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Eminenza,
Cari Fratelli Vescovi,
con grande gioia vi do il benvenuto, Vescovi del Sudan, in occasione della vostra visita quinquennale sulle tombe degli Apostoli Pietro e Paolo. Sono grato al Vescovo Deng Majak per le cortesi parole che mi ha rivolto a vostro nome. In spirito di comunione nel Signore che ci unisce come successori degli apostoli, mi unisco a voi nel rendere grazie per il «dono più sublime» (cfr 1 Cor 12, 31) di carità cristiana che è evidente nella vostra vita e nel servizio generoso dei sacerdoti, dei religiosi, uomini e donne, e dei laici del Sudan. La vostra fedeltà al Signore e i frutti delle vostre fatiche fra le difficoltà e le sofferenze rendono una testimonianza eloquente del potere della Croce che risplende attraverso le nostre debolezze e i nostri limiti umani (cfr 1 Cor 11, 23-24).
So quanto voi e i fedeli del vostro Paese desideriate la pace, e quanto pazientemente vi adoperate per il suo ripristino. Ancorati alla vostra fede e alla vostra speranza in Cristo, il principe della pace, possiate sempre trovare nel Vangelo i principi necessari a plasmare la vostra predicazione e il vostro insegnamento, i vostri giudizi e le vostre azioni. Ispirati da questi principi e facendo eco alle giuste aspirazioni di tutta la comunità cattolica avete parlato con una sola voce nel rifiutare «qualsiasi ritorno alla guerra» e nel richiedere l’instaurazione della pace a ogni livello della vita nazionale (cfr Dichiarazione dei Vescovi del Sudan, Per una pace giusta e duratura, n. 4).
Se la pace significa mettere radici profonde, bisogna compiere sforzi comuni per diminuire i fattori che contribuiscono ai conflitti, in particolare la corruzione, le tensioni etniche, l’indifferenza e l’egoismo. Iniziative in tal senso si dimostreranno sicuramente feconde se saranno basate sull’integrità, su un senso di fraternità universale e sulle virtù della giustizia, della responsabilità e della carità. Trattati e altri accordi, elementi indispensabili del processo di pace, recheranno frutti solo se saranno ispirati e accompagnati dall’esercizio di una guida matura e moralmente retta.
Vi esorto a trarre forza dalla vostra esperienza recente nell’Assemblea speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi mentre continuate a predicare la riconciliazione e il perdono. Gli effetti della violenza potrebbero impiegare anni per attenuarsi, ma il mutamento del cuore che è la condizione indispensabile per una pace giusta e duratura deve essere implorato fin da ora quale dono della grazia di Dio. Come araldi del Vangelo, avete cercato di instillare nel vostro popolo e nella società un senso di responsabilità verso le generazioni attuali e future, incoraggiando il perdono, l’accettazione reciproca e il rispetto per gli impegni presi. Nello stesso modo avete operato per promuovere i diritti umani fondamentali attraverso lo stato di diritto e avete esortato all’applicazione di un modello integrale di sviluppo umano ed economico. Apprezzo tutto quello che la Chiesa nel vostro Paese sta facendo per aiutare i poveri a vivere con dignità e rispetto di sé, a trovare un lavoro a lungo termine e a essere in grado di dare il proprio contributo alla società.
Quale segno e strumento di una umanità ristabilita e riconciliata, la Chiesa, anche adesso, sperimenta la pace del Regno attraverso la sua comunione con il Signore. Che la vostra predicazione e la vostra attività pastorale continuino a essere ispirate da una spiritualità di comunione che unisce le menti e i cuori in obbedienza al Vangelo, dalla partecipazione alla vita sacramentale della Chiesa e dalla fedeltà alla vostra autorità episcopale. L’esercizio di questa autorità non dovrebbe mai essere considerato «come qualcosa di impersonale o burocratico, proprio perché è un’autorità che nasce dalla testimonianza» (cfr Pastores gregis, n. 43). Per questo motivo, voi stessi dovete essere i primi insegnanti e testimoni della nostra comunione di fede e dell’amore di Cristo, condividendo iniziative comuni, ascoltando i vostri collaboratori, aiutando sacerdoti, religiosi e fedeli ad accettarsi e sostenersi reciprocamente senza distinzione di razza o gruppo etnico, in uno scambio generoso di doni.
Quale parte significativa di questa testimonianza, vi incoraggio a dedicare la vostra energia a rafforzare l’educazione cattolica, e quindi a preparare i laici in particolare a recare una testimonianza convincente di Cristo in ogni aspetto della famiglia, della vita politica e sociale. Questo è un compito al quale l’Università di Santa Maria di Juba e i movimenti ecclesiali possono apportare un contributo significativo. Dopo i genitori, i catechisti sono il primo anello nella catena di trasmissione del prezioso tesoro della fede. Vi esorto a vigilare sulla loro formazione e sulle loro necessità.
Infine, desidero esprimere il mio apprezzamento per i vostri sforzi volti a mantenere buoni rapporti con i seguaci dell’Islam. Mentre vi adoperate a promuovere la cooperazione nelle iniziative pratiche, vi incoraggio a sottolineare i valori che i cristiani condividono con i musulmani, come base per quel «dialogo di vita» che è un primo passo essenziale verso un rispetto e una comprensione interreligiosi autentici. La stessa apertura e lo stesso amore dovrebbero essere dimostrati verso chi appartiene alle religioni tradizionali.
Cari Fratelli Vescovi, attraverso di voi invio affettuosi saluti ai sacerdoti e ai religiosi del vostro Paese, alle famiglie, e, in particolare, ai bambini. Con grande affetto, vi affido alle preghiere di santa Bakhita e di san Daniele Comboni nonché alla protezione di Maria, Madre della Chiesa. A tutti imparto di cuore la mia Benedizione Apostolica quale pegno di saggezza, gioia e forza nel Signore.
[© Copyright 2010 – Libreria Editrice Vaticana]