Pubblichiamo di seguito la relazione tenuta il 5 maggio nel Seminario Superiore “Le ragioni dell’arte”, dell’Accademia Urbana delle Arti, con sede in Roma, dal prof. Rodolfo Papa, docente di storia delle teorie estetiche presso la Facoltà di Filosofia della Pontificia Università Urbaniana e docente al Master in “Architettura, Arti Sacre e Liturgia” presso l’Università Europea di Roma.
* * *
Per comprendere l’arte, e in special modo la questione contemporanea che ad essa è legata, c’è necessità di un approccio multidisciplinare, giacché la complessità delle parti che la compongono rischia di far perdere di vista l’unitarietà dell’insieme. Un esempio di questa difficoltà si incontra negli studi del britannico Nigel Warburton che, nel suo The Art Question pubblicato nel 2003, cercando una definizione generale di arte, capace di comprendere contemporaneamente un’opera pittorica di Franz Halz del 1664 e una di Damien Hirst del 1898, la fotografia Film Still #21 del 1978 di Cindy Sherman e l’istantanea Carri armati in Piazza Tien Anmen del 1989 di Stuart Franklin, applicando i medesimi criteri, giunge ad una battuta d’arresto e, quasi ammettendo candidamente la propria sconfitta, dichiara: «La questione dell’arte, quando è posta al livello generale di “che cos’è l’arte?”, probabilmente non ha risposta». Il metodo applicato da Warburton non riesce e non può giungere ad una definizione dell’arte, perché si limita ad analisi di tipo formalistico e, di fronte alle varie opere d’arte, non pone in campo le dovute informazioni che provengono dalla storiografia, dall’iconologia contestuale, dall’antropologia culturale, dalla critica e dalle numerose altre discipline che compongono il panorama delle scienze dell’arte. Si apre, quindi, una questione metodologica. Nei secoli passati, le diverse competenze della teoria e della storia dell’arte confluivano tutte nella figura dell’artista. Oggi, essendosi separate tutte queste discipline in decine di sottogruppi, è estremamente difficile comporre un quadro generale sufficiente a dirimere le singole questioni e dipanare la matassa.
Proveremo qui a dare alcuni spunti per ben impostare il discorso sull’arte. Il primo passo da compiere è analizzare gli studi di alcuni recenti teorici dell’arte, utili per ripensare un sistema storiografico di riferimento. Larry Shiner, nel suo The Invention of Art. A Cultural History pubblicato nel 2001, propone un punto di vista particolare. Nelle teorie contemporanee, l’artista si distingue nettamente da colui che ha competenze ed abilità manuali, come se ne fosse un superamento; Larry Shiner prova a ricostruire il momento della prima separazione tra arte e artigianato, rintracciandolo di fatto nell’era dei philosophes, ovvero nel XVIII secolo. Dunque, secondo Shiner, nel Rinascimento arte e artigianato convivono ancora. Questo a mio avviso appare indubitabile, giacché, per esempio, per un artista del Rinascimento come Michelangelo, un’opera non finita, quale la Pietà Rondanini, è da considerarsi un fallimento, proprio perché non portata a compimento; invece tanta critica novecentesca esalta tale opera proprio perché non-finita, applicando categorie estetiche novecentesche e commettendo una sorta di anacronismo interpretativo. Shiner sottolinea come per un artista pre-romantico o romantico, a differenza dell’artista rinascimentale, tutto risieda nell’idea: «dopo la rottura settecentesca, tutti gli aspetti nobili della precedente figura dell’artigiano-artista, come grazia, invenzione e immaginazione furono associati soltanto all’artista, mentre l’artigiano, o artiere, si disse che possedeva solo l’abilità, che lavorava seguendo la consuetudine, che mirava solo al guadagno».
Questo procedimento di rottura tra arte e artigianato ci può sembrare positivo e liberatorio, ma di fatto pone alcuni problemi. Se si riconosce all’artista la capacità creativa indipendentemente dall’abilità tecnica, se artista è colui che è capace di esprimere se stesso in ogni modo e attraverso ogni mezzo, ecco allora che diventa problematica la definizione dell’arte stessa, tanto che il medesimo Shiner nota che «soltanto a seguito dell’instaurazione del moderno sistema dell’arte ci si può chiedere: “è davvero arte?”, oppure: “Qual è la relazione tra arte e società?». Come è noto, il sistema dell’arte che fa convivere arte e artigianato ha come fine la bellezza, entro un orizzonte di pratica del mestiere e coltivazione delle virtù morali, mentre nella separazione tra arte e artigianato, si afferma sempre di più una sorta di autonomia dell’opera d’arte dalla bellezza e dalle virtù praticate, tanto che si apre uno spazio di riflessione su qualcosa di totalmente diverso che, con Baumgarten nel 1750, prenderà il nome di Aesthetica, la quale sancirà un’ulteriore separazione dopo quella tra arte e artigianato, ovvero quella tra arte e ragione, lasciando l’arte in un luogo intermedio e confuso.
L’approccio critico di Shiner al concetto di arte e il tentativo che ne deriva di operare una ricostruzione storica, ha il pregio di superare definizioni generiche come quella ricercata da Warburton, o negative come quella adottata strategicamente da Ernest H. Gombrich nella sua Storia dell’arte del 1950, dove, con lo scopo di superare la difficoltà definitoria del termine, afferma che: «Non esiste in realtà una cosa chiamata arte. Esistono solo gli artisti». Queste due strategie non tengono conto della realtà storica dei fatti e quindi sono fuorvianti per la comprensione del senso delle cose dell’arte. In più Shiner, criticando fortemente la posizione di Gombrich, afferma: «L’inconveniente di una strategia come quella adottata da Gombrich risiede nel fatto che nelle conseguenti storie dell’arte si tendono a nascondere i forti elementi di diversità che distinguono l’antico sistema dell’arte dal moderno sistema dell’arte».
Dunque, per definire il concetto di arte si deve riorganizzare il sistema storiografico. Inoltre, molte delle scoperte avvenute nel corso degli ultimi venti anni in campo iconologico, aprono decisamente scenari nuovi, capaci di ridefinire e riconvertire stanche narrazioni storiografiche, infettate da pregiudizi di tipo progressista e materialista. A tal proposito, nel 1997 Arthur Danto pubblicava il saggio dal titolo After the End of Art. Contemporary Art and the Pale of History. Danto costruisce una narrazione a partire dal concetto di “fine dell’arte”, analizzando ciò che accade dopo la fine dell’arte, indicando questo “dopo” come un momento storico preciso, che si individua nell’assenza di principi come unico principio regolatore. In sostanza viene posto una sorta di confine, prima del quale l’arte si presenta come definita. Infatti l’arte è, per Danto, qualcosa di preciso in termini storiografici, qualcosa che, fin quando è stato possibile narrarne la storia, ha potuto essere inteso come espressione di uno stadio evolutivo. Ma “dopo”, conclusasi la parabola della “rassicurante cornice narrativa”, ogni cosa è possibile. In tale studio si rintracciano, a mio avviso, due dati essenziali, uno di tipo storiografico e l’altro di tipo critico: il primo è che l’arte si individua su un piano storico, l’altro è che oggi sia mo in una fase di puro e totale relativismo, dove tutto è uguale, nell’assenza di ogni tipo di riferimento.
Nell’introduzione al saggio, Danto cita i risultati dello storico tedesco Hans Belting che, pubblicando nel 1990 un saggio sull’arte bizantina dal titolo Bild und Kult. Geschichte des Bildes vor dem Zeitalter der Kunst, soprattutto nel sottotitolo (Una storia delle immagini prima dell’era dell’arte) identifica un nuovo confine per l’arte. Dal confronto con i due estremi confini, uno anteriore posto da Belting e l’altro posteriore segnato da Danto, si viene ad individuare uno spazio vuoto, dal cui calco, per negativo, ricostruiamo l’era dell’arte, che coincide con il tardo Me
dio Evo e con tutto il Rinascimento e il Barocco, in sostanza dal XIII al XVIII secolo.
Come si vede, il termine “arte” designa qualcosa di ben circoscritto, che coincide storicamente con l’arte cristiana (anzi, in termini più precisi, con l’arte cattolica). Tutto il resto è pre-arte (come il culto delle immagini studiato da Belting) o post-arte (come la contemporaneità descritta da Danto). Correggendo Gombrich, occorrerebbe dire che non è l’arte a non esistere, ma semmai la storia dell’arte, che muta struttura al mutare delle teorie che ne informano l’assetto. Ma allora viviamo in un’epoca senza arte? Sembrerebbe di sì, se ci soffermiamo ad analizzare le emergenze. Per esempio, l’interessante studio Il consumo della Pop Art di Carolina Carriero del 2003 sottolinea la dimensione non-artistica della Pop Art: «Il mito di Narciso entra nella serie delle pratiche cerimoniali in virtù della sollecitazione, operata sulle componenti emozionali della massa, attraverso la funzionalizzazione pubblicitaria della bellezza. L’attenzione ossessiva per il prodotto più vendibile è anche il nuovo criterio estetico pop: bello è ciò che vende e che fa vendere, che è asettico e lucido come la plastica e che, soprattutto, può essere gettato via dopo essere stato utilizzato. Bello non è l’utensile ma il suo consumo preliminare come fruizione di un servizio futuro; bella è la promessa di felicità nella promozione di sé come immagine che può uccidere una ninfa».
Tuttavia, se interroghiamo più profondamente l’identità dell’arte, utilizzando gli studi di Belting, Danto e Shiner, appare chiaramente come l’arte sia un frutto innovativo della spiritualità cristiana. Ma se vogliamo andare oltre, e insieme al necrologio provare a dare una relazione autoptica, possiamo considerare che, come il Cristianesimo è stato l’inizio stesso dell’arte, così il volontario rifiuto di questo ne abbia sancito la fine: insieme alla visione cristiana del mondo, è stato abbandonato il fondamento metafisico della bellezza e il valore veritativo dell’arte. La laicizzazione dell’arte è stata, per certi versi, un morbo che ha condotto l’arte alla morte. Ma la contaminazione non è stata totale. L’arte in quanto tale è sopravvissuta, e soprattutto riemerge prepotentemente come un’esigenza. Come afferma Remo Bodei: «l’ideale delle “belle arti” non è tuttavia tramontato neppure in seguito all’apparente apoteosi del brutto. Si assiste anzi, in questi ultimi tempi, al veloce congedo dalla adorniana fase del cordoglio, a una crescente insofferenza nei confronti dell’“arte brutta” e dello sperimentalismo esacerbato delle avanguardie». Le contemporanee speculazioni sull’arte portano, dunque, un grande contributo di riflessione su cosa sia l’arte e sulla sua storia, rendendo attenti contro un concetto rassicurante e indistinto di “arte” che, per tutto contenere, nulla comprende.