Giovanni Paolo II, sacramento di comunicazione

Un libro di Sabina Caligiani approfondisce il nesso tra media e Papa Wojtyla

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di Miriam Díez i Bosch

ROMA, giovedì, 6 maggio 2010, (ZENIT.org).- L’incanto reciproco tra Giovanni Paolo II e i media. E’ in fondo questo il tema al centro della novità editoriale di Sabina Caligiani, “Giovanni Paolo II. Il Papa che parlava alla gente”, uscito per i tipi delle Paoline.

Di questo singolare carisma di Giovanni Paolo II si parlerà in un incontro in programma per il 12 maggio alle ore 17 a Roma, presso la Pontificia Università Lateranense (Piazza S. Giovanni in Laterano, 4).

Alla presentazione interverrano Alessandro Barbano, Vice direttore de Il Messaggero, il vaticanista del Corriere della Sera Luigi Accattoli, il mariologo Stefano di Fiores e padre Lucio M. Zappatore, ocd.

ZENIT l’ha incontrata per saperne di più.

Lei afferma che Giovanni Paolo II è stato strumento e anche sacramento di comunicazione. Perché?

Caligiani: Papa Wojtyla è stato immagine della Chiesa. Innanzitutto il suo essere polacco, figlio di una Chiesa schiacciata dal comunismo, e l’essere stato testimone di eventi di grande tragicità nel suo paese soffocato da due regimi tra i più crudeli che la storia abbia mai conosciuto, come il nazismo prima ed il comunismo poi, sono segni che rivelano un preciso progetto di Dio su di lui. Progetto che si rivela su di lui attraverso queste tragedie che divengono oggetto di riflessione per il mondo.

Papa Wojtyla si fa figlio dell’uomo e parla all’uomo della tragicità dei fatti vissuti, delle ingiustizie subite da una umanità inquieta, violenta, vittima della paura perché distante da Cristo. La sua comunicazione attinge la forza nella identificazione con Cristo, e si dichiara uomo di gioia e di speranza portando la parola del Vangelo e introducendola nei diversi linguaggi delle culture.

Nei primi anni del suo pontificato la sua fisicità è una comunicazione di fede gioiosa che coinvolge, cattura, uscendo fuori dal grigiore istituzionale della comunicazione curiale. Lui aveva una elevata consapevolezza dell’aspetto sensoriale della persona, sapeva guardare diritto negli occhi e sapeva scrutare gli animi. Giovane e pieno di forze cominciò ad andare per il mondo e continuò a percorrerlo  portando il suo messaggio apostolico anche quando iniziò la sua mortificazione fisica.

Auspicava infatti l’unità morale dell’umanità e il risveglio di una crescente solidarietà, scaturiti dalla condivisione di fatti comuni tra gli uomini, uniti da un unico destino e da una identica dignità. Le differenze, secondo lui, potevano aprire vie di dialogo e far rinascere una spiritualità forte in tutta la terra, riproponendo i valori e il significato del messaggio cristiano. Nessuno doveva sentirsi abbandonato da lui che instancabilmente seppe annunciare il mistero dell’amore che va fino alla fine.

Il « non abbiate paura », gridato al mondo intero e che ha cambiato il corso della storia, sembra racchiudere, oltre alla presentazione di sé, con le drammatiche vicende personali, anche la sua disponibilità al rischio apostolico, quale anticipazione profetica di quello che sarà il suo pontificato. Anche l’attentato alla sua persona,  in quel tragico 13 maggio del 1981,  in cui  il proiettile che lo ferì sembrò essere  miracolosamente deviato da eventi soprannaturali di quel millimetro che gli salvò la vita,  arricchisce di  ulteriori significati tutto il suo Magistero. 

Il suo iniziale vigore fisico trasformato, con la sua malattia, in sofferenza, è un autentico messaggio indirizzato alla coscienza di ogni uomo e rappresenta un vero e proprio annuncio evangelico. Sempre più sofferente ha abbracciato la croce, continuando il suo cammino di santità, una sofferenza che ha portato nel mondo finché ha potuto, testimoniando una forza e una autorità che attingeva altrove. C’è stato un rovesciamento dialettico che ha del miracoloso, perché la sua immagine tremante, che non cede, è comunicazione, parola, anche quando la sua voce diviene incomprensibile. Le reti televisive, riprendendolo dappertutto, hanno fatto conoscere a un pubblico vastissimo il suo impegno ecumenico lasciando parlare di lui i fatti, i gesti, le parole i silenzi.

Ecco il paradosso dell’autorità nella visione cristiana: l’investitura di Pietro è una pietra che cammina insieme alla missione della Chiesa, nel tempo. Una testimonianza che fu profezia e cuore del suo carisma. Ecco perché dico che questo eccezionale Pontefice è stato non solo strumento ma sacramento, piena realtà di comunicazione.

La comunicazione di Giovanni Paolo II si avverava tramite la parola, il gesto, la testimonianza, ma anche tramite il silenzio. E’ questo il fascino del suo stile comunicativo?

Caligiani: Ciò che balza immediatamente in evidenza in Karol Wojtyla è una comunicazione di fede gioiosa,  tra il cerimoniale e l’improvvisazione  che cattura, trasformando anche la televisione. La sua voce accattivante e potente, a volte dai toni sommessi e intervallata da grandi pause studiate, da esclamazioni e da silenzio, si caratterizza per  le  sue accentuazioni inconfondibili. La verità della fede gli dava una energia soprannaturale e soprattutto quella credibilità che la gente cerca, di cui ha un bisogno profondo e che ha subito avvertito in lui. Ha insegnato la verità delle azioni incarnandola nella sua vita.

Nella memoria collettiva sono presenti le immagini  di lui che accarezza un neonato o che abbraccia i giovani nelle Giornate della gioventù, o che reclina il capo per chiedere perdono o quando lotta con i suoi problemi fisici. Il Papa mostrò sempre sensibilità e interesse per ogni singolo uomo, il suo sguardo focalizzava le persone una ad una, egli cercava di entrare nel pensiero di chi gli era innanzi. Durante tutto il pontificato, anche quando le sue forze venivano sempre più a mancare è entrato in comunione comunicando con l’umanità intera, mosso dall’amore. Questo amore è stato recepito dalla gente.  

La sua morte è stata un momento di comunicazione mondiale. Perché?

Caligiani: I media hanno unificato il globo terrestre trasmettendo, in una lunghissima diretta, la morte e i funerali di Giovanni Paolo II ed è stato un grande racconto mediatico devozionale, popolare. Giovanni Paolo II è stato protagonista dei media senza precedenti nella storia della comunicazione, lui li aveva scelti per comunicare.  Aveva fiducia del sentimento comune della gente e nella capacità dei giornalisti di riferire correttamente le posizioni della Chiesa. Il pontificato di Giovanni Paolo II coincide con la nascita delle trasmissioni dei grandi eventi in diretta, della televisione globale, è stato il primo Papa globale.

Il fatto di  essersi mostrato pubblicamente sofferente da tutta l’umanità, in totale comunione evangelica con tutti i malati del mondo, ha portato ad una  grande partecipazione umana, mondiale alla sua sofferenza accompagnandolo fino all’ultimo istante della sua vita. La folla lunghissima, interminabile, accorsa a S. Pietro a dare l’ultimo saluto al Santo Padre, raccolta in un silenzio straordinario riportavano alla mente le parole del Papa: “ vi ho cercato, siete venuti e per questo vi ringrazio”. Così colpiva la presenza ai suoi funerali dei tanti leader politici e rappresentanti delle varie fedi religiose “chiamati” anch’essi dal Papa,uniti per la prima volta da un sentimento  comune. Karol Wojtyla stava continuando a vivere e ancora una volta la potenza della sua azione si era resa simbolicamente evidente nel libro del Vangelo posato sulla sua bara, con le sue pagine che un vento leggero sfogliava. Quel Vangelo che lui aveva incarnato e introdotto nei diversi linguaggi mediali di tante culture.

Tutte le sue prediche sono ricche di imperativi e di suggerimenti. La domanda è d’obbligo: anche Benedetto XVI è così?

Caligiani: Quello di Benedetto XVI è un pontificato spirituale di grande profo
ndità teologica. Come Giovanni Paolo II  l’attuale Pontefice si pone a tutela del rispetto dei diritti fondamentali della persona, della sua inviolabilità e dignità. Interpretando  con mente analitica i segni dei tempi,  continua l’opera di Papa Wojtyla  integrando, come fece il suo predecessore, il messaggio evangelico nella  nostra cultura.

Le sue encicliche sulla carità ci riconducono alla visione più profonda del cristianesimo,   in cui ricorda all’uomo moderno che senza Dio egli non sa né chi sia né sa dove andare. Scrive che senza la carità non si troveranno risoluzioni alle problematiche che attanagliano il nostro tempo perchè è nel Vangelo la risposta alle urgenze della società contemporanea. Nessuna società statale potrà mai essere così perfetta da non avere bisogno della carità, perché quando l’impegno per il bene comune è animato dalla carità, esso acquista un valore superiore rispetto a quello esclusivamente secolare e politico.

Carità e speranza sono dunque  i presupposti fondamentali perché si possano realizzare la giustizia e il bene comune.. Le  sue esortazioni, i suoi imperativi  di carattere morale, rivolti anche ai potenti della Terra  sono la continuazione dell’azione del magistero di Papa Wojtyla. 

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ZENIT Staff

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