di Mariaelena Finessi
ROMA, venerdì, 23 aprile 2010 (ZENIT.org).- Nel rapporto della Commissione dei Diritti dell’Uomo all’ONU, nel settembre 1973, il massacro degli Armeni viene definito come il primo genocidio del XX secolo perpetrato a danno di un popolo fortemente legato al perdono evangelico. E il 9 Novembre 2000 anche Giovanni Paolo II – in occasione dell’incontro in Vaticano con il Patriarca degli Armeni, Katholicos Karekin II – ricordando le persecuzioni subite dai cristiani a causa della propria fede, riconosce che di genocidio si è trattato.
In un comunicato congiunto con il Katholicos, Woytjla denunciava: «Il genocidio degli Armeni, che ha dato inizio al secolo, è stato il prologo agli orrori che sarebbero seguiti. Due guerre mondiali, innumerevoli conflitti regionali e campagne di sterminio deliberatamente organizzate che hanno tolto la vita a milioni di fedeli».
E mentre si stempera la tensione tra Stati Uniti e Turchia, generata dalla risoluzione (non vincolante) approvata il 4 aprile dalla Commissione Esteri della Camera di Washington, che per la prima volta definisce “genocidio” il massacro di un milione e mezzo di armeni avvenuto nel 1915 ad opera dei turchi, in tutto il mondo sono in atto i preparativi per ricordare, il 24 aprile, il 95° anniversario (“Medz Yeghern”) di quel triste episodio.
Mons. Hovsep Kelekian, rettore del Pontificio Collegio Armeno di Roma, – che alla presenza di Sua Beatitudine Nerses Bedros XIX Tarmuni, Patriarca degli armeni Cattolici di Cilicia, celebrerà a Roma una Messa solenne in suffragio delle vittime – racconta a ZENIT cosa è cambiato nel tempo nei rapporti tra Turchia ed Armenia.
Ci sono conflitti che perdurano anche se sono cominciati un secolo fa. Spesso, le persone restano intrappolate da pregiudizi o si tramandano il rancore. È così anche tra i turchi e gli armeni?
Mons. Kelekian: Trent’anni fa i rancori erano ancora molto forti. Oggi, turchi e armeni si incontrano molto spesso in Europa, si parlano e alcuni fanno anche amicizia. Rimane tuttavia la questione dell’accettazione della colpa da parte del Governo turco per la tragedia subita dagli armeni negli anni 1915-20. La questione era considerata tabù in Turchia ma oggi, a cominciare dagli intellettuali turchi, essa si pone e ci si riflette su per trovare una soluzione. Quest’apertura è un segno di progresso e, forse un giorno, potrà disperdere tutti i pregiudizi, come anche dissipare l’odio fra i due popoli.
È possibile una riconciliazione – così come è accaduto in Ruanda anche grazie all’operato della Chiesa – affinché si possa andare avanti?
Mons. Kelekian: Ogni riconciliazione presuppone – almeno parzialmente – una riparazione delle colpe. Gli armeni non hanno fatto una guerra contro i turchi, ma sono stati massacrati, oppure deportati nei deserti e lasciati morire lì. Senza un atto di riconoscimento ufficiale di questo fatto, ogni riconciliazione è impossibile. La chiesa stessa non può perdonare colui che non chiede perdono. Quanto al Ruanda, là c’erano due tribù nemiche che si sono perdonati a vicenda mentre gli armeni non hanno niente da farsi perdonare. Vivevano in Turchia come cittadini esemplari e non hanno mai pensato di ribellarsi al Paese.
Qual è la posizione della Chiesa armena cattolica rispetto a quello che molti Paesi considerano essere stato un “genocidio”?
Mons. Kelekian: La Chiesa armena cattolica è solidale a tutti gli armeni e difende l’idea di accettazione della colpa e di riparazione dalla parte della Turchia. Questa Chiesa ha avuto pure i suoi martiri: vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose, come anche decine di migliaia di fedeli. Sono state distrutte tutte le nostre chiese e scuole, e le abitazioni dei nostri fedeli sono state confiscate, come dovunque in Anatolia – considerata l’Armenia Occidentale – e in Cilicia. In ogni Paese, dove si ricorda il 24 aprile, la Chiesa armena cattolica si unisce alla chiesa armena apostolica e ai protestanti armeni per fare le commemorazioni insieme.
Ancora oggi, nel 2010, quella tragedia umana resta un tema scomodo, non solo in Turchia ma anche in molti altri Stati dove lo sterminio di 95 anni fa non viene commemorato ufficialmente, nonostante la presenza in quegli stessi Paesi di comunità armene numericamente importanti. A suo avviso perché?
Mons. Kelekian: I Paesi che non hanno ancora accettato ufficialmente il genocidio armeno come tale temono delle rappresaglie da parte della Turchia che, ancora oggi, nega il fatto. Le relazioni diplomatiche con la Turchia impediscono a questi Stati di partecipare ufficialmente alle celebrazioni di commemorazione del Genocidio armeno. Purtroppo, questo ferisce ancora di più i sentimenti del nostro popolo, che non può capire come possano esserci nel mondo dei governi che non vogliono credere alla realtà di questo passato doloroso.
A sei mesi dalla firma, nell’ottobre 2009, di un accordo per la normalizzazione dei rapporti tra Armenia e Turchia, tutto torna ad essere come prima. Lo scontro verte, questa volta, sul Nagorno Karabakh. Risultato: stop al processo di pace. Cosa accadrà adesso? La Chiesa potrà intervenire per far riprendere i negoziati?
Mons. Kelekian: Gli accordi fra Armenia e Turchia, garantiti dalle potenze mondiali, purtroppo non sono stati rispettati dagli stessi turchi, perché la questione del Nagorno-Karabagh (che è un problema fra l’Armenia e un altro stato indipendente, l’Azerbaijian) non doveva essere parte di questi accordi, così come anche la questione dell’accettazione del Genocidio degli armeni.
Secondo me, la Chiesa Cattolica non può intervenire in questo caso perché, da una parte, c’è una nazione (la Turchia) che, seppure ufficialmente laica, è per la stragrande maggioranza musulmana. Dall’altra parte c’è un’altra nazione, l’Armenia, che in maggioranza non dipende dalla Chiesa cattolica. La Chiesa può intervenire soltanto tramite altre nazioni, come la Francia, la Germania o anche l’Italia. Ad esempio, la Comunità di Sant’Egidio in questo caso può forse intervenire, con molta probabilità di successo.