre Popiełuszko che si trova accanto alla chiesa di San Stanislao Kostka, a Varsavia, è meta continua di pellegrinaggi di fedeli provenienti dalla Polonia e dal mondo intero.
Il 14 giugno 1987 Papa Giovanni Paolo II ha pregato sulla sua tomba, senza avere la possibilità di gridare al regime e al mondo le virtù e la grandezza di padre Popieluszko.
A tutt’oggi oltre 18 milioni si sono soffermati sulla tomba di padre Popieluszko, e domenica 6 giugno verrà proclamato Beato.
Intervistato da ZENIT, il regista del film ha rivelato che in Polonia “il film è stato visto da un milione e trecentomila persone. Molto importante il fatto che sia stato visto nelle scuole da studenti che non hanno mai saputo che cosa è stata la dittatura comunista”.
L’edizione italiana del film ha avuto poca pubblicità e solo in 15.000 lo hanno visto, ma l’edizione home video dell’opera sarà diffusa nelle edicole allegata alle riviste “Panorama”, “Tv Sorrisi e Canzoni” e “Ciak” da venerdì 4 giugno.
Prima della proiezione che è avvenuta nella Radio Vaticana, Hanna Suchocka, già Primo Ministro Polacco, membro della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali e attuale Ambasciatore presso la Santa Sede ha spiegato che “nella Chiesa non sono mancati uomini e donne, che hanno testimoniato Cristo fino alla fine”. Ma la figura di padre Popiełuszko è tuttavia “eccezionale, perchè è un eroe contemporaneo che ha testimoniato come si può vincere il male con il bene” .
“Padre Jerzy Popiełuszko era soprattutto un testimone di Cristo – ha sottolineato la Suchocka, – un sacerdote che viveva e lavorava per gli uomini”.
“Forse adesso, – ha aggiunto – quando ci avviciniamo alla conclusione dell’Anno Sacerdotale, vale la pena di ricordare la figura di Popiełuszko come esempio spirituale di chi, nonostante la fragile salute, è rimasto grande nella sua capacita di accettare la grazia di Dio”.
L’Ambasciatore polacco ha voluto poi cogliere un altro aspetto della figura di padre Jerzy, affermando che “padre Popieluszko era una persona libera dentro, nonostante le pressioni che venivano esercitate nei suoi confronti dalle autorità, dal suo ambiente e dai suoi collaboratori”.
“Forse è questa libertà che i suoi carnefici volevano soffocare – ha aggiunto –. Ma il suo sacrificio non è stato invano, la Polonia è stata liberata e il suo ricordo è rimasto vivo nella memoria e nei cuori dei Polacchi”.
Nel film spezzoni di telegiornale in bianco e nero si alternano con le vicende di vita quotidiana. Pur non denunciando mai in forma esplicita la dittatura comunista, la pellicola è una delle testimonianze più forti circa la crudeltà e disumanità di quel regime.
Così, come il film “Schindler’s list” ha denunciato l’orrore del regime nazista, il film “Popiełuszko. Non si può uccidere la speranza” mostra gli orrori dei regimi socialisti.
In entrambi i casi vince l’umanità che di fronte ai peggiori orrori della storia, riesce a sopravvivere credendo e confidando in Dio.